Accettare ciò che è

 

DOMINIQUE CASTERMAN 

ACCETTARE CIO’ CHE E’ 

Traduzione a cura di Maurizio Redegoso Kharitian

   Ogni ricerca fondata sulla facoltà che avrebbe l’uomo di modificare radicalmente il suo punto di vista sulla natura della realtà implica l’accesso possibile alla visione di un mondo nuovo, fino ad allora indistinguibile nel caos del pensiero funzionante esclusivamente in modo dualista.

Questo nuovo punto di vista non è una conoscenza in più su qualcosa in cui un’idea parziale è sostituita da un altra.

In questo caso restiamo prigionieri della tirannia delle parole.

Si tratta piuttosto di afferrare, nell’immediatezza della coscienza, l’onnipresenza della totalità come invisibile in se. “Il nostro pensiero non può accedere a queste verità tramite dimostrazione deduttiva né induttiva, ma solamente con un libero salto dell’intuizione intellettuale pura” (Benoit H., Il non-mentale secondo il pensiero Zen). L’idea intuitiva non può imporsi identicamente a tutti, si propone, si invita e trasforma progressivamente o bruscamente la vita interiore di coloro e quelle che vivono la stessa intuizione del reale.

Niente può essere rappresentativo della verità in se. Vi sono, certamente, delle discipline psico-fisiche e degli approcci miranti a risvegliare in noi ciò che noi potremo chiamare “intelligenza indipendente”.

L’errore è di identificare la realtà con l’idea che ne abbiamo – come se la realtà fosse un assemblaggio di parti indipendenti! – in quanto la conoscenza profonda degli esseri e delle cose è inerente all’assenza di ogni pensiero associante il reale con le certezze immaginarie. Questa assenza implica necessariamente il silenzio del “pensiero psicologico” identificante la parola-immagine-emozione con la cosa stessa. Il silenzio interiore qui suggerito non è il silenzio dell’ignoranza, esprime l’attitudine adottata quando si è capito che i particolarismi non possono essere rappresentativi della totalità.

Vorremmo mettere in evidenza che la conoscenza è un processo in seno del quale si rivela sia la natura del mondo che quella del nostro spirito. La nostra percezione della realtà è inerente ad un processo che si svolge in due tempi. Vi è innanzitutto ciò di cui abbiamo l’esperienza quando siamo confrontati al mondo esteriore. Questo è dell’ordine del sentire, della sensazione, della percezione sensoriale in generale. In seguito vi è ciò di cui noi abbiamo l’esperienza quando il nostro mondo interiore è confrontato alla percezione del mondo esteriore. Questo è dell’ordine del considerarlo, del provarlo, del sentimento, della percezione affettiva in generale. Da una parte, noi sentiamo l’esistenza del mondo e, da un’altra parte, noi consideriamo la nostra propria esistenza. Ciò di cui abbiamo l’esperienza risulta globalmente dall’interconnessione tra il mondo esteriore, l’organismo da dove emana un mondo di rappresentazioni ed il mondo interiore. Questi tre mondi sono interdipendenti, si implicano mutualmente, non sono causa l’uno dell’altro, hanno dei modi differenti della totalità.

Tuttavia, ciò di cui abbiamo l’esperienza non è la totalità di ciò che è. La totalità è avvolta, invisibile, al di là del conosciuto in quanto è istantaneamente questi tre mondi. L’entità del tutto, dall’atomo alla stella e dalla cellula all’uomo, è un interfaccia tra i mondi interiore ed esteriore. Il mondo è sia uno che composito. Ogni entità, di cui noi siamo, è bi-orientata verso il fuori ed il dentro, opera delle selezioni nel mondo esteriore e con ciò nel (suo) mondo interiore. Esistono tante selezioni quante sono le entità, vale a dire un’infinità. La totalità di ciò che è non può essere né rappresentata, né sentita, né percepita in quanto è al di là del conosciuto.

Il conosciuto è, in un certo modo, l’organizzazione frammentata della totalità.

Una visione esclusivamente frammentata, compartimentata e ripiegata su se stessa non è sempre stata predominante. Certi pensatori dell’antichità, tanto in Occidente che in Oriente, hanno messo in evidenza una forma di unione alla globalità. Per gli antichi greci non vi è separazione tra i fenomeni naturali, la vita nel suo insieme e l’uomo. Certe scuole del buddismo consideravano che lo spirito e la materia fossero le facce opposte ma complementari di una sola e stessa realtà.

Oggi, prendendo coscienza dell’interdipendenza di tutti i fenomeni, progrediamo verso lo sviluppo crescente di una conoscenza interdisciplinare. Si tratta di guardare la realtà sotto degli angoli differenti al fine di averne una visione d’insieme in cui le nozioni di unità, di universalità ed i processi relazionali sono predominanti. Questa forma di unione alla globalità del mondo dimostra a che punto è completamente impensabile di considerare che gli esseri, le cose e gli avvenimenti possano avere un’esistenza isolata ed indipendente: esistiamo perché siamo portati da un flusso dinamico di avvenimenti interconnessi. E’ evidente che a partire dal XIX secolo la dimensione dei fenomeni studiati non ha cessato di crescere. I domini di ricerca si sono forzatamente sempre più specializzati e compartimentati. Oggi ci occorre dunque imparare a superare le deformazioni inerenti all’iperspecializzazione al fine di allargare i nostri punti di vista sull’esistenza e la realtà in generale. “In ragione della specializzazione più grande dei fatti, dei concetti e delle tecniche, la scienza attiva riduce il campo d’azione dello spirito più spesso di quanto ne elargisce. Più si scava, più il campo si restringe” (de Duve, Ch., Polvere di vita).

