La Trasmissione: ricevere, sperimentare, conoscere, dare

Alain Kremski

LA TRASMISSIONE Ricevere – Sperimentare – Conoscere – Dare…

Incontri, percorsi, l’esperienza di un musicista…

Traduzione a cura di Maurizi Redegoso Kharitian

La vera trasmissione, disinteressata, cosciente, nel mondo dell’arte, dell’artigianato o della spiritualità, lascia una traccia nell’essere. Appare allora, per colui che ha ricevuto, il sentimento di gratitudine, e per colui che trasmette, il sentimento d’essere veramente responsabile, di rispondere ad una domanda misteriosa nell’universo…
Trasmettere, è in qualche modo pagare il proprio debito sul piano spirituale. E’ un obbligo morale, per aiutare l’altro e se stesso a sviluppare, perché una certa conoscenza preziosa, acquisita dal lavoro e l’esperienza, non sia perduta. Senza dubbio è uno dei sensi di questo proverbio georgiano: Ciò che trattieni non è mai perso, ciò che dai ti appartiene…
La trasmissione, può essere anche, molto semplicemente, un momento inatteso di condivisione, l’attitudine meravigliosa di una persona in un paese straniero, il sorriso di un bambino… Un atto risentito come giusto e rivelatore, se arriva al momento giusto. Poco importa allora la durata…Ci ricordiamo tutta la vita di questi istanti privilegiati, perché hanno un sapore, una realtà, che sono per noi un insegnamento.
Alcune trasmissioni riguardano il sapore. Altre si rivolgono direttamente all’Essere…Altre si indirizzano ai due nello stesso tempo…Da musicista ho avuto la fortuna d’incontrare sul mio cammino dei professori, degli artisti, dei maestri spirituali… Penso a Nadia Boulanger, Olivier Messiaen, Richter, Karajan, Balthus, François Stahly, Jacques Lacarriere, Jean Klein, Madame de Salzmann, Kalou Rimpoche. Ecc. Certi incontri restano impressi nel mio cuore, in quanto hanno certamente cambiato la mia vita, le mie orientazioni, le mie scelte…
Nel mondo della musica, la prima trasmissione è venuta da mio padre, Serge Petitgirard, meraviglioso pianista e meraviglioso professore… Dapprima spontaneamente, quando ero a quattro zampe sul pianoforte all’età di tre anni. Ho imparato a leggere la musica ancora prima di saper leggere un libro! Epoca benedetta, dove la trasmissione aveva luogo in una maniera naturale, semplice, spontanea, senza riflettere e senza sforzo, come un nutrimento evidente, come un gioco… In seguito per volontà di mio padre di prepararmi al conservatorio, di trasmettermi ciò che gli sembrava importante nell’arte del pianoforte, che aveva ricevuto quando studiava con Yves Nat e Alfred Cortot.
Nella tradizione pianistica francese, c’è quest’arte unica del phrasè, l’espressione di un tocco luminoso speciale, una eleganza, una chiarezza. Così, ho ereditato da mio padre questa facoltà: per esempio, in una melodia, una successione di sette note, fare ascoltare – grazie a una relazione tra una sensazione muscolare speciale della mano, ed il pensiero – un colore, una sonorità differente per ogni nota. Il controllo di un peso differente per ogni suono, su ogni nota nell’affondamento delle dita sul pianoforte permette, con una digradazione, una curva speciale dell’energia, di esprimere un arte del vicino e del lontano, che va a toccare l’ascoltatore nel suo sentimento, nel più profondo. Allora la mano obbedisce e posso trasmettere esattamente ciò che desidero esprimere, contemporaneamente sul piano poetico e tecnico.
Ecco per me l’esempio tipo di una trasmissione di un professore ad un allievo: rendere partecipi della propria esperienza, del proprio sapere, ricevuto nello stesso modo da un altro professore. E trasmettere è anche talvolta un segreto!
Quando avevo dieci anni, mio padre mi portò da Nadia Boulanger, per una lezione di pianoforte. Era una grande personalità, una grande signora, l’amica di Valéry e di Stravinsky. Una donna di una grande nobiltà, esigente, rigorosa, abitata da una luce, come percorsa dall’idea del Divino. Possedeva una conoscenza ed una scienza musicale immensa. Mi impressionava molto ! Allora non sapevo cosa mi attendesse… La lezione fu straordinaria, inattesa, nello stesso tempo provante e meravigliosa per un bambino. Una lezione di pianoforte che andava ben al di là di una normale lezione. Me ne ricordo come se fosse ieri, talmente l’impressione nella mia memoria è ancora forte! Avevo preparato molto seriamente un preludio ed una fuga di Bach che pensavo di suonargli…
Di fatto, per più di un ora, non andai oltre le prime note!
Tre note, e già mi fermava…
Ma come ti prepari prima di suonare? Eri immobile, adesso entri in movimento, ma non eri pronto, non eri qui, non presente, per passare da quella immobilità al movimento… ricomincia.
Tre note, e mi riferma nuovamente :
Ma come sei seduto ? Non puoi iniziare a suonare non stando diritto sulla sedia… Sii cosciente del
tuo stato…
Due note e…
Adesso sei ben diritto sulla tua sedia, ma di colpo sei rigido, troppo teso, allora non puoi essere libero…
Un buon pianista deve sentire l’asse della sua colonna vertebrale, possiede una sua nobiltà, ma nello stesso tempo occorre sciolti… Ricomincia !
Tre note ancora, e…
Ma come respiri ? La musica è respirazione, non sento vita in queste prime tre note. Ricomincia…
Cinque o sei note!
Non fai abbastanza attenzione. Mi annoio ad ascoltarti, perché le note non sono collegate fra loro. Le note, sono come le perle di una collana, tengono insieme perché sono legate da un filo. Ma quando suoni dov’è il filo ?
E mi racconta quell’aneddoto di Mozart bambino, che strimpella sul clavicembalo. A suo padre che chiede cosa stesse facendo, rispose : “cerco le note che si amano…”.
E tu cosa cerchi suonando? Vuoi suonare secondo la tua fantasia, o piuttosto obbedire al pensiero del compositore? Ricomincia…
Ancora qualche nota…
Bambino mio, non hai abbastanza amore per questa musica che suoni. E poi, non fai abbastanza attenzione, sogni… Dove sei, mentre suoni ? Ricominciamo…

