Violenza di Frank Aubert

3ème Millénarie n. 77 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini

Molto evidentemente la violenza non è uno stato di serenità, né di pace.

Non invita alla comunicazione, alla condivisione, all’equilibrio, al rispetto, alla compassione. Non genera né libertà né pace né umanesimo.

In questo, è evidente che la violenza si definisce meglio attraverso ciò che non è piuttosto che attraverso ciò che potrebbe essere e portare.

Quando una cosa si definisce meglio attraverso ciò che non è, diviene evidente che questo traduce un vuoto di creatività, un’impossibilità di appoggio logico e costruttivo.

Mi sembra inutile fare un elenco della presenza della violenza nella nostra società tecnologica. Già da tempo sono state fatte queste constatazioni, numerosi esseri umani di qualità hanno denunciato questo fatto e anche proposto soluzioni palliative a chi decide ed ha l’autorità di manovrare i grandi avvenimenti della nostra società.

La violenza appare in una società umana quando qualcosa di profondo ed essenziale non è stato colmato, nutrito, valorizzato, coltivato. Arriviamo ad una scadenza, quella di constatare che l’esperienza materialista non ha risposto all’obbiettivo di rendere l’uomo felice e libero. La delusione è tragica e il sogno materialista sprofonda dolcemente su se stesso, in un rumore di fine-civiltà in crisi di speranze e piena di paure.

Quali sono gli ingredienti che hanno prevalso in questa situazione? Sono numerosi:

Un vuoto di spiritualità, il culto e la cultura della paura, minaccia della nostra integrità (fisica, morale, intellettuale, spirituale), bisogno d’identità, d’affermazione, egocentrismo nella nozione di sopravvivenza, desiderio di dominio, sessualità senza amore, svalutazione dell’essere, perdita della nostra identità divina, del senso del sacro, senso d’isolamento, esacerbazione degli schemi di potere, rottura con gli elementi e gli altri regni, perdita di coscienza d’essere collegato, tradimento di alcune religioni, assenza di educatori spirituali, addormentamento delle coscienze, paura di mancare, paura di morire, ecc.

Lascio a ciascuno il compito di completare questa lista, perché abbiamo tutti degli elementi personali e collettivi da aggiungere (disgraziatamente).

Abbiamo anche la scelta di nasconderci la faccia, di raccontarci delle belle storie e di non credere alla nostra responsabilità di intellettuali, spirituali,  terapeuti o  educatori.

La violenza è un’energia legata alla vita e anche una verità di vita per molti esseri. Essa non può essere che una componente logica nell’esperienza duale che è la nostra. La violenza fa parte dell’esperienza, che lo si voglia o no. Se si esprime con tanta forza, è perché un equilibrio è rotto. E che una forza equivalente d’amore è assente davanti ad essa.

Le società sono gli specchi dove si proiettano le nostre individualità.

La risposta alla violenza non può essere che dentro di noi, molto evidentemente.

Allora invito ciascuno a voltare il proiettore verso il centro intimo della sua personalità, in un atto di verità, di autenticità, d’umiltà, ma anche di compassione verso se stesso.

– La mia responsabilità è lì e da nessun’altra parte di fronte a quella violenza denunciata. Avrò il coraggio di guardare in faccia i miei propri campi di battaglia, i miei conflitti o le mie guerre coltivate con cura nella legalità e nella legittimità?

Quanto tempo ho dedicato a identificarle? Perché mi sento incapace di dire a chi mi è vicino che l’amo? Perché mi trattengo da prenderlo tra le braccia, di stringerlo, di toccarlo?

– Perché ho mancato d’immaginazione non coltivando pensieri d’amore per coloro che erano incapaci di ricevere le mie parole? Che vantaggio ho a fare questo, quali paure stanno sotto al mio comportamento?

Lontano da me l’idea di andare a cercare la vecchia leva della colpevolezza per cambiare le  cose in profondità in ognuno di noi. Sarebbe come alimentare ciò che cerco di sventare.

Ma il lavoro è lì, mi invito a uscire dal vuoto d’amore in me, è lì che  miei figli mi aspettano, è lì che sarò efficiente attraverso la forza della mia luce interiore, per la forza dell’immagine di pace e di serenità ritrovata e presente in me.

Allora non partecipo più alla violenza del mondo, rifiuto di darle il mio sostegno. La mia responsabilità non è al di là di questo. Che ciascuna delle mie parole, ciascuno dei miei gesti e delle mie intenzioni mostrino questa pace interiore ritrovata e coltivata; allora sono  al mio posto nel mondo, partecipo a questo mondo, cambio anche qualcosa per questo mondo.

Mi sento valido e responsabile, dotato di creazione.