La percezione immediata globale di Robert Linssen

Gli specialisti del cosiddetto risveglio improvviso evocano spesso la necessità di una maggior attenzione chiara del Presente. Facile dare  un’adesione intellettuale alla formulazione di una tale esigenza, ma pochissime persone si danno la pena di comprendere le implicazioni a livello sperimentale.

Troppo spesso gli insegnamenti detti della ”via improvvisa”(come quelli di Krishnamurti, del Ch’an o Zen vero) non sono compresi che a livello verbale, di cui non cessano però di denunciare la superficialità.

Molte persone mi fanno la domanda: “Che cos’è la via improvvisa? Che significa la parola improvvisa?. La risposta permetterà di porre esattamente le implicazioni del risveglio interiore e di conseguenza della percezione globale immediata.
Gli istruttori di quella via in India, in Cina, in Tibet paragonano il sogno e la coscienza di veglia, che ci è familiare  da una parte, e dall’altra tra coscienza di veglia e lo stato di Risveglio integrale e naturale. Quando una troppo grande intensità si produce nel dolore, una visione di un incubo o un piacere nel corso del sogno, chi dorme si sveglia in un istante. Accede subito allo stato di veglia.

Per gli istruttori della via improvvisa, esiste lo stesso rapporto e la stessa distanza tra il sogno e il risveglio familiare e tra il risveglio normale e il risveglio integrale e naturale. E è in uno stesso modo che una certa intensità nel risveglio familiare e cosiddetto normale liberi istantaneamente il ricercatore dei condizionamenti di quel risveglio e gli riveli lo stato naturale del Risveglio integrale. Questa intensità è quella della percezione globale immediata. Essa è istantanea.

Le implicazioni di ciò che sta per accadere così rapidamente sono enormi. Cerchiamo di segnalarne qualcuna. Anzitutto vediamo in che e perché le nostre percezioni non sono mai globali e immediate.

Perché non sono immediate?
Perché le energie della nostra attenzione non sono mai presenti al presente. Ciascuno conosce la risposta paradossale che un maestro zen diede agli allievi che gli chiedevano il segreto del suo metodo: “Quando ho fame mangio”. Vedendo gli allievi delusi: “Quando mangiate, dov’è il mentale? E’ presente alla circostanza o pensate a un piacere o a un peso passato, o ancora la vostra immaginazione si proietta nell’avvenire verso un piacere o una sofferenza?
Il lato immediato della percezione implica una convergenza di tutte le energie della nostra attenzione in ogni istante presente. La nostra attenzione non realizza mai una tale convergenza. Le energie della nostra attenzione sono in uno stato di continua distrazione. Da una parte, restando attaccate al passato, dall’altra proiettandosi nel futuro.

Dal punto di vista pratico è indispensabile rendersi conto che abbiamo ad ogni momento della vita quotidiana dei mucchi di pensieri che non sono in rapporto con la vita che viviamo. In un primo tempo sarà necessario accorgerci di essere distratti, passo elementare, a cui abbiamo accennato spesso; ma il termine “immediato” implica significati ben più profondi.

Le nostre percezioni non sono immediate soprattutto perché non siamo fisicamente e psicologicamente che un risultato di processi di memoria le cui origini si situano dalla nascita dell’universo. Questa sorprendente affermazione è conforme alla realtà. Era enunciata negli insegnamenti antichi( Prajna paramita, Sutra dell’India). E’ interamente confermata dalla scienza moderna( Processo di neghentropia dello spazio- tempo psichico, codice genetico della biologia e dell’embriologia 1981).

Come dice Krishnamurti, non siamo che dei “pacchetti di memoria”. Abbiamo commentato già le implicazioni di quell’enunciato lapidario  che ci sembra di primo acchito sconcertante; non ripeteremo in dettaglio le osservazioni fatte. Semplicemente ricordiamo che portiamo in noi in forma riassunta , integrata, di tutte le memorie di tutti gli eventi della storia dell’universo. Il cervello umano costituisce la cristallizzazione, la condensazione e la materializzazione di tutte le energie di tempi, di memorie. Non è che un ologramma che riflette le informazioni  dello spazio-  tempo. Abbiamo commentato questo in un’opera recente.( la mutazione spirituale del terzo millennio e le opere di David Bohm e Karl Pribram).