La coscienza è un processo sia individuale che collettivo ed i due aspetti si apparentano ad una rete complessa di mutua riconoscenza che fa sorgere un mondo in cui dei mondi ne creano delle distinzioni. Per esempio certi micro-organismi come le alghe flagellate possono spostarsi verso una debole fonte di luce di cui individuano la presenza. Ai limiti di ciò che è convenuto di chiamare la vita, questi unicellulari s’interconnettono con l’ambiente e restringono, a loro modo, i legami della rete. La coscienza sostiene questa rete complessa d’interconnessioni, più di questo, ne è la rete stessa. Le entità individuali si riconoscono mutualmente tramite il processo della coscienza-legame, la quale rinforza il processo della struttura in rete. Parte e tutto si collegano reciprocamente: sono attraversati dal flusso ininterrotto della coscienza che riconoscendo delle distinzioni rilascia l’interazione. In ultima analisi tutto converge verso la coscienza.

Riprendiamo il nostro ragionamento situandolo sul terreno dell’esistenza quotidiana.

I pensieri non esistono in se, non più che le sensazioni od i sentimenti. Questi differenti modi di percezione e di sensazione sono dei processi di riferimento obbedienti a delle regole che lavorano al livello della coscienza e dell’incoscienza. Queste regole sono dei “meccanismi universali” quali la registrazione dei ricordi, le percezioni sensoriali (sensazioni), la volontà di vivere ecc…, ma sono anche dei “meccanismi individuali” sotto forma di pregiudizi, di credenze, di affetti (sentimenti), che passano per andare da se verso coloro che ne subiscono l’influenza. Potremmo convenire che i “meccanismi universali” corrispondono alla nostra “struttura anonima”, comune a tutti gli uomini; e che i “meccanismi individuali” corrispondenti alla nostra “struttura personale”, ne sono il mondo interiore registrato diversamente nella memoria di ognuno di noi. Prendiamo un esempio. Una persona passa davanti ad un aeroporto, pensa “lavoro” in quanto essa è all’accoglienza all’ufficio partenze. Un’altra pensa “viaggio” perché le vacanze sono in vista. Una terza persona pensa alla morte, ha dei sentimenti dolorosi in quanto si ricorda di un amico caro che ha perso la vita in un incidente aereo. Il principio, l’origine di questi diversi pensieri ed affetti è identico per ognuna di queste persone, a sapere la percezione globale incosciente di “qualche cosa” che è ridotta all’essenziale – l’oggetto chiamato aeroporto – è la percezione cosciente in funzione della “struttura anonima”. Questa rappresentazione mentale a partire dalle forme del mondo esteriore induce in noi dei pensieri dei sentimenti corrispondenti alla nostra “struttura personale”.

Come vedere al di la della conoscenza, come essere lucido al punto di vivere ogni istante senza che niente sovrapponga alle nostre funzioni delle percezioni fisiche, mentali ed affettive. Queste ultime essendo ridotte – ma possiamo parlare qui di riduzione? – al loro ruolo semplicemente informativo in vista di assicurare singolarmente la nostra sopravvivenza in un mondo relativo. Per tentare di rispondere a questa domanda, potremmo scegliere la facilità evocando l’attitudine “non-mentale”, la coscienza dell’unità universale sotto la molteplicità delle apparenze, laddove l’Energia non ha ancora attraversato il prisma del mentale. Ciò che precede non è falso, ma sappiamo bene che le parole sono delle etichette semplificatrici, parlarne non basta, non basta più.

L’al di là della conoscenza è per adesso. Se pensiamo che è per domani, è che siamo sempre nelle nostre vecchie abitudini sul piano orizzontale che inesorabilmente va dal conosciuto al conosciuto. Liberarsi dal conosciuto è l’accettazione di ciò che avviene, è liberarsi del potere che il passato opera sul presente facendoci credere che l’attitudine contemplativa è una rassegnazione passiva. Niente è più falso, al contrario.

A forza di rifiutare l’ignoranza aderiamo alle certezze immaginarie, quale miglior modo di consolidare l’ignoranza. Rifiutando le evidenze pratichiamo il rifiuto, con ogni sorta di conseguenze deplorevoli nelle nostre azioni. Non accettando la paura cerchiamo, la sicurezza ad ogni costo, ciò che fa credere il pericolo ed i rischi di errore. Sfuggendo le nostre ansietà, le nostre angosce, rischiamo la dipendenza: tabagismo, alcool, iperattività, ecc.

