L’equilibrio pensiero-sentimento e la mutazione di Robert Linssen

L’equilibrio della ragione e dell’amore, del pensiero e del sentimento ha per scopo di permettere la loro utilizzazione con una realtà o funzione superiore

Da coordinatore che era il pensiero deve essere coordinato, utilizzato per una funzione ed una realtà che lo oltrepassa
Come Jung, Krishnamurti considera il sentimento intimamente legato al pensiero nel processo del me. Le loro differenziazioni sono all’origine di tutti i conflitti generatori di tensioni psichiche.

La sola soluzione ai disequilibri psichici sta in un certo ordine interiore che deriva da una conoscenza di sé più approfondita. Questa va verso una possibilità di superamento del sé.

Nell’uomo alla scoperta della sua anima, Jung evoca la stessa necessità: “ Ci occorre spingere il nostro malato verso quella regione dove si produce quella nascita creatrice che “strappa- dentro la madre” e che è nel senso più profondo la causa di tutte le dissociazioni della superficie”

Per Krishnamurti, non c’è libertà vera che a partire dalla scoperta del Reale

Ma uno  studio più attento dei due insegnamenti ci rivela una volta di più che le similitudini sono più apparenti che reali. Non esistono che all’inizio del percorso  verso le profondità dell’interiorità. Nel corso della strada c’è una biforcazione importante quanto alle possibilità del destino umano, della conservazione dell’ego, della mutazione psichica e spirituale.

L’esperienza junghiana orienta l’essere umano verso la scoperta del legame che la unisce alla realtà. E’ la stessa essenza della maggior parte delle esperienze religiose. Per Jung l’esperienza religiosa è un’esperienza di comunione nel corso della quale la dualità del soggetto meditante e della realtà universale resta intatta.

Nell’ottica di Krishnamurti, la dualità del soggetto – meditante e della realtà universale scompare. Questa esperienza non è più una comunione nel senso abituale del termine, che lascia intatta e arricchisce l’entità che la prova; al contrario consiste nella volatilizzazione pura e semplice dell’entità sul piano psicologico per non lasciare il posto che al reale. Si tratterebbe più esattamente di una integrazione.

L’equilibrio tra il pensiero e il sentimento potrebbe essere illustrato con un semplice esempio, mettendo in evidenza l’esistenza di una Realtà spirituale trascendente  che le ingloba e le domina, pur essendo staccata dai caratteri specifici del pensiero e del sentimento o meglio ancora dall’intelligenza e dall’amore come lo conosciamo.

In quella comparazione che non riguarda che noi stessi, la Realtà suprema che Krishnamurti in modo molto prudente designa con termini come l’ignoto o l’intemporale, o l’incommensurabile o ancora ”l’Alterità” è paragonata alla luce bianca. Questa è “una” prima che il prisma non la decomponga nello spettro luminoso dei sette colori fondamentali.

Il nostro paragone raffigura l’essere umano come un prisma vivente costruito in vaso chiuso e limitato nel tempo e nello spazio. E’ attraverso quel prisma vivente che la Realtà unica essenziale si esprime. Il prisma è un mezzo trasformatore di energia che decompone la luce bianca nei suoi componenti fondamentali.

L’essere umano può essere considerato un trasformatore d’energia nel quale e attraverso cui  la Realtà Una si decompone rivelando ugualmente alcuni dei suoi fondamentali componenti. Nel caso della luce bianca i componenti sono il viola, il blu, il verde, il giallo, il rosso ecc….

Nel caso della Realtà Una i componenti sono qualità o particolarità psichiche, come l’intelligenza, l’amore, ecc.

Come la luce bianca non è specialmente il blu, il verde, ecc., rivelati e dissociati grazie al prisma, la Realtà essenziale non è né l’intelligenza, né l’amore, né il pensiero ecc, come si manifestano sotto l’aspetto di una divisione che ci è familiare.

