Controcorrente di Pierre Feuga

3ème Millénaire n.  82 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3M:  Conoscete bene la tradizione yoga con le sue forme e i suoi movimenti contemporanei. Vorremmo cominciare la nostra intervista con un vostro chiarimento sul famoso “yoga dell’energia” iniziato da Lucien Ferrer. Quella scuola particolare rileva due tradizioni dell’energia molto dissimili: quella della Cina antica con i suoi meridiani, e quella dei Tantra dell’India con le nadi e i chakra. Mi sembra che quell’amalgama deve far parte delle curiosità, cosa ne pensate?

P.F.   Senza ostilità ma senza entusiasmo. A priori trovo appassionante la messa in relazione dell’energia cinese e dell’energia tantrica. Quell’argomento potrebbe occupare tutta una vita, è con una foga simpatica che Lucien Ferrer e i suoi seguaci hanno tentato questa sintesi. Mi sembra però che Ferrer  non avesse la capacità sintetica necessaria per un’impresa di quella portata. Il risultato  ne fu, malgrado delle intuizioni giuste,  un bricolage ibrido, un curioso meccano. Se lo yoga dell’energia ha un interesse un po’ barocco, resta inutilizzabile. I libri di Ferrer sono terribilmente datati, pur conservando un certo fascino.

Alla fine, una conoscenza teorica e pratica delle due tradizioni (senza parlare della tibetana alla quale quelle persone si riferiscono sempre così volentieri) è molto difficile trovarle in un solo individuo.

Da parte mia, non ho incontrato nessuno qualificato in ciascuna di quelle forme. Il che non vuol dire che sia un’impresa impossibile.

Non bisogna mai dimenticare che le persone più competenti non sono per forza quelle che scrivono libri o che fanno scuola.

3M.   In ogni caso è encomiabile aver voluto dare una coerenza a sistemi molto diversi. E’ vero che in passato quei sistemi rimasti segreti e i loro adepti non si incontravano, vivendo gli uni e gli altri nel loro pianeta spirituale (la Cina, il Cachmire, o altri). Oggi, con la mondializzazione, la situazione è molto diversa: molti praticanti e scuole rivendicano una visione dell’energetica, del corpo energetico, delle sue polarità e dei suoi centri d’energia ( meridiani, nadi, chakra, ecc).

P.F.   Oggi molte scuole di yoga mettono l’accento sull’energia, non solo la kundalini yoga, ma diverse modalità di Hata yoga. D’altronde è difficile ritrovarsi in quelle definizioni spesso improprie, a volte  abusive e lo scarto è spesso grande tra le parole e la realtà…

In ogni caso constato che molti praticanti di quelle tecniche somigliano un po’ a battelli senza pilota, battelli ubriachi che vagano da un seminario a uno stage. Si passa il proprio tempo a aprire sempre più chakra che si richiudono. Si è presi in una specie di vortice senza fine.

3M.    Quel tipo di pratiche è basato sulla ricerca del controllo…

P F.   Controllo forsennato, che soprattutto finisce per rafforzare l’ego.

Perché sperimentare è magnifico, ma in fin dei conti chi sperimenta? Chi prova?…

Non voglio qui riprendere un discorso vedantico alla maniera di Ramana Maharshi o di Jean Klein, ma malgrado tutto siamo risospinti a quella interrogazione o quell’enigma dopo aver visto certe esperienze sottili, psichiche o metafisiche: l’enigma del soggetto, della coscienza.

In fondo, per vederci chiaro, bisognerebbe staccarsi da quella ossessione dell’energia, molto alla moda e certo accattivante, per porci la domanda dell’origine, della sorgente: esiste una sorgente comune all’energia e alla coscienza ed è possibile risalire fino ad essa, senza perdersi nei vortici?

Ma pochi pongono la questione in questi termini.

Quello che li interessa non è neanche l’energia, ma le manifestazioni dell’energia, è provare, gioire o soffrire, vibrare, sentirsi esistere attraverso le sensazioni, i fenomeni ed eventualmente i poteri.

Ma quando si diventa un po’ più esigenti, rigorosi e lucidi, o, in senso proprio, disincantati, non ci si contenta più di quei lustrini.

Si resta nella propria fame, perché si vede che ogni esperienza dà l’appetito o la curiosità di un’altra esperienza.

Arriva perciò un momento, in cui si ricade su quella questione dell’energia. Senza negare quel vasto campo, si prova ad andare a un livello più profondo o, se preferite, di ritornare a monte. E’ lì la mia via, ma è piuttosto un segnale di invecchiamento…

3M.   Diciamo piuttosto di maturità!…

P.F.  Ciò che sto per dirvi in ogni caso  non è per nulla un rinnegare il tantrismo. Si tratta piuttosto di uno spogliarsi, un approfondire. Un tentativo ottimista di congiungere in qualche modo il Vedanta e il Tantra, mentre nella mia vita personale, ho oscillato dall’uno all’altro, cominciando dal Vedanta, poi continuando con il tantrismo per ritornare al Vedanta, ecc.

Penso ormai che si tratti di una falsa opposizione e che queste due vie possono essere complementari, o possano trovare una sorgente comune.

Ne consegue che l’una senza comprendere la bellezza dell’altra  finisce spesso in un analogo impasse.

3M.    Arrivate dunque a una tappa della vostra vita, dove vedete  uno scoglio attraverso quelle pratiche di yoga che hanno dato nascita ad ogni sorta di tecniche psicoterapeutiche e energetiche. Quelle pratiche avrebbero i loro limiti per mancanza di profondità?