In breve, senza saperlo e senza rendercene conto, siamo tutti dei miliardari del tempo e della memoria. “ Il vecchio uomo” di cui parlano le scritture è un miliardario di memoria. Ha attraversato miliardi di nascite, di fioriture, di morti, di riuscite, di sconfitte, di gioie, di sofferenze. Va da sé che un tale processo, la cui esistenza risale a dodici o quattordici miliardi di anni, non cessa in un istante. Al contrario!

La manifestazione più evidente delle forze d’inerzia enormi di quella abitudine di memorie il cui simbolo è vecchio uomo, è l’agitazione mentale. In ogni istante presente si proietta l’abitudine del passato. L’intero problema si può riassumere così: da una parte, i livelli psichici e fisici della costituzione umana sono interamente sotto il dominio del passato di cui sono la materializzazione, dall’altra il livello del Reale, al livello spirituale, è un Presente sempre rinnovato.

Il passato e le sue condensazioni nell’essere umano è meccanico, ripetitivo, abituale, conflittuale. La realtà ultima dell’essere umano, di natura spirituale è non meccanica, non ripetitiva, in -temporale, a- causale.

Segnaliamo che la più alta mistica si trova qui totalmente confermata  dalla più alta fisica (chiamata fisica gnostica in opposizione alla fisica razionalista detta fisica fossile).

Il riassunto che sarà esposto ha contro di lui un aspetto unicamente speculativo, intellettuale e metafisico. Tenteremo ora di mostrarne le conseguenze pratiche ed evidenti tali che ciascuno potrà constatarlo mettendo più attenzione ai processi del suo proprio pensiero, dei suoi atti, delle sue motivazioni profonde.. Riassumendo, le nostre percezioni non sono immediate perché esse sono veramente stregate dalla forza d’inerzia delle memorie del passato.

La percezione immediata implica una disponibilità perfetta al Presente. Ci domanda di essere “ nuovi nell’istante nuovo”, perché ogni istante, a livello più reale, è nuovo. Essa esige la realizzazione di una trasparenza interiore, di una agilità della mente, di un ordine, di una chiarezza e di un silenzio interiore molto lontano dal chiasso permanente dei pensieri.

Abbiamo mostrato altrove che il pensiero non è che memoria. Non c’è pensiero senza parola o più parole, coscienti o inconsce. Non c’è pensiero senza un’immagine o più immagini, chiare o confuse, coscienti o inconsce. Pensieri e immagini che sono stati registrati anteriormente nei nostri neuroni cerebrali. Non sono che memorie. Il pensiero funziona in modo totalmente meccanico: per deduzione o per induzione.

Queste sono le ragioni per cui Krishnamurti non esita a dichiarare ciò che scandalizzerà coloro che hanno deificato il pensiero: “ il pensiero non è l’intelligenza”. Dal punto di vista pratico siamo per la maggior parte chiusi nel processo del pensiero , della memoria. Come dice Krishnamurti “ la nostra vita interiore non è che una marcia sterile che va dal conosciuto al conosciuto.

Ad ogni istante dei pensieri si presentano nel campo della nostra mente, sotto forma di parole, di immagini. Molto spesso  non sono stati scelti di proposito per rispondere adeguatamente alle circostanze. Sono pensieri che Freud e Zweig chiamano pensieri intrusi. Insomma, sono lì, come tanti echi costanti, automatici, rapidi del passato la cui ombra maschera la chiarezza del Presente, come dice bene il nostro amico René Fouéré.
Affrontiamo ora l’essenziale del tema. Per quale ragione si produce costantemente e con la rapidità del lampo il sorgere dei pensieri, delle parole, delle immagini? Qual è l’origine di quel processo, che nomina tutto ciò che vediamo, ciò che sentiamo, le nostre emozioni, le nostre paure, piaceri e collere?

Se rispondiamo a questa domanda, siamo in grado di chiarire il problema dell’assenza di percezione immediata. L’origine di quel processo è sempre lo stesso: la memoria. L’enorme rete di memorie di cui siamo il risultato ha fatto di noi dei vegliardi di dodici o quattordici miliardi di anni. Il processo di memoria funziona secondo una certa abitudine di durata, di continuità. Quella abitudine non vuole finire. Quella rete di abitudini  si è presa per un’entità, non vuole abdicare, vuole continuare. Lei ha orrore del silenzio interiore perché il silenzio interiore la mette in pericolo.