A molti sguardi la luce bianca è la sintesi  indivisa dei colori particolari essendo affrancata dai loro colori specifici. Essa resta il principio puro della lucentezza.

Allo stesso modo , la Realtà essenziale – che non solo portiamo in noi, ma che è la realtà unica degli esseri e delle cose – è una pienezza indivisa, omogenea, libera dalle qualità psichiche specifiche di amore, intelligenza, come si manifestano sotto l’aspetto di una divisione o di una separazione che ci è familiare.

Proseguiamo il nostro paragone in profondità e ci sembra utile e interessante ciò che segue:
supponendo che percorriamo in senso inverso della loro traiettoria, i raggi luminosi che generano lo spettro dei colori fondamentali, che succederà? Vediamo prima la superficie del prisma. Immaginiamo poi che sia possibile entrare all’interno del prisma percorrendo il sempre la traiettoria della luce bianca iniziale in senso inverso. Usciremo dall’interno del prisma e emergeremo dall’altro lato, al livello d’impatto dei primi raggi della luce bianca nella pienezza della brillantezza indivisa.

Ma per essere completi, ci occorrerà fare un’aggiunta paradossale. Se veramente ciò che stiamo per evocare si realizza il prestigio della Realtà è tale che essa si impone da sola nel suo carattere di priorità con una tale potenza che da quell’istante noi non siamo più lì a livello psicologico.

Krishnamurti ne ricorda molto spesso il senso nei suoi scritti. “ Voi sareste il tutto, la luce e  la bellezza dell’amore . La frase fareste parte del tutto è ancora un errore: la parola voi non è al suo posto, perché in realtà voi non sareste lì. Voi non esistereste. La parola voi e io separano. Ma non c’è nessuna divisione in quella immobilità e in quel silenzio.”

Krishnamurti insiste spesso sulla inesistenza di ogni divisione, di ogni frammentazione al livello della Realtà essenziale. Evita di parlare del pensiero e del sentimento come funzioni separate.

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Certe precisioni si impongono dal momento in cui utilizziamo parole come intelligenza o Realtà suprema. Abbiamo insistito a più riprese sul fatto che Krishnamurti usa raramente quelle espressioni allo stesso titolo che evita di impiegare la parola Dio. Abbiamo segnalato spesso e insisteremo ancora , per Krishnamurti il pensiero non è l’intelligenza. Mai, dice il pensiero conoscerà la realtà.

Dice: “Cosa potete conoscere? Solo ciò che è passato, ciò che è statico, che è morto. Non potete conoscere la Verità che è continuamente creatrice, vivente”.

E’ evidente che l’intelligenza di cui parla Krishnamurti oltrepassa tutto ciò che è stato detto o scritto dalla maggior parte delle filosofie tradizionali; non sarebbe mai definibile così come lo vedremo altrove perché è una realtà multidimensionale che sorpassa ciò che mettiamo nelle nostre categorie di trascendenza e di immanenza  pur inglobandole. Krishnamurti rifiuta di parlarne.  A questo proposito dichiara: “ Non conoscete la coscienza che per il suo contenuto; il suo contenuto  è ciò che succede nel mondo di cui fate parte. Vuotarsi di tutto questo non è essere senza coscienza. E’ vivere in una dimensione totalmente differente. Non potete fare ipotesi a proposito di quella dimensione lasciatelo ai sapienti e ai filosofi. Ciò che possiamo fare, è sapere se è possibile decondizionare la mente diventando lucidi, totalmente attenti»

Come decondizionare la mente? E’ in questo che è parzialmente  ciò che Krishnamurti chiama una impossibile domanda per il fatto che il pensiero che tenta di operare quel decondizionamento  non è essa stessa  nel suo stato attuale  di funzionamento  che condizionamento e fattore di condizionamento. L’attenzione si dovrebbe applicare allo studio della natura dello stesso pensiero.
Krishnamurti e Jung attirano la nostra attenzione sull’importanza della memoria nel processo mentale, nel conscio e nell’inconscio, ma le conclusioni che fanno sono differenti.

