La sofferenza che salva nella relazione con l’altro di Olivia Namer

3ème Millénaire n 80 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3ème Mill.   Qual era l’origine della vostra sofferenza?

O.N.  La relazione con il mio ex marito ha permesso di chiarire quella origine. Infatti, egli è quel genere di individui che, parlando con gli altri, parla solo a se stesso. E la ripetizione dei conflitti permette di vedere che non comprende quello che  dici.

Provi allora a trovare molte formulazioni per tentare di raggiungerlo, perché è uno con cui vivi. Siccome non funziona, cominci a porti domande su te stessa; e in qualche modo questo ti serve!

Ma se ti domandi anche: “Cosa faccio se finisco questa relazione? Smetto di parlargli perché non ha senso? A meno che io non possa andare al di là di questo”.

C’è una parte d’inconsapevolezza in questi confronti, e incominci una terapia per cercare di comprendere come funzioni tutto ciò. In quel momento, non stai bene, perché capisci  che non sei capita. Però non desideri rompere la tua coppia, e vuoi capire  ciò che succede in te. Poi, quando  il lavoro psicologico ti fa crescere, realizzi che non è possibile parlargli se non con si e con no. Il cambiamento reale è impossibile; fa parte di quelle persone che non cambieranno mai. Sono nella loro testa, è il loro modo di funzionare, e solo un atto violento nella loro vita potrebbe forse aprirli.

Chi prende coscienza di questo, sta per sbucciarsi. Togliere delle pelli fa rimanere senza protezione. Allora si può vedere l’altro o gli altri più chiaramente; infatti non si è più bloccati da se stessi. Si prende coscienza, purtroppo, della qualità degli esseri attorno a sè. Purtroppo, purché  all’inizio  c’è sofferenza: quella di rendersi conto che si è molto soli, ma collegati al tutto. Essere soli è la libertà, una libertà cui non si crede… Infatti, all’inizio, si crede che solitudine voglia dire isolamento; non è vero, è essere liberi da tutto.

3ème Mill.   Essere coscienti della propria solitudine è importante nella relazione con l’altro…

O.N.  Nel momento in cui si comincia a farsi delle domande, esse importano poco: c’è il riconoscimento dei blocchi. Frasi lette in un libro risuonano in ciò che tu vivi. Nel percorso si passa dalla solitudine, ed essa è necessaria al momento in cui cominci a scoprirti. Questo permette di ritrovarsi, di rigenerarsi… Poi si fa sentire una facilità di adattamento, c’è una libertà e una giustizia nelle relazioni: si sente precisamente quando si deve partire o restare, è evidente, non c’è più ragionamento, si è capito, e perfino il “capito” è di troppo.

3ème Mill. Essere veri con se stessi permette di essere veri con l’altro… Questa relazione conflittuale ti ha permesso di metterti sulla via di quello spogliarsi?

O.N.  Si, è la sofferenza, dapprima quella di non comprendere perché l’altro è così sordo… Lui e altri, perché è un riferimento circondarsi di persone che hanno lo stesso tratto di carattere, soprattutto quando nell’infanzia si è stati circondati da quel genere di persone. Vedere e sentire che l’altro non è all’ascolto di ciò che è detto, è sorgente di una profonda sofferenza. Perché battersi così e provare a far comprendere qualcosa a qualcuno che non capisce? Poi, dopo la sofferenza, ci fu la comprensione che non si poteva avere nessuna aspettativa  dall’altro.

3ème Mill.  Cos’è che in definitiva ha permesso il passaggio da quello stato di sofferenza a un non-stato?

O.N.  All’inizio ci sono state, grazie a una sensibilità più acuta, delle percezioni. Un giorno, parlando con una persona, ho sentito quello che era realmente, senza comprendere  ciò che succedeva, poiché non avevo nessuna conoscenza nel campo della spiritualità, e mi misi a piangere sentendo quella bellezza, mentre la persona parlava, per lei in modo assolutamente normale.

Nel febbraio del 1990, la terapia mi ha permesso di capire il perché di quella “fragilità”. La sofferenza essendo andata ancora più lontano, per altri avvenimenti esterni, mi permise di continuare a captare cose senza comprenderle. E, verso il 2003, incontrai un terapeuta che, nel silenzio, versò  un’onda di energia, con una tale forza che non c’era più niente da comprendere, nemmeno più bisogno di ringraziare; era molto forte, ebbi l’impressione di essere salita per una scala, non gradino per gradino, ma rampa per rampa… Molto brutalmente, il contrasto tra ciò che vivevo nella materia e  quel livello era fortissimo… Ed è la ragione per la quale è stato necessario un periodo di calma, di ritiro in solitudine.

3ème Mill.   E’ stata la sofferenza a distruggere la sofferenza?

O.N.   Si, è chiaro. Quando sono andata a vedere quel terapeuta, avevo appena perso mio padre. Dovevo anche occuparmi di mia madre disabile, e allo stesso tempo del mio lavoro… Ho solo detto al terapeuta: “voglio morire”, e quando gli dicevo questo, sentivo che non ero io profondamente che volevo morire, ma che non era il mio essere che  desiderava morire; avevo un rifiuto totale rispetto a ciò che avevo detto, ed è stato in quel momento che sono morta. E’ stato improvviso, e non c’era più bisogno di comprendere nulla. Quel terapeuta non era lì per caso, ci voleva un canale nel momento in cui pronunciavo quelle parole… Era veramente aperto; per provare a spiegarlo, era come se tutte le cellule del mio corpo che erano nell’ombra si fossero all’improvviso orientate verso la luce. La sera, rientrando a casa, non ho nemmeno potuto cenare; mi sono coricata sul ventre, continuando a ricevere un’onda di energia dalla schiena. Tutti i giorni, senza mescolarmi alla folla, andavo in chiesa per sentirne la calma… ero semplicemente lì, seduta, protetta dal rumore e in presa diretta…

Si, è la sofferenza, l’intollerabile, la differenza dagli altri che mi ha condotto fin lì. Senza quella sensazione di essere incompresa, non avrei cercato. Mi sentivo semplice e fu la loro perversione, il veleno che mi  iniettavano, che mi ha fatto sentire il bisogno di comprendere. A forza di farmi iniezioni, cominciarono a impregnare il mio ego della loro negatività, e ciò che diventò insopportabile era quell’avvelenamento… non ne potevo più! Bisognava morire! Sono gli altri, come i genitori, che hanno costruito il mio ego, da piccola ero molto spontanea, ma circondata da gente molto difficile…Dei genitori, sempre chiusi in se stessi, iniettano poco a poco, senza volerlo, il seme dell’ego. Tuttavia mi hanno fatto un favore.

Infatti l’ego è come un’ombra che ricopre il nostro essere; ed è questa ombra che è toccata dall’ego degli altri. A forza di ricevere colpi, l’ombra può incrinarsi, ma spesso le persone hanno paura di soffrire. Rifiutano di ricevere colpi e mettono una chiusura… Allora restano nell’ombra! Quando si accetta d’essere aperti, senza paura, non essendoci chiusura, si ricevono i colpi e l’ego si scioglie.