Il miracolo della realtà di Francis Lucille

3ème Millénaire n. 87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3me mill.  La questione dell’illusione e quella della realtà sono affrontate attraverso la realtà in cui siamo, quella a cui crediamo. Cos’è l’illusione?

F.L.   E’ ciò che può scomparire del tutto. Ci si può riferire all’esperienza del sonno notturno, in cui siamo nella giungla equatoriale inseguiti da una tigre affamata, sul punto di essere divorati; il sogno termina con un brusco risveglio. Immediatamente il mondo del sogno si rivela come illusione. Perché? Perché è scomparso del tutto. La tigre, la giungla, il personaggio che corre per difendere la sua vita non esistono da nessuna parte. Ciò che il sogno notturno ci insegna, in fondo, è la natura dell’illusione. Ciò che può scomparire assolutamente non ha mai avuto esistenza assoluta. E’ il significato profondo di quel passaggio della Bhagavad Gita, dove si dice; “Ciò che è, non saprebbe cessare d’ essere, ciò che non è non saprebbe venire ad essere”. Avendo compreso la natura dell’illusione, la natura della realtà diventa evidente: è ciò che non è illusione, ciò che non saprebbe scomparire assolutamente e perciò ciò che non è mai apparso. E’ quello che c’è sempre stato. E’ quello che c’è in questo momento, che supporta i fenomeni, che è la tela di fondo di cui tentiamo a volte di intravedere le regole. E’ ciò che perdura, i cui fenomeni non sono che modificazioni simili alle onde alla superficie dell’oceano. La realtà è l’acqua.

3m.  Prendevate l’esempio del sogno. Che differenza c’è tra il sogno notturno in cui ero identificato con gli avvenimenti, dove ciò che avveniva  aveva valore di realtà e la giornata in cui sono identificato in ciò che succede? Dopo una notte dove avevo l’impressione che una tigre stava per divorarmi, vado al lavoro dove ho l’impressione che il mio capo sta per divorarmi quando ho un appuntamento con lui. Attribuisco a lui, a lui e alla mia soggiacente paura, lo stesso valore di realtà che alla tigre del mio sogno.

F.L.   I due fanno parte della realtà universale. C’è qualche cosa piuttosto che niente, come diceva Heidegger. E’ nel sogno, la tigre e la foresta, come  nello stato di veglia, il capo e la sua collera. C’è una realtà soggiacente, che la nostra intuizione profonda ci dice che è unica. Questo vuol dire che la realtà soggiacente al sogno e quella soggiacente allo stato di veglia sono la stessa realtà. Gli scienziati cercano la natura di questa realtà con mezzi esteriori. Ci arriveranno? Ne dubito…

Il punto importante è il seguente. Ognuno di noi ha accesso a quella realtà. Noi abbiamo una chiave, e una porta. Quello che chiamiamo Io o il Sé, il Me profondo, che è la realtà nella nostra esperienza. Con l’esperienza, voglio dire esperienza limitata, in quanto essere umano. Essa è fatta di pensieri, di sensazioni corporee e di percezioni sensoriali che appaiono alla coscienza. Non c’è nient’altro. La nostra esperienza è dunque molto semplice: delle percezioni appaiono alla coscienza. Quello che chiamiamo Io, è il centro della nostra esperienza, il mozzo attorno al quale si svolge la nostra esperienza. E’ questa parte della nostra esperienza che è costante. Se si prende qualsiasi percezione, ha un inizio e una fine. Un pensiero, una sensazione, una percezione non durano in eterno. Hanno una nascita e una morte e sono rimpiazzate da altri pensieri e sensazioni. Sono delle onde. La realtà nella nostra esperienza, che perdura, che è centrale deve essere per forza la coscienza. Solo questa è costante. Nella nostra esperienza coscienza e realtà sono uno.

3m.  Nei due esempi di sogno, si fa un’esperienza durante la notte e una durante il giorno e il legame comune è “me”. Si potrebbe anche dire che il legame è la paura provata! C’è identificazione con la paura. Se guardo  il modo in cui passa la giornata, l’io si manifesta in diversi modi. Io sono diverso col mio capo (diciamo sottomesso ) e col mio subordinato (diciamo dominatore). Questo io è perciò un io di superficie. La coscienza di cui parlate è quella di questo io di superficie, multipla nella sua forma?

F.L.  Non è affatto vero che l’elemento comune ai due stati di sonno e di veglia sia la paura. E’ vero che può esserci, quando ci svegliamo, un residuo di paura. Ma la sorgente della paura è scomparsa con la tigre. Non abbiamo più paura. Quello che proviamo è dentro il corpo: cambiamenti apparsi dal fatto della paura, e che si riassorbono. Essendo scomparsa la sorgente della paura, i residui di paura si riassorbono.  Il fatto che siano scomparsi nello stato di veglia ci permette di dire che non sono ciò che lo stato di sogno e di veglia avevano in comune. La paura non è la realtà comune degli stati  di sogno e di veglia. La loro realtà comune è la presenza cosciente.

Quando parlo di coscienza, parlo di quella presenza impersonale che non è  toccata da ciò che è percepito, non ha nessun sentimento proprio.

E’ un fatto, come l’universo è un fatto. Una realtà che non abbia al fondo niente di umano, cioè che non è sottomessa alle limitazioni umane. La coscienza è ciò a cui appare ogni limitazione.