Krishnamurti insiste molto più di Jing sul carattere condizionante della memoria e fa sempre appello all’urgente necessità  di un affrancamento dal conosciuto . Considera che l’apparente solidità psicologica del me risulta dall’immenso fardello di memorie del passato.

Il problema centrale della realizzazione interiore è in una perfetta disponibilità alle ricchezze spirituali di una realtà a- temporale  affrancata dalle qualità  di continuità di durata e di continuità che ci sono familiari. Il processo di meditazione  che ci suggerisce Krishnamurti implica una armonizzazione del cosciente e dell’incosciente e poi un affrancamento dal notevole dominio delle memorie che ne sono i materiali di base.

Le memorie sono tutte impregnate del passato, delle energie del tempo del desiderio oscuro di durata e continuità. Esiste un’opposizione tra l’eterna presenza a- temporale della realtà spirituale e l’enorme edificio del passato e del tempo che costituisce l’essere umano.

Ricordiamo l’espressione utilizzata nella Gnosi di Princeton in cui l’essere umano è presentato come un miliardario del tempo e della memoria. Queste sono le ragioni per le quali l’inconscio  ci influenza molto più di quello che vogliamo ammettere

Per Jung l’uomo ordinario non possiede le sue facoltà, ma sono loro che lo possiedono. Come diceva Bergson siamo molto più agiti di quanto non agiamo noi stessi.

La vera libertà sta nel fatto di non voler più essere agiti dalle pulsioni costanti dell’inconscio che ci rinchiudono nella coscienza limitata dell’ego, della sua illusoria continuità, delle sue tensioni conflittuali.

Un immenso lavoro di chiarificazione, di dissociazione, delle nostre associazioni psicologiche più sottili, ci attende. C’è molto più da disfare che da fare.

La realtà non si costruisce attraverso di noi.Essa non si conquista con un atto di volontà. Essa si scopre.

Durante le sue conferenze a Madras nel 1947, Krishnamurti disse in inglese;”you cannot choose reality, reality must choose you”; “ voi non potete scegliere la realtà, ma la realtà vi sceglie. “ Sarebbe assurdo interpretare la frase nel senso di una scelta che viene dal divino che sceglie gli eletti. Niente sarebbe più lontano dall’ottica di Krishnamurti.

Il senso della frase è tutto diverso. Significa anzitutto che non dobbiamo fare nulla nel senso di un atto di volontà, nel senso cumulativo del termine che viene dall’entità psicologica che crediamo di essere. Dobbiamo realizzare condizioni di disponibilità tale che la realtà possa operare su di noi. Non possiamo agire sulla realtà profonda del nostro essere  e di ogni cosa. Dobbiamo realizzare un auto chiarimento del processo del nostro pensiero che ci libererà dall’illusione di essere una entità psicologica distinta. Questa illusione è l’unico ostacolo alla disponibilità interiore. Quando essa è dissipata, la realtà può operare.

Ma ogni tentativo che viene dall’ego o entità per ottenere qualsiasi cosa nell’ottica antica ci chiuderà nel circolo vizioso della continuità che ci imprigiona.

Questa la ragione per cui Krishnamurti fa una differenza tra trasformazione radicale o mutazione e ciò che chiama la continuità modificata. Finché esiste il processo do scelta, lo stato di confusione continuerà.

Le esperienze e gli stati che risultano dai processi suggeriti da scelte e memorie sono stati  auto-proiettati. Resteranno prigionieri della continuità della coscienza e del suo sentimento di durata.

Per Krishnamurti, il risveglio interiore si realizza con la cessazione di ogni esperienza auto- proiettato. Il risveglio non è un risultato delle manipolazioni mentali.
Questa realizzazione è definita da Krishnamurti la cessazione della continuità modificata e la trasformazione fondamentale o mutazione.

A cura di L. Scalabrini.