Il vecchio uomo sa molto bene che la coscienza non è continua, sa che ci sono momenti di silenzio tra i pensieri. Ma sa che il vero silenzio interiore metterebbe fine al suo regno. Evita questo ad ogni costo. In altri termini, l’agitazione mentale, l’estrema rapidità dei nostri processi di verbalizzazione non sono altro che riflessi di auto difesa del vecchio uomo o dell’ego, per salvaguardare la sua continuità.
Niente è più normale per il fatto che l’istinto di conservazione della specie illustra tutta la storia dell’evoluzione, è normale che, essendo stato memorizzato tutto, formando la rete di memorie il vecchio uomo, sia impregnato di istinto di conservazione, o desiderio di durata o paura di perdersi. La sua strategia vuole che ci sentiamo a nostro agio e che continuiamo la nostra vita forniti delle nostre certezze, del conosciuto, del già visto. L’inconscio profondo e il conscio hanno orrore dell’ignoto.

Tutto quello che vediamo e sentiamo è immediatamente nominato, messo in categorie, paragonato, valutato in funzione del conosciuto dalle esperienze passate. Ci chiudiamo così senza renderci conto nel circolo vizioso dell’abitudine, della meccanicità, della continuità, del tempo. Sono lì, agli occhi dei risvegliati, gli elementi del nostro sogno. Infatti noi siamo “sognati e agiti” dalle energie accumulate nel passato.

Krishnamurti ci domanda spesso: credete che sia assolutamente necessario nominare rosa una rosa? Egli ci suggerisce la realizzazione di una attitudine di attenzione in cui non intervengono più giudizi di valore, paragoni, preferenze, repulsioni.

I

Dice: « La percezione senza parole, senza pensiero è un fenomeno dei più strani. Quella percezione è più affilata, non solo nel cervello, ma in tutti i nostri sensi. Non è una particolarità frammentaria del mentale o una manifestazione delle emozioni. Le si può dare il nome di percezione totale .

Percepire senza che esista chi percepisce nella meditazione è comunicare con tutta la altezza e la profondità dell’immensità.». (Alle soglie del silenzio)

La meditazione però può esistere se gli occhi sono aperti e si è circondati da oggetti d’ogni sorta; ma questi oggetti non hanno nessuna importanza. Li si vede ma non c’è nessun processo di riconoscimento.».

In quella meditazione c’è la più grande beatitudine, che non ha alcun rapporto col piacere. E’ quell’estasi che dà agli occhi, al cervello, al cuore una qualità di innocenza.».

Leggiamo più oltre nella stessa opera questo frammento che chiarisce e conferma le nostre osservazioni:

« Un curioso aspetto della meditazione è che nessun avvenimento è trasformato in esperienza. E’ là, come una stella nel cielo senza che la memoria se ne impadronisca o la scelga, senza che passi per l’abituale processo del riconoscimento o della reazione in funzione della preferenza o dell’avversione. Una reazione è sempre ripetitiva, la si trae dalla stessa banca della memoria.». (Siamo noi a sottolineare tra i testi riprodotti).

Riassumiamo ciò che è stato detto fino ad ora: le nostre percezioni non sono mai totalmente immediate,  in seguito all’azione molto importante della rete delle memorie che paralizza ogni possibilità di adeguatezza al rinnovarsi di ogni circostanza dei momenti presenti. Le manifestazioni più evidenti, visibili e costanti di quella rete di memorie non si limitano al processo costante di verbalizzazione, di riconoscimento, di paragone, di scelta.

Saremmo incompleti omettendo la presenza costante dell’immagine che ciascuno ha di se stesso, come degli esseri e delle cose. La rapidità del sorgere dell’immagine che abbiamo degli esseri e delle cose, come di quello del processo di verbalizzazione, risulta  da una causa identica.

Quella rapidità avviene automaticamente per il cammino privilegiato e le associazioni che si sono prodotte nell’enorme rete dei nostri neuroni e delle nostre memorie. L’esistenza di quei cammini privilegiati contribuisce a darci dei fatti nuovi e attuali una immagine anteriore condizionata dall’incontro di quei fatti, persone, oggetti, o avvenimenti nel passato. In altre parole siamo inclini a vedere cose, esseri, oggetti, non nella loro attualità presente, ma attraverso immagini che quei fatti, oggetti, persone hanno determinato in noi nel passato.