La lezione si svolse interamente in questa maniera, con queste interruzioni. Percepivo allo stesso tempo la sua esigenza e la sua bontà. E qualcuno, contrariamente a numerose “grandi persone” si faceva carico di spiegarmi ogni volta cosa non era giusto, e perché bisognava ricominciare… Per trasmettere qualcosa a un bambino, bisogna essere giusti. Allora il bambino non si sente giudicato, accetta e capisce…
Quel giorno, con Nadia Boulanger, non andai oltre le prime dieci note… Ma l’importante era altrove…Ho capito molto più tardi, che avevo ricevuto lì, in una certa maniera, la mia prima lezione di yoga: come essere presenti suonando il pianoforte nello stesso tempo con il corpo, il sentimento ed il mentale, con tutta la mia presenza.
La fuga a 4 voci di Bach, successivamente, fu Nadia Boulanger che la suonò per me. E si prese la briga di dare questo meraviglioso regalo ad un bambino. Ero impressionato dalla limpidezza del suo modo di suonare, l’architettura musicale di Bach che si rivelava nella sua interpretazione. E ho detto innocentemente ai miei genitori, rientrando a casa: è la prima vota che ascolto una musicista che suona così bene che ho potuto seguire le quattro linee melodiche insieme, che avevano la stessa chiarezza ed energia!
L’impatto e la forza di questa lezione mi hanno accompagnato, e mi accompagnano ancora…
Più tardi, con le opere di Stravinsky, riuscirà a farmi vivere l’opera, allo stesso tempo in uno spazio del Fuori e del Dentro. Architettura e piani sonori, equilibrio delle linee, ritmo, pulsazioni, sentimento del sacro, diventando limpido ed evidente. Nello stesso tempo, occorreva imparare a provare ciò che il compositore aveva voluto esprimere, potersi quasi mettere al suo posto! Allora obbedire, avere del rispetto per l’opera, servirla, prendeva un senso…
Nadia Boulanger mi ha trasmesso, ancora bambino, questa capacità di percepire l’importanza del continuum in musica, e la necessità di sviluppare uno sguardo, una attenzione per essere capace di seguire i movimenti d’energia di diverse linee melodiche sovrapposte nello stesso tempo, integranti una percezione speciale del Tempo ed essendo sempre in contatto con il ritmo giusto.
Fu molto più tardi, ascoltando dei grandi maestri di musica indiana o giapponese, che ho realizzato che mi aveva trasmesso, quando ero ancora bambino, queste nozioni di ATTENZIONE, di CONTINUUM, di SGUARDO e di qualità d’ENERGIA, a mia insaputa…
Questi momenti veri ed autentici dove si opera una reale trasmissione si collegano gli uni agli altri attraverso il tempo. Mistero e meraviglia di una trasmissione giusta in un momento giusto! La luce di questo istante continua a risuonare attraverso gli anni !
Mia madre in quanto delegata alla Deutche Grammophone, (e, come la maggior parte delle madri, non poneva niente in dubbio per suo figlio) mi aveva organizzato, avevo venticinque anni, un incontro con Karajan! Era in occasione di un cocktail, mi avevano avvisato che mi avrebbe concesso quindici minuti. Ho ricevuto quel giorno qualcosa di prezioso, che non riguardava la musica, ma semplicemente la vita !
Karajan mi appariva come una sorta di Dio inaccessibile, aureolato della sua celebrità e del suo genio. Da lui si rilasciava un profondo magnetismo, ed ero molto intimidito ed impressionato. C’era molta gente, ed era molto richiesto. Ma quando ci siamo potuti sedere un pò appartati, abbiamo potuto parlare e ciò che ho vissuto in quell’istante era molto forte, era come un insegnamento!
Mi guardava con acutezza, benevolenza ed attenzione, e mi ha fissato durante tutta la conversazione con uno sguardo intenso, di una immensa chiarezza, mettendomi a mio agio. L’incontro ha durato effettivamente esattamente quindici minuti, ma ciò che mi ha colpito soprattutto, era la maniera in cui si era reso, nel mezzo della folla e del rumore, completamente DISPONIBILE. Durante quindici minuti, mi ha dato l’impressione che ero la persona più importante della serata, e al momento dell’incontro, era tutta ATTENZIONE, come se niente attorno a lui esistesse.
