Fisica del 2000, metafisica tra 2000 anni, una vera filosofia di Aimé Michel

Socrate, abbiamo appreso “fece discendere la filosofia dal cielo sulla terra”. Avendo proposto l’uomo come misura di tutte le cose, la saggezza dopo di lui prese l’uomo come primo oggetto, spesso unico oggetto.

O Socrate dalla bocca d’oro! Non ha scritto niente e però duemila e cinquecento anni dopo il suo precetto rimane recepito fedelmente: l’uomo, l’uomo, sempre l’uomo, anche quando lo si distrugge o si immagina che lo si distrugga, o che lo si restituisca al “mondo minerale”, come Levi-Strauss. Dimentichiamo il nome del saggio contemporaneo autore di questa parola forte: ” la Natura mi rompe le scatole”.
La natura annoiava sicuramente Socrate, il cittadino che non una volta si sposta per vedere il mare, che non esce da Atene che per compiere, come dice, il dovere di soldato. Fece dunque discendere la filosofia sulla terra. Ma discendere da dove? A cosa pensavano gli uomini prima di non pensare che a se stessi?
Alla legge primordiale. All’universo. Allo spazio celeste. All’origine delle cose. Alla loro fine. Al significato dell’essere. Al cambiamento. Al tempo. All’infinita molteplicità dei mondi.

E’ Talete, il più vecchio dei presocratici che personifica meglio quei tempi primitivi. Talete che, uscito la notte a contemplare gli astri, cadde, dice, in un pozzo. Talete che, secondo Aristotele, diceva : “Il mondo è pieno di dei”. Talete ancora che, secondo Aristotele e  Ippia, attribuiva la vita stessa alle cose inanimate e citava come argomento le proprietà della calamita  e dell’ambra(dell’ambra ionizzata per sfregamento che attira o respinge gli oggetti leggeri).

Oppure è Anassimandro,  altro presocratico di Mileto, che crede che una sostanza unica che chiama illimitata è la sorgente di tutte le cose. Dopo Simplicio, Anassimandro insegnava che  “gli opposti si trovano all’inizio nella sostanza primordiale, senza confini, e poi si differenziano”.

Un altro, Anassimene di Mileto, precisa, secondo Ippolito, che  “dalla sostanza primordiale deriva tutto ciò che è, è stato e sarà, compresi gli dei e il divino”.
La vita è inerente alla materia? E’ lei che cambia nello stesso tempo di ciò che è mosso? Guthrie, uno degli storici più recenti, del pensiero greco, dice che queste domande non cessano di tormentare i grandi spiriti fino a Socrate.

Verso il 450 dunque  “la filosofia scende dai cieli sulla terra”. Poi è Dio che discende sulla terra: crocifissione. L’umanità continua. Quattro secoli più tardi, l’ultimo saggio greco, Hierocle, insegna per l’ultima volta la legge primordiale: onora  gli dei immortali, nell’ordine che fu loro assegnato dalla legge.

Hierocle sa di essere l’ultimo, che il suo mondo sta per finire. A Costantinopoli ha visto da vicino il mondo nuovo che già lo sostituisce. Arretrato per il suo insegnamento pagano e condannato alla flagellazione, prende in mano il suo sangue che cola e lo mostra al magistrato cristiano: “Tieni, bevi, Ciclope che mangi la carne umana!”. E’ un verso di Omero che l’altro senza dubbio non conosceva nemmeno.

Parlando di Socrate, Hierocle paragona i suoi ragionamenti ai dadi che cadono sempre  sul piede da qualunque parte li si getti. La parola della fine dell’antichità è un supremo sforza di coscienza per il rigetto della fascinazione socratica. Ma a che serve ormai esorcizzare Socrate, anch’esso dimenticato?

« Contempliamo per un momento le tenebre illimitate dove accade l’atto di creazione. Ondeggiamo in uno spazio dove il tempo non esiste ancora poiché non ci sono movimenti. La materia fa apparire il movimento, con lui il tempo. Questo spazio è il fondo immobile»

A un discorso cominciato così, si sente la risposta sarcastica di Socrate, il suo scoppio di risa: “Prima conosci te stesso”. E come una eco, il sogghigno della filosofia moderna. Ma Pitagora, Anassimandro, Talete,  Eraclito, Xenofane, loro, avrebbero avuto qualcosa da ridire. L’autore di questo scritto è un presocratico ben riconoscibile. Crede che ci si possa giustamente interrogare sull’inizio delle cose, sulla legge primordiale, sull’assoluto.