Questa è la manifestazione dell’istinto di conservazione del vecchio uomo, il miliardario delle memorie e del tempo che non vuole abdicare, che vuole continuarsi, che resiste alla pulsione creatrice costituendo l’ultima realtà degli esseri, delle cose nell’universo.
Indipendentemente da tutto ciò che è stato ricordato, aggiungeremo che la percezione non solo non è immediata, ma anche non globale. Perché?

Perché siamo psicologicamente degli esseri divisi, frammentati. Non percepiamo che col nostro cervello e il nostro mentale. La percezione globale implica uno stato di attenzione in cui interviene un elemento affettivo fondamentale. Quell’elemento è del tutto estraneo ad ogni sensibilità sentimentale.

La percezione globale implica la realizzazione di uno stato d’amore profondo. Quella qualità d’amore rivela in modo diretto e oltre il mentale il senso dell’intensità del Presente. L’eterno presente di cui si parla molto è solo una parola.  Non è che una ipotesi sterile se il silenzio interiore del pensiero non ci ha rivelato l’intensità dell’amore vero. A quel livello si rivela l’esigenza di un vissuto autentico. La percezione globale immediata implica un equilibrio tra la ragione e l’amore. Corrisponde al pensiero- sentire di Krishnamurti.

L’uomo del XX secolo è incline a dare una supremazia allo sviluppo intellettuale; la nostra educazione ha messo in seconda linea le facoltà affettive. Questo può sfociare in una situazione disastrosa. Sono molti gli uomini di scienze che ci ricordano che ”la funzione crea l’organo”. Di conseguenza l’abuso delle funzioni intellettuali nel corso di generazioni può finire in uno sviluppo mostruoso del cervello.

Potrebbe apparire una triste umanità fatta di scimmie sapienti il cui sapere enciclopedico paralizzerebbe ogni conoscenza vera per il fatto che quest’ultima implica un aspetto superiore dell’amore.

E’ opportuno ricordare ciò che Krishnamurti disse a questo proposito: “Un cuore senza amore è simile ad un fiume che non ha più acqua per bagnare le sue rive”. La percezione globale immediata implica dunque un elemento affettivo superiore che ci sfugge per quasi tutto il tempo.

Da notare che, dal punto di vista della sperimentazione, la sede della coscienza  è percepita nel cervello nella maggioranza degli esseri umani. Quando si realizza uno stato di percezione globale immediata la localizzazione del centro della coscienza totale si disloca verso il plesso solare. Certe scuole orientali lo situano nell’Hara, a cui si riferisce spesso lo Zen giapponese.

La pratica dello judo, dell’aikido soprattutto, ci mostrano il fondamento con la riscoperta di una saggezza istintiva del corpo umano ,che è stata perduta  in seguito alla nostra iper- intellettualità. Von Durkeim ha dedicato allo studio dell’Hara numerose opere che meritano di essere studiate: riflettono un aspetto complementare di quelli che abbiamo sommariamente evocato, che riguardano la percezione globale immediata.

E’ opportuno porre una riserva: lo spostamento del centro della coscienza nel plesso solare è una conseguenza del risveglio interiore. La pratica di una conseguenza indiretta  del risveglio non può automaticamente portare al risveglio. Il processo non è reversibile.
Il saggio farebbe subito la domanda: “chi” pratica “cosa”? “chi” vuole raggiungere “cosa”’? Tocchiamo un punto fondamentale della pratica che precisa la differenza di approccio tra la via improvvisa e le vie progressive.
Non è questione di perderci tra le varie scuole filosofiche con le relative discussioni. Vogliamo semplicemente che il lettore prenda coscienza in se stesso e da sé del processo del suo pensiero, del potere che le memorie del passato esercitano sulla sua coscienza presente e sia in grado di realizzare veramente la percezione globale immediata con le ricchezze inestimabili di forza, di luce interiore e d’amore che essa comporta.
Robert LINSSEN

Meditazioni

Quando il nostro sguardo si posa su di una tavola, vediamo una superficie liscia. Il legno ci sembra immobile, compatto, omogeneo.

La fisica ci insegna che una superficie non esiste. La superficie è un fenomeno di interferenze condizionato dalla posizione di un osservatore e dalla scelta della sua osservazione. Niente è immobile, tutto si muove continuamente. Vuoti importanti come quelli tra le stelle, con le dovute proporzioni, esistono tra gli atomi.

A toccarlo, questo marmo sembra solido. La fisica mostra che le particelle non sono che onde, senza nessuna solidità. E’ un fenomeno condizionato tra un osservatore e una osservazione particolare.

a cura di luciana scalabrini