P.F.   La profondità è sempre lì, ma non c’è molta gente per sondarla.

Nel campo dell’energia non si trovano molte buone guide.

Invece ci sono molti illusionisti, ciarlatani e piccoli maestri che si illudono loro stessi prima d’illudere gli altri.

E’ il mondo intermedio e la seduzione, la manipolazione vi giocano appieno.

Nel campo del lavoro sulla coscienza, ci sono più istruttori onesti e competenti, senza ricordare qui Ramana Maharshi o Nisargadatta, e restando a un livello più modesto. Dunque meno rischio di perdersi o di bruciare. Sono vie dure e poco gratificanti, dove l’ego prende un bel colpo. Si può giocare per un po’ a dirsi advaitin, adepto del chan o della non-via  cachmiriana, ma sono parole, posture estetiche, che non resistono a lungo davanti all’ingratitudine e alla durezza del lavoro svolto. Predico perciò un grande avvenire alle vie dell’energia. Sono nell’aria dell’epoca.

Il fantasma contemporaneo d’essere sempre in buona salute, bello, desiderabile, in forma e, perché no, immortale trova lì la sua giustificazione pseudospirituale. E’ l’aspetto negativo, caricaturale del Tantra, l’ombra del Tantra che sta per dominare il mondo.

3M.   Avete posto or ora la domanda fondamentale: ma alla fine che fare di quell’energia?

P.F.  Sicuro, si fa uno stage dell’energia, kundalini-yoga o altra, e si ritorna, tutti animati, carichi di energia fino alla gola, sputando fuoco come  piccoli draghi.

Questo dura otto giorni o quindici, tre settimane o tre mesi, ma presto o tardi cade, si raffredda, si sgonfia e ci si ritrova pieni di dubbi, di amarezza e frustrazione, perché alla fine non è successo niente di decisivo.

Si è mossa solo la superficie senza toccare la profondità.

La ricerca dell’energia per l’energia non ha nessun interesse. E’ come un conto bancario che bisogna sempre alimentare.

Come essere ricco per essere ricco non ha alcun senso, o conquistare il potere politico solo per possederlo, nello stesso modo acquistare energia senza sapere che farne è totalmente assurdo.

Detto questo, un lavoro unilateralmente centrato sulla coscienza, il discernimento, il distacco, la vacuità, il lasciar andare, ecc. può condurre allo stesso fiasco. Il distacco, ma per fare cosa? Essere ipercosciente, ma a che scopo? Non pochi sesshin, seminari di meditazione finiscono in questa aridità, in questo insipido deserto.

3M.   Non c’è allora una mancanza di conoscenza di sé nella direzione del “Chi sono?”

P.F.   “Chi sono?” o” “Che cosa sono?” sono domande eccellenti, a condizione che siate capaci di riappropriarvene, di riattualizzarle in voi stessi, se no siete dei pappagalli che ripetono un mantra. Non bisogna installarsi in un discorso non-duale, non bisogna che diventi una retorica, un ronron.

Né un  fondo di commercio né una cappella o una nicchia preziosa, che permette di guardare i poveri dualisti con una sdegnosa benevolenza.

La sufficienza di certi sedicenti illuminati è insopportabile, si ha voglia di  sculacciarli, per insegnare loro una sana dualità. Siamo onesti: nei fatti, nel nostro comportamento e nel nostro pensiero, siamo tutti dualisti, ma tra i dualisti ce n’è qualcuno che, per posa o per interesse, in buona o in cattiva fede, s’immagina non-dualista!

Lo proclamano con aplomb, o più finemente lo lasciano dire, quando gli si crede, li si ammira, li si imita, li si invidia. Questo non fa che aggiungere illusione a illusione. Posso anche ripetermi tutto il giorno:

Coscienza = Energia,

Shiva = Shakti

o ancora samsara = nirvana,

questo impressionerà la mia portinaia, ma  concretamente cosa cambierà nella mia vita?

Quando la donna o l’uomo che amo mi lascerà, quando mio figlio si drogherà, quando mi si dirà che ho un cancro, a cosa mi serviranno quelle belle formule?

Quando una persona mi chiede consiglio (la sventurata!), non posso che tentare di sgonfiare la bolla nella quale si confina, la bolla della coscienza o dell’energia. Al fanatico della meditazione raccomando l’attività, a quello del tantrismo, il raccoglimento.

Generalmente la persona non ascolta o ascolta senza capire, perché si trova in un processo di fascinazione quasi ipnotico, sotto l’influenza di un maestro o di una meditazione, pronto al rigore e a cambiarlo ma per un altro più valorizzante. Lei dice allora: “Ah! Si, gli piacciono molto i paradossi” o “Gli piace molto provocare!”… e tutto si ferma lì.

Poco importa d’altronde, non bisogna cercare di cambiare gli altri, non ci si pensa nemmeno, quando si capisce che nove persone su dieci che si credono in una via spirituale non perseguono che uno sviluppo personale.

Da quando non ci si situa più esclusivamente in uno dei due poli (polo energia,  polo coscienza) si vive allora controcorrente. Non lo si fa apposta, non lo si fa per essere originali. Lo si constata, ecco tutto, e ciò non rende né tristi né fieri. E’ come la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: se si è pessimisti si dirà “quell’uomo è solo”; se si è ottimisti si dirà: “quell’uomo è libero”. L’uomo in questione, lui, non si dice più niente. Beve il bicchiere o lo rompe.