Conoscenza non-duale di sé secondo il Tao-Te-King di Shen- ren- xuanpo

Tradotto  da 3memillenaire n°98, a cura di L. Scalabrini.

Se tradizionalmente il Tao-te – king , chiamato “ Il libro della via e della virtù” è attribuito a un solo autore, Lao-tseu, vissuto nel quinto secolo a. C., studi recenti hanno mostrato che il libro che ci è pervenuto è stato probabilmente scritto verso il 300 avanti Cristo. A quell’epoca, l’autore ha ripreso nel suo testo numerosi autori più antichi. L’ordine enigmatico dei caratteri cinesi del libro lascia, dopo molti secoli di traduzioni e di interpretazioni, nella perplessità.

Sguardo non duale sul Tao-te- king.

Come i grandi testi spirituali, il Tao-te- king non è leggibile che in termini non duali. Le quattro prime tavole del primo capitolo sono molto significative; presentano sia la via senza via che l’approccio cosmologico che ne deriva. Ecco una traduzione che faremo dal testo originale:
1. La Via che può essere una via non è una via eterna (non temporale)
2.  Il Nome che può essere nominato non è il Nome eterno ( atemporale)
3.  Il Santo Nome è l’origine del cielo e della terra.
4.  Il nominato è la madre di tutte le cose (dei diecimila esseri).

Il Tao, la Via, non è più la via da che diventa una via. Allora perde  la sua dimensione intemporale per divenire una pratica qualunque inscritta nel tempo e nella durata.

Quella idea, apparentemente antica, si trova evidentemente in Cina nel VII secolo attraverso la traduzione cinese  del Sutra del perfetto risveglio che dichiara: “ Non c’è  risveglio graduale e nessun mezzo”.
La stessa cosa per il Sostantivo assoluto, il Nome atemporale che non può essere nominato.

Con gli insegnamenti successivi la percezione dell’Origine del cielo e della terra ci rivela il Senza-nome, il senza sostanza, mentre la sostanza universale, il nominato ( pensabile) rivela la Madre di tutte le cose rappresentabili.

La pratica non duale del Tao-te-king.

I 37 primi capitoli del Tao-te-king sono dedicati alla Via. I successivi 44 sono dedicati alla Virtù, cioè alla pratica spirituale che è non duale per eccellenza. Il capitolo 71 è abbastanza esplicito a questo proposito. Ignoranti della letteratura non duale, molto presente  per esempio nel buddismo, molti traduttori non hanno percepito il senso alchemico della pratica spirituale inscritta in questo capitolo. Eccone una traduzione:
1.    Conoscere senza conoscere è supremo, conoscere conoscendo è malato.
2.    L’uomo solo, malato di malattia, è col rifiuto della malattia.
3.    L’uomo saggio non è malato, è con la malattia della malattia.

Il senso della prima tavoletta, apparentemente nasconde, si giustifica alla luce del buddismo che dice con Ananavajra che il nirvana non conosce né è oggetto di conoscenza,  la sua essenza è suprema(…).
Quando non c’è contemplante né contemplazione né oggetto contemplato, è là ciò che si chiama realizzazione della suprema Realtà. Nessuno, lì, agisce né gioisce dell’azione perché la contemplazione della Realtà è al di là di ogni azione ed ogni godimento. Non c’è chi dà e chi prende, perché non c’è nulla da dare o da prendere.

Il Tao dichiara che conoscere senza processo cognitivo, soggettivo e temporale è  una Conoscenza diretta, suprema, mentre nell’ignoranza o nell’incoscienza ciò che chiamiamo la conoscenza è un movimento  del pensiero che, rispetto alla Coscienza spirituale, è una malattia.
L’uomo solo – la coscienza separata osservatrice – è identificato  con quel processo malsano, precisamente perché rifiuta quella malattia; che non ci creda o che non l’accetti!

L’uomo saggio non è malato, proprio perché è con la malattia della sua malattia.
Lui è alla sorgente della malattia e non è in conflitto  o in una situazione di rifiuto; è molto semplicemente con.