Ho provato più volte la stessa sensazione, di fronte per esempio a dei grandi maestri tibetani. Il loro tempo era prezioso, sono molto occupati, sollecitati da tutte le parti, eppure, al momento di una conversazione, con tranquillità, sono completamente aperti, presenti, disponibili. Questo atteggiamento, questa maniera d’ESSERE è importante quanto il contenuto dello scambio in sè.
Il mio incontro con Madame de Salzmann, la discepola diretta di Gurdjieff, è stata determinante. Ho avuto il privilegio di vederla spesso, soprattutto quando ho composto delle sequenze per coro, e orchestrato tutte le danze sacre del film di Peter Brook, “Incontri con Uomini Straordinari” ispirato dal libro autobiografico di Gurdjieff, libro che evoca la sua ricerca della conoscenza con i “Cercatori di verità”, i suoi viaggi in Asia Centrale, i suoi soggiorni nei monasteri segreti e i suoi incontri con diversi saggi orientali.
Lavorando con lei, ho cominciato a capire perché ero incapace di mantenere lungamente la stessa attenzione, la stessa qualità d’energia, nei miei recital al piano, come nella vita. Pensiamo dai tempi della scuola che i processi di energia, le vibrazioni, si sviluppano in maniera continua, seguendo una sorta di “linea dritta”. Ma Gurdjieff insisteva sull’aspetto discontinuo delle vibrazioni. Nella scienza antica, la scala musicale simbolizzava un processo d’evoluzione o d’involuzione. Per passare da una nota all’altra, dobbiamo stabilire degli intervalli, occorrono degli “scock addizionali” d’una certa materialità, d’una certa qualità, al momento giusto, perché l’energia possa continuare nella stessa direzione. Altrimenti cambia direzione, andando fino allo sviluppo nel senso inverso. E’ una legge cosmica nell’universo, che ritroviamo in tutte le scale.
Prendo il rischio di evocare qui una “lezione” che ho ricevuto da parte di questa donna straordinaria. Già molto anziana, sempre calma, raggiante, luminosa, aveva una presenza particolare, molto impressionante. Di fronte a lei, ricevevo una energia di una grande pienezza, di una grande densità, che dava irresistibilmente il desiderio di svegliarsi, andare verso questo stesso stato d’essere…Sentivo che mi vedeva tale e quale io ero. Ma nel suo sguardo contemporaneamente benevolente ed esigente, non c’era giudizio. Anch’io mi sentivo libero, in una relazione semplice, come ho potuto viverlo ugualmente davanti a dei grandi maestri tibetani. Anche in presenza di altre persone, l’essere in se comprende le lezioni, che siano esse rigide, e possono accettarle senza reagire, senza sentirsi umiliati, in quanto non c’è nessuna carica emozionale, negativa, nessun giudizio, nell’impressione, gli schock cosi indirizzati, al momento giusto, con uno sguardo oggettivo.
Mi aveva chiesto di comporre delle musiche per delle danze sacre che dovevano figurare in un altro film. Avevo promesso di apportare per una prova una nuova musica che mi aveva chiesto per il martedì o per il mercoledì. Il martedì, gli spiegavo che la musica non era ancora pronta in quanto mi aveva detto che avrei potuto portarlo “forse” il mercoledì. Mi guardò allora sorridendo, ma mi disse con una certa severità: “mio povero Alain, avete la malattia del domani. Ma nell’universo, tutto è perpetuamente in movimento, niente aspetta…”.
Visto dall’esterno, dire ad una persona che “nell’universo, tutto è perpetuamente in movimento, niente aspetta…” può apparire banale. Ma l’istante preciso dove questa frase è stata pronunciata, l’intensità del suo sguardo, la forza della sua presenza, hanno determinato che questa frase abbia provocato in me un’impressione straordinaria. Aveva messo in evidenza uno dei miei punti deboli, questa tendenza alla pigrizia, a rimandare all’indomani tutto ciò che mi annoia… Questa frase è rimasta impressa nella mia memoria. Ho potuto scoprire la mia tendenza a troppo spesso “aspettare”, come se l’energia dovesse venire dall’esterno, mentre l’impulso di un lavoro deve venire dall’essere, dall’interno.