L’incapacità di affrontare la colpevolezza che gli altri ci impongono conduce al rifiuto di se al fine di evitare il rigetto. Il rifiuto della differenza è la fonte delle discriminazioni più devastatrici, dei pregiudizi appena immaginabili. Il timore della sconfitta conduce all’inerzia o, al contrario, al desiderio. Ben inteso, la lista non è esaustiva.

Nel corso della sua educazione, il bambino è talvolta confrontato a dei carichi emotivi che non può sopportare. Giunge a superare l’ostacolo modificando il suo comportamento in modo tale che si taglierà della sua considerazione. Non più percepire, è impedirsi di accettare ciò che è per omissione. Un carico emozionale non sopportabile, è un po’ come un peso troppo pesante sul corpo, piega e si deforma; psicologicamente, il bambino in via di formazione non ha altre soluzioni che di deformare ciò che è al fine di corrispondere a ciò che ci si aspetta da lui. Ma questo non spiega tutto.

Il nostro sistema educativo è basato sul culto dell’io.

La rigidità del sistema conduce ad una lotta costante con il mondo esterno al fine d’imporre ad ogni costo gli interessi particolari di coloro che pensano che dietro ad ogni loro azione vi sia un “io” volontarista. La parola forte della sua rigidità non sopporta che il mondo non funzioni secondo la propria ragione, mentre la parola spogliata dell’unità direzionale è incapace d’integrare e di affermare ciò che percepisce. La prima lotta contro il mondo esterno per sentirsi esistere, la seconda lotta contro il suo mondo interiore per paura della sconfitta. I due sono “in contatto” del flusso relazionale della realtà.

E’ impossibile di definire l’essere profondo di cui l’io cosciente non è in fondo che il passaparola, da cui l’importanza fondamentale dell’io considerata come la funzione fisica che collega praticamente la nostra natura profonda ed il mondo. Non appena che l’io non pervenga a riempire la sua funzione – sia per eccesso di rigidità, sia per debolezza – l’essere essenziale è velato e rimpiazzato da una personalità artificiale da cui un sentimento di angoscia (nel senso etimologico del termine: luogo ristretto), il sentimento di un vuoto insondabile. Accettare che è implica che ogni istante è un’occasione di cambiamento e di stupore davanti alla pienezza della vita. Senza l’accettazione, il movimento della vita si arresta, si solidifica ad un dato momento dell’esistenza e l’io gravita attorno ad un punto fissato da delle coordinate di un passato residuale vissuto come una cronica contrattura.

La vita ci è offerta ed accettando pienamente ed incondizionatamente questo magico dono così com’è, diveniamo la vita stessa. A questo istante preciso dell’esistenza, un essere particolare ha trovato il suo posto nell’ordine cosmico e questo attraverso la pratica quotidiana come esercizio. Non vi sono misteri da scoprire. L’essenza dell’essere e la forma della vita cosciente che ne è la manifestazione discreta si armonizza, come un soffio di vita nello spazio-tempo di una singola esistenza. Stiamo semplicemente attenti a ciò che l’io, vale a dire la parte cosciente del nostro mondo interiore, non si opponga all’unità dinamica della vita, al suo ritmo creatore nel quale le forme sono create poi dissolte di momento in momento. Lo spirito dell’uomo riposa di ordinario sulla coscienza di un io immaginante essere indipendente, sempre identico a se stesso e controllore della sua vita. Niente è più falso. L’idea di finire un giorno minaccia direttamente questa credenza, profonda e fragile, che dietro i nostri pensieri, le nostre sensazioni, i nostri sentimenti, le nostre azioni, vi sarebbe un personaggio distinto della coscienza che testimonia della sua esistenza. Siamo talmente convinti di essere una persona distinta della coscienza che la teme che irresistibilmente ne raccontiamo la storia al fine di ancora meglio assaporare o compatire il personaggio che rivestiamo. La depressione ha l’idea di finire un giorno, la paura di non essere identici a se stessi, di perdere la faccia, è l’angoscia di abbandonare l’immagine di se.

Quando questa immagine cade, si manifesta allora una nuova nascita, il passato ed il futuro sono come sospesi da ogni lato dell’istante nella pienezza della vita.

Qui il silenzio è rivelatore di un mondo nuovo. Al di là della conoscenza parziale vi è la conoscenza vissuta della vita nella sua totalità, come qualcosa d’invisibile in se. Gli esseri e le cose sono riuniti in un tutto unico, ogni istante è integralmente nuovo, ogni entità è portata da un processo vivente e creatore senza fine.

 

La ricerca della verità arriva al suo termine, è venuto il momento di accettare ciò che è, tutto ciò che è.

 

In questo istante, la conoscenza non è più un’informazione su qualche cosa. E’ un’apertura totale ed incondizionata a ciò che emana dall’essere interiore nel suo incontro con il mondo tramite l’intermediazione dell’organismo. L’al di là della conoscenza non è l’identificazione della realtà con ciò che emana dall’essere interiore, essa è il compimento dell’unità corpo-spirito-materia (l’organismo, il mondo interiore, il mondo esteriore), vale a dire l’identificazione della realtà con la globalità di ciò che è “tramite un libero salto dell’intuizione intellettuale”