Nella nostra visione materialista, che è nei fatti una forma di religione, fingiamo di credere che la nostra esperienza non ha realtà o che la sua realtà è minore di quella dell’universo fisico sul quale essa ci informa. In altri termini, abbiamo una visione  elitaria della nostra esperienza. Ciò che consideriamo  di un livello di realtà superiore è l’universo che è all’esterno. E tendiamo a considerare che la nostra esperienza cosciente, quella per cui conosciamo l’universo, questa presenza cosciente è di un grado di realtà inferiore. Anche se supponiamo che sia così, siamo obbligati ad ammettere che quell’esperienza che è la nostra e con la quale conosciamo il mondo, ha un elemento di realtà. Non è un’illusione assoluta. Ciò con cui la realtà esterna è conosciuta, deve essere reale. Ciò che è irreale non può conoscere il reale! Uno strumento di misura, se è impreciso, non può misurare con una precisione infinita. L’elemento di realtà della nostra esperienza è infatti identico alla coscienza. E’ il nostro vero Me.

Se si dicesse che la coscienza non è l’ultima realtà della nostra esperienza, quale sarebbe allora la realtà della coscienza? Ciò che m’interessa non è il falso me, ma il vero Sé, quello che riguarda l’eternità, quello su cui mi pongo la domanda. Poco importa che il falso me sia effimero, visto che il vero Me è eterno.

3m.  Il falso me o i falsi me non smettono di essere presenti. E’ come se ci fosse un oblio permanente. Questo dà l’idea che il reale esteriore sia primario. Il falso me è così relegato ad uno pseudo reale interiore. Ma se lo si guarda più da vicino, quello che è preso da un falso me per un reale interiore, non è nei fatti analogo all’esteriore?

F.L.  Il falso me si proietta in modo duale sia all’interno che all’esterno. Ci sono immagini esterne a lui. Per esempio, se ci immaginiamo di essere una coscienza separata, vediamo le altre come coscienze separate E’ una proiezione.

Ma a partire dal momento in cui abbiamo riconosciuto che la nostra esperienza ha un elemento di realtà, vuol dire che la nostra coscienza è reale. Se è reale, abbiamo la scelta tra due soluzioni: o ci sono più realtà, o non ce n’è che una. L’ipotesi di molte realtà è contraria alla nostra intuizione profonda. Tenendosi a questa intuizione di una sola realtà, si può convalidare la realtà della nostra esperienza senza invalidare la realtà di un mondo esterno. Non è questione di dire: il mondo esterno è un’illusione. No! Il mondo esterno ha una sua realtà. Ma anche noi abbiamo la nostra realtà. E se non c’è che una sola realtà, esse coincidono. In altri termini, la nostra realtà che percepiamo direttamente con l’esperienza cosciente, deve essere la realtà dell’ universo e quella degli altri esseri, la coscienza degli altri esseri.  Noi abbiamo all’interno di noi, sotto la forma della coscienza, accesso a quella realtà che lo scienziato cerca con l’approccio esterno. Forse non ci arriverà mai, perché è un po’ come pelare una cipolla. Noi siamo direttamente al centro della cipolla, abbiamo nel nostro seno il vuoto che è al centro della cipolla, quella presenza che è la realtà possibile di tutti gli esseri. L’accesso è diretto.

3m.  Parlate dell’intuizione fondamentale che non c’è che una sola realtà. Questa intuizione è come un’onda. La si dimentica, poi riappare quando c’è un richiamo. Come rispondere al richiamo?

F.L.  Basta dire di si. Non resistere, lasciarsi invitare. Ogni sforzo per provocare quel richiamo non fa che ritardarlo. E’ un rumore che impedisce di sentire il segnale. Quando il rumore diminuisce si sente il richiamo. E allora non c’è che da rispondere all’invito. C’è spesso una specie di dicotomia tra quello che sappiamo essere vero e il modo in cui agiamo  nella vita di tutti i giorni. Si tratta di ritornare a ciò che sappiamo veramente, a interrogarci profondamente sulla realtà. Arrivare a scoprire che la realtà della nostra esperienza è la realtà di tutto l’universo e la stessa in tutti gli esseri. A partire dal momento in cui siamo aperti a questa possibilità, è importante mettere in pratica nella vita quotidiana il fatto di sapere che si tratta della stessa realtà, della stessa coscienza che vive nell’altro. Se no, ciò che abbiamo compreso rimane sterile. Se invece lo mettiamo in pratica, la vita diventa un miracolo permanente.

3m.  Che ne è della trappola del sapere? In effetti c’è a un dato momento un’esperienza diretta della coscienza. Però quell’esperienza, invece di restare viva, si fossilizza nella memoria, ma io rimango convinto di avere capito. Ora, non è che memoria, un sapere morto.

F.L.  Se ne fa un concetto e ci si attacca a quel concetto. Si diventa uno che ha avuto quella esperienza. Nello Zen si chiama la “puzza zen”. Ma quando si è veramente interessati alla verità, alla realtà, anche se si passano fasi dove si produce quella fossilizzazione, l’esperienza porta i suoi frutti quando è autentica. La scoperta che non c’è differenza tra  il Sé e il non Sé, come dicono i buddisti, prima o poi porta i suoi frutti.

3m.  Si può parlare di infondere la realtà nell’illusione?

F.L.  Si, nel senso che la scoperta della realtà ha un impatto sull’illusione.

E’ là dove l’universo diventa magico, miracoloso… un miracolo permanente.

La scoperta della nostra natura profonda ha un’influenza non solo sul nostro punto di vista sul mondo, ma ha anche un’influenza sul mondo stesso perché non ne siamo separati. La svolta che prendono le cose con la loro comprensione rivela il loro senso profondo e porta una prova supplementare della verità di quella comprensione. Questa è sentita interiormente sotto forma di pace, di felicità, e esteriormente sotto forma di miracolo.