Quella idea si avvicina agli “ Insegnamenti” di Vimalakirti (V° secolo a. C. ) che mostrano come il bodhisattva  si comporta con la sofferenza e il male in generale: non lo rifiuta, non si oppone, è intimamente con, lo segue.

“ Il bodhisattva segue la via dell’errore, ma possiede in ogni cosa la chiaroveggenza della saggezza (…). Segue la via della cattiveria e dell’avversione, ma è assolutamente senza cattiveria e fermamente radicato nella benevolenza e nella compassione (….) Segue la via dell’ipocrisia, ma eccelle nell’esercizio di mezzi salvifici, segue la via dell’orgoglio, ma è per il mondo intero un punto fermo, una palizzata. Segue la via di tutte le passioni del mondo, ma è assolutamente senza sozzura e naturalmente puro.”

Un celebre aforisma della scuola del Ch’an illustra perfettamente quella pratica spirituale non-duale: “ L’illusione e l’assoluto non sono affatto differenti. Finché si è nell’errore, l’assoluto è illusione; per chi si è risvegliato, l’illusione diventa l’assoluto”.

Nel capitolo seguente, il 72, l’idea di essere  “con” induce l’idea di trasformazione o di crescita interiore.

Ma è bene precisare che il Tao-te-king, come tutti i testi ispirati, può essere letto, e tradotto, a molti livelli.
I primi traduttori, avendo dato il tono, va da sé che numerosi capitoli fossero  interpretati e tradotti sia come precetti morali che come riflessioni politiche.

Quell’approccio esoterico rimane però lontano dal senso alchemico del pensiero taoista, così come la conoscenza psicologica dell’uomo. È proprio da quella conoscenza che bisognerebbe tradurre!
La lettura che proponiamo qui è di fatto esoterica.
Così, quando il libro del Tao evoca il popolo, parla dell’io, costituito da una moltitudine di me, che  nello stato ordinario di coscienza si pongono gli uni contro gli altri, si urtano, poi si dominano a vicenda, senza ordine e senza un vero orientamento spirituale, senza una vera Via.

Quell’idea di molteplicità è inscritta nei due ideogrammi che significano l’io e il me.
L’uno rappresenta due armi, due alabarde opposte una all’altra e legate all’orizzontale, che simboleggiano il conflitto temporale di guerra interiore.
L’altra rappresenta una bocca, la parola, sormontata dal numero cinque che simboleggia le cinque direzioni, i cinque elementi e tutto ciò che costituisce la manifestazione, i mille esseri. Qui l’io è rappresentato nei termini di una molteplicità.

Ecco la traduzione del capitolo 72 del testo originale:
1   Quando la molteplicità dei me ( il popolo ) è senza paura del potere ( di cambiare)
2    Allora il grande potere sopraggiunge.
3   Senza essere intimo con lui (la molteplicità non è il grande potere) essa sta al suo posto.
4   Senza detestare (senza conflitto) essa cresce  al suo posto (è la crescita interiore);
5   E l’uomo solo (l’osservatore)  non detesta ( non è più in conflitto con ciò che osserva)
6   Essere con è non detestare più,
7   Essere con è essere un uomo saggio;
8   Questo si conosce senza vedersi,
9    Si ama senza valorizzarsi,
10    E così, lasciando questo, prende quello.

Essere con (la sofferenza) è la prima condizione di ogni trasformazione e si basa incondizionatamente sulla tranquillità interiore.-

La molteplicità dei me si calma e dal gran Potere, dal grande Fare o Mahamudra (grande gesto sacro) secondo il buddismo tantrico, si opera misteriosamente la crescita interiore.
Perché l’osservatore, l’uomo solo non è allora in conflitto con ciò che osserva.
L’uomo saggio si conosce senza vedere, cioè senza giudicare. La sentenza buddista esprime molto bene quell’idea che per molti traduttori è totalmente incomprensibile: “ Lo stolto che vede il non-vuoto, poi vede il vuoto. Non avere visioni positive o negative, è là veramente il nirvana”

E’ in quel senso che  possiamo meditare sull’espressione esoterica di  “ conoscersi senza vedersi”.

Alla fine l’uomo saggio ama se stesso senza valorizzarsi, aperto e senza giudizio, libero interiormente, lascia e prende ciò che viene…