Si chiama Itzhak Bentov, è americano, gli interessa poco filosofare, essendo ingegniere: inventa apparecchi di biologia e di medicina. Bentov: uno sconosciuto che nessun filosofo leggerà, nemmeno in America. Sono trent’anni che Koesstler annuncia la morte della filosofia professionale, suicidata alla roulette socratica o cartesiana, e la sua resurrezione tra i sapienti. Ebbene, è così! Ho citato Bentov. Potrei nominarne  venti altri, forse cento, tutti scienziati, tutti ignorati dalla filosofia  scolastica ( e reciprocamente). Hanno improvvisamente sentito insieme, senza conoscersi, nello stesso momento, “nei meravigliosi anni  settanta”, come dice uno di loro, il bisogno di spiegare come vedono il mondo, l’uomo nel mondo, la relazione tra la scienza e la coscienza, della fisica quantica e della mente.   E’ una fioritura e tanto più interessante perché tutti quegli uomini e donne appartengono  ad almeno tre generazioni. Certi potrebbero essere miei genitori, altri miei figli. C’è stata maturazione, a volte molto lunga, a volte iniziata in pieno  “trionfalismo  razionale” negli anni venti. Grandi spiriti si facevano già quelle domande quando io cominciavo a leggere, e quello si sa un mezzo secolo più tardi.

«La mia ambizione di fare una teoria dell’universo risale ai tempi in cui studiavo i matematici a Princeton nel 1927  “confessa A.M. Young che aspetterà il1976 per pubblicare due libri  che riassumono i risultati  delle sue meditazioni. Nell’intervallo, ha, tra le altre cose, inventato l’elicottero Bell. Perché ha atteso, come gli altri, “ i meravigliosi anni settanta “?

Perché è allora che la scienza modello, la scienza materialista per eccellenza, in breve, la fisica – sviluppando, secondo la sua logica matematica e sperimentale, un percorso che risale all’inizio del secolo ha  esploso nell’universo miracolo e magia.

In quell’universo certi fisici, come il francese Costa de Beauregard, aveva penetrato fin dagli anni cinquanta. Ma ciò che essi dicevano era talmente nuovo, talmente impressionante, talmente ingiurioso nei confronti del buon senso, che venti anni di discussione non furono loro troppi per farsi capire. Non è che all’inizio degli anni settanta che i loro colleghi cominciarono a prendere sul serio, poi ad esaminare attentamente le loro ragioni, infine a convenire che la fisica era arrivata alla sua ora di verità. Tutti ormai non “pensano che a questo”.

Spiego ora di che si tratta. Non ho bisogno di essere fisico, sebbene la sorgente sia nella fisica. I fisici stessi si sono dati la pena di dire in un linguaggio comune le grandi idee che li ispirano.  E anche che l’universo che ora esplorano è lui stesso uscito dalla fisica, senza abbandonarla, per ritrovare le intuizioni fondamentali dell’anima, quelle verso cui la scienza,  il genio greco alla nascita si era spontaneamente rivolto per tentare di percepirvi gli ultimi segreti. Dopo una deviazione  di più di venti secoli nei quali la scienza, per essere pura, aveva abbandonato l’uomo  alle dispute contraddittorie dei filosofi, eccola che, avendo spinto la purezza ai limiti, si vede costretta  a spezzarli ed a prendere infine l’uomo in conto nei suoi calcoli.  Con una coincidenza in cui ogni pitagorico vedrebbe il compimento della legge primordiale a cui nulla sfugge, la riscoperta della scienza con l’uomo arriva nel momento stesso in cui le cosiddette scienze umane  si lamentano di non avere più oggetto, essendo l’uomo, dicono, restituito a causa loro alla trivialità del sasso. Giustamente il sasso è dei fisici. E i fisici dicono: “No”.  L’uomo reso ai fisici ritrova con loro ciò di cui li si voleva privare: la sua essenza spirituale.

La porta della fisica sull’uomo si è aperta senza chiasso, all’insaputa di tutti verso gli anni 1930, quando la matematica dei fenomeni atomici ha svelato il mistero apparentemente insolubile e assurdo dell’indeterminazione.

Ecco un elettrone che vola nel vuoto del tubo catodico. Dov’è ?Fino a che non è arrivato al detector che è lì per segnalarlo, non ne sappiamo niente. E quando è giunto e l’ago fa un segno, mostrando l’azione del carico, sappiamo che era là, ma che non c’è più. Con qualche apparecchiatura che si immagina, le diseguaglianze di Heisemberg ci avvertono che non si può immaginare nessuno che ci dica allo stesso tempo la sua posizione e  la sua quantità di movimento. Tutti sanno questo da più di mezzo secolo. Da lì è nata una discussione dapprima solo fisica, poi filosofica. Ciò che si è chiamata l’interpretazione di Copenaghen, infinitamente dimostrata ad ogni nuova esperienza, obbligò ad ammettere che l’impossibilità di sapere non era da attribuire alla mancanza di sapere, ma alla realtà della indeterminazione.

Da quella indeterminazione reale, che è nella natura delle cose, tutto ci mostra dal 1930, la generalità. Passata una certa piccolezza – quella dell’atomo, dell’elettrone, del fotone, quella dei fenomeni che si manifestano con l’apparizione delle onde e dei corpuscoli-, tutto si fa in virtù di una meccanica unica, misteriosa, che una equazione di Schrodinger permette di calcolare, di descrivere in cifre, ma che la mente è impotente a vedere in forma di immagine, e che si chiama il collasso dell’onda “psi” (che non ha niente a che vedere con la parapsicologia) . Tutto questo è stato più volte volgarizzato, alcuni filosofi vi hanno aggiunto le loro fioriture, e però il senso reale generale dell’indeterminazione  non ha che tardi assunto la sua vera dimensione, anche nella mente dei sapienti.
Credo che il caso di indeterminazione più impressionante per i profani, tra cui io, è quello della disintegrazione del nucleo atomico. Ecco un sassolino di radio puro, diciamo di due grammi; è formato di un aggregato di atomi tutti rigorosamente identici  (che vuol dire la sua purezza: non ci sono che atomi di radio  ciascuno è identico a ciascuno degli altri).  Questo sassolino è radioattivo cioè ad ogni momento, inesorabilmente, un certo numero dei suoi atomi si disintegrano trasformandosi in radiazioni diverse, sempre le stesse anch’esse. Questo è di una assoluta regolarità che niente può far variare sebbene alla fine di1590 anni, il suo periodo, non rimarrà che un mezzo grammo. Ad ogni periodo, perde la metà della sua massa. Tutto questo sembra semplice, non ci si domanda perché, tra tutti quegli atomi identici, certi si disintegrano ora e altri tra 10.000 anni 100.000 secoli.Ogni periodo vede sparire la metà del nucleo. Tra mille miliardi di anni, o di secoli, resterà ancora la metà della metà della metà . C’è qualcosa che resiste all’immaginazione e ad  ogni ragionamento: se consideriamo uno tra tutti i nuclei non c’è niente in lui che determini se si disintegrerà nel secondo che segue o tra cento anni. Forse sarà ancora lì tra mille miliardi di secoli. Qual è la differenza tra due nuclei, di cui uno esplode in questo momento e un altro che sopravviverà alla fine del mondo? La fisica quantistica ipotizza che esista tra due nuclei una differenza che non percepiamo o che si possa attribuire all’ipotesi dell’indeterminazione reale, cioè dell’esplosione che accade senza causa. Questa ultima ipotesi sola rende conto di ciò che accade non solo in questo caso, ma nell’insieme di tutti i fenomeni fisici.

Cos’è il collasso?

Dalle prime scoperte di Louis de Broglie, verso il 1923, è stata presa l’abitudine di considerare la materia, la luce e le onde elettromagnetiche in generale come delle entità chiuse di “realtà complementari”, l’onda e il corpuscolo. Ogni particella comporta  anche la sua “ nda associata”. Una particolarità strana di quella complementarietà  era che il corpuscolo e l’onda non potevano essere messi in evidenza simultaneamente. La nozione di “realtà complementare”  è allora passata dalla fisica alla filosofia e di là al linguaggio di tutti i giorni.

In fisica si immaginava un’onda che accompagnava realmente uno spostamento della particella materiale. Le due realtà complementari  erano conosciute come simultaneamente reali, sebbene rifiutassero di farsi vedere insieme. Uno studio di mezzo secolo su quello strano rifiuto, ha condotto gli scienziati ad una nuova presa di coscienza:  le realtà complementari  non erano che un espediente verbale per sbarazzarsi  di un fatto incredibile e più profondo, che si esprime con la teoria quantica dei campi:  è l’onda sola che esiste se non guardiamo, ma dal momento in cui vediamo l’onda, è il corpuscolo che si manifesta; ma nel momento in cui si manifesta, non è più, è di nuovo l’onda. Il collasso è questo evento misterioso, descritto dall’equazione di Srhodinger nel corso del quale l’onda si manifesta sotto forma di corpuscolo, che cessa di esistere manifestandosi, ridiventando un’onda in un campo.

La luce per esempio è un’onda finché non si manifesta, ma se urta uno schermo, è un fotone che urta, non più un’onda, il fotone cessa di esistere in quanto fotone e ritorna onda.
Si chiama collasso questa transizione quantica. L’equazione di Schrodinger prevede le probabilità di ciò che accadrà in una transizione. Ma il fenomeno fondamentale su cui si basa l’intero universo fisico è un sfida logica, a cui non si riesce a dare una risposta, se non accettando di uscire dalla fisica stretta.

Il lettore scuserà questa reiterata pedagogia; essa ha per scopo di preparare un faccia a faccia con una realtà che costituisce il fondo delle cose, poiché tutto accade con questa meccanica del collasso, dalla fisica delle stelle alla chimica della digestione, a quella del sistema nervoso, del dolore e dello star bene, a quella del sogno e del sonno. Questo ci fa scoprire nel fondo delle cose una completa a- causalità. Il principio di causalità scompare del tutto nell’infinitamente piccolo, da cui nascono tutte le cose esistenti.

L’infinitamente piccolo che genera il nostro essere non agisce con  concatenamenti di causa e effetto. E’ un universo escluso dalla necessità. Il peggio che può accadere, ha detto Planck, sarebbe immaginare una filosofia fondata su una fisica che non esiste più.

Ma bisogna rinunciare a quella filosofia e scrutare quella che ci impone la nuova fisica. Il mondo a- causale che supporta il nostro, cosa è?
Il lettore noterà che non siamo ancora usciti dalla fisica, che, al contrario, ci siamo immersi più profondamente, ed è proprio là, nel profondo che siamo forzati ad emergere…

I fisici da trent’anni hanno cercato di spezzare la frontiera dell’inconoscibile,  conoscerlo e spiegarlo con delle cause. Ma per la maggior parte quei tentativi  sono intellettualmente difficili. Cominciamo da quelli.

La più classica è la misura. Non ci sono conoscenze scientifiche se non misurabili. Ma il sub –  quantico, per definizione, si rifiuta alla misurazione. Comincia dove il misurabile finisce.  In ogni direzione esiste una misura che è la più piccola possibile ed è sempre un multiplo della costante di Planck : h.  Al di là del misurabile , cosa c’è? Si è obbligati a rispondere alla cieca, senza discernere a cosa porta questa risposta, che al di là del quantitativo esiste solo il qualitativo. Ma cos’è quel qualitativo?
La teoria dell’informazione elaborata soprattutto nel caso particolare da Szilard, Brillouin e Costa de Beauregard fornisce un’indicazione filosofica in risposta a questa  domanda Precisiamo: la loro analisi è puramente fisica, fa astrazione da ogni speculazione metafisica, si esprime con equazioni. Però orienta il pensiero verso un apprendimento filosofico.

Con il suo teorema Brillouin ha mostrato che ogni acquisizione di informazione si paga in energia. Nessuna informazione è energeticamente gratuita Se volete visitare un tappeto di fiori, non lo potreste fare senza calpestare i fiori. Potete, col pensiero, alleggerirvi di tutto l’inutile, non conservare che un piede, un occhio e il vostro cervello sinistro, ci sarà sempre qualche fiore calpestato. Togliete il piede, l’occhio, il cervello, i fiori resteranno, certo, intatti, nessuno saprà più niente! Ci sono solo ancora dei fiori? Qui Costa de Beauregard insiste sul duplice senso della parola informazione. E’ ciò che s’impara, ma è anche in fisica l’ordine di ogni struttura che si misura in bit (unità d’informazione);  non si possono acquistare informazioni su un qualunque sistema fisico che distruggendo una parte corrispondente d’ordine, di struttura.

La nuova fisica generalizza ancora queste idee. Nel 1966 J.S.Bell enunciava un teorema che ne è, possiamo dire, il fondamento: “Non potrebbe esistere una teoria della realtà che afferma che avvenimenti separati siano indipendenti senza entrare in contraddizione con la fisica quantica”.

Ricordiamo che l’avvenimento fondamentale in fisica è il collasso. Non ci sono dunque nella natura che collassi indipendenti!

Ora, ogni acquisizione di informazioni presuppone almeno un collasso (per esempio è per collasso che ogni fotone si manifesta in fondo al nostro occhio). Dunque ogni collasso, e di conseguenza ogni avvenimento nella natura, è anche uno scambio d’informazione. Si esita a comprendere.  Questo vorrebbe dire che non succede niente nella natura senza che qualcosa ne abbia coscienza? Vediamo apparire per la prima volta la parola coscienza.  Ho rimandato l’uso di questa parola più tardi possibile in questo scritto. Ma è quello che vogliono dire i fisici della nuova fisica. Il lettore perplesso si domanderà se questo vuol dire che anche una sola modifica di una sola particella atomica al centro della più lontana stella presuppone l’intervento di una coscienza. Ebbene, è esattamente quello che i fisici vogliono dire. Non affermano ancora una cosa così enorme, almeno in maggioranza, ma tutti si domandano come si può sfuggire a questo, tenuto conto della via irrefutabile con cui ci si arriva.
Questa via è astratta e difficile. Ne esiste un’altra che almeno è brevissima e luminosa. Ci si potrebbe chiedere se non è un paradosso. Esso è sotteso a tutte le altre discussioni. Costa de Beauregard la formula così: “Tutte le meccaniche esistenti descrivono il fenomeno elementare come fondamentalmente simmetrico tra avvenire e passato”.

Il fenomeno elementare è il collasso. Ricordiamo che tutti gli altri fenomeni accadono attraverso quello. E vediamo questa simmetria: la mia mano tenendo un sasso è tesa sopra uno stagno immobile. Filmate la scena. Lascio il sasso, la pietra cade: apparizione circolare di gocce d’acqua, ricaduta delle gocce, onde circolari che si allargano concentricamente sullo stagno a partire dal punto di caduta. Continuate a filmare mentre ritiro la mano fino lla quiete delle onde sull’acqua. Fermatevi di filmare quando lo stagno ha ripreso l’immobilità iniziale. Sviluppate il film di cui fate due copie che incollate una di seguito all’altra, ma la  prima all’indietro, la fine messa all’inizio. Otterrete così un nuovo film che, proiettato, vi mostrerà i seguenti movimenti: stagno immobile, apparizione di onde concentriche che si muovono verso il centro diventando sempre più alte fino al momento del cataclisma, dove vedrete delle gocce fiorire dall’acqua, la scomparsa improvvisa delle onde al centro, con la comparsa simultanea del sasso che sale dall’acqua e della mia mano che se ne impadronisce. Qui c’è il punto di giuntura dei due film e tutto ricomincia al contrario . Nel film avete visto un avvenimento simmetrico. E’ simmetrico in quanto potete passare il film in qualsiasi senso senza la minima differenza.

Questo è il collasso, rigorosamente simmetrico nel tempo. A prima vista sembra niente.

Ma ripassate il vostro film. La sua seconda parte non urta il buon senso. Tutto si spiega per via di causalità: lascio il sasso, fioritura circolare di gocce d’acqua, ecc. : si comprende molto bene la concatenazione delle cause. La prima parte invece è miracolosa in senso stretto: se sapessi, stendendo la mano su uno stagno fermo, produrre delle onde retrograde, trarne un sasso e ripetere la cosa a volontà, sarei un taumaturgo, perché comanderei agli elementi , come Gesù alla tempesta.

I fisici hanno chiamato  “onde avanzate” ( in inglese precursor) la probabilità crescente che sorge dal niente e che culmina nel collasso. E’ un’inversione del caso, altrimenti detta una evoluzione finalizzata. Abbiamo visto che la sub – quantica è completamente a- causale. E però è infinitamente attiva! Ma nel modo di un atto in ogni punto finalizzato, in ogni punto suscitato da una volontà elementare, con uno scopo elementare. Ogni collasso realizza l’infinitamente improbabile, è l’essenza stessa  di ciò che al nostro livello definiamo con la parola volontà. Un fisico americano ha chiamato ” impulso di una volontà” questo fenomeno elementare, sorgente di tutti gli altri. Non è un’analogia, è, tranne che se la fisica quantica è un’enorme illusione, la volontà allo stato puro, l’intenzionalità pura, la finalità nella sua assoluta definizione.

L’infinita moltiplicazione dei collassi elementari genera l’universo delle apparenze, quello dove viviamo, quello della statistica, del disordine, del caso e della necessità. Ma non c’è necessità che nei grandi numeri. Le compagnie d’assicurazione sanno che sabato prossimo tante auto si accalcheranno sulle strade, benché il proprietario di ogni auto abbia scelto liberamente di viaggiare. Il collasso ubbidisce ad una legge rigorosa come la necessità sognata da Monod espressa con l’equazione di Poisson. Ma questa legge è statistica e risulta da un’infinità di collassi che sfuggono tutti ad ogni necessità.

Chi non si sente, sapendo questo, preso dalle curiosità fondamentali dei presocratici? Che cosa è quel caos primordiale  delle volontà elementari da cui emerge il mondo delle apparenze? Perché quel caos di pura indeterminazione traduce il suo volere in un fenomeno elementare di una struttura tale che, scorrendo il tempo si organizza irresistibilmente in onde e  corpuscoli stabili, in nuclei, atomi, molecole, in galassie, stelle, pianeti, in macromolecole, cellule vive, in esseri organizzati che si evolvono verso il pensiero, che finalmente scopre tutto quello, prendendo coscienza delle leggi da cui esce? Conosci te stesso? Ma la scienza ti risponde: “non ci siamo” . E doppiamente. Prima lo scacco due volte milionario della filosofia a spiegare il mistero dell’uomo; e soprattutto per l’arrivo della scienza sulle macerie della tua discendenza, o Socrate e la riscoperta della realtà spirituale proprio là dove tu avevi voluto farci credere che non c’era.
Finalmente, constata un fisico, e conformemente alla più alta tradizione filosofica,” la pura coscienza” è ora considerata come l’ultima essenza dell’universo, compreso l’universo fisico.

Due millenni e mezzo hanno cambiato il linguaggio. L’interrogazione dell’anima ha preso forma nel rigore delle equazioni. Ma è sempre la stessa interrogazione. Ascoltiamo i saggi  dialogare:.

« Il rumore fondamentale è senza forma. Il rumore fondamentale è pura assenza di struttura. E’ l’oceano primordiale del caos da cui tutte le strutture hanno tratto la loro forma. Tuffarsi in quell’oceano vergine può essere la prossima avventura della specie umana, nel cuore del mistero dell’essere, in un viaggio senza bussola attraverso la misteriosa profondità dei pre- fenomeni, dietro l’audace carro della fisica.»

«Né l’acqua né alcun altro elemento è il fondamento delle cose, ma qualcosa di differente che è senza confini e da dove nascono all’essere i cieli e tutti i mondi che contengono.»

« Il fondamento delle cose (archè) non ha origine, ma è all’origine di tutto. Abbraccia e dirige tutto.» (Anassimandro)

«Anassimene dice che l’archè  è un’aria infinita da dove tutto procede, tutto ciò che viene, è venuto e verrà all’essere, anche gli dei e il divino. E’ movimento perpetuo, perché altrimenti la cose che cambiano non cambierebbero” I moderni presocratici dicono, noi l’abbiamo visto, che la coscienza può essere uno stato quantico macroscopico nel cervello. Ecco ciò che insegna Diogene d’Appollonia dopo Simplicio:

« L’esperienza umana e gli altri esseri viventi vengono dall’aria, compresa la loro anima e la loro mente. Secondo me, possiede l’intelligenza ciò che si chiama aria e quella ha potere su tutto, perché è questa sostanza che io considero dio» (Guthrie)

Citazioni parallele potrebbero essere citate ancora in abbondanza. Concludiamo: “L’evidenza che gli oggetti fisici e le essenze spirituali hanno una forma di realtà  molto simile ha molto contribuito alla mia pace interiore e in ogni modo non  conosco nessun’altra concezione che soddisfi alla meccanica quantica. “ E’ un premio Nobel della fisica, E. Wigner che si esprime così.

L’illimitato, l’a-causale spirituale nella sua essenza, volitivo, cosciente, idea unica, vertiginosa, nello spirito dei greci antichi prima che Socrate cominciasse a convertirsi alla sua psicanalisi, è dunque  di nuovo davanti a noi come la nostra  “prossima avventura”.

Fino a qui, niente mi fa prevedere se questa avventura è un limite: “Non andrai più lontano”, oppure una porta pronta ad aprirsi. Nell’uno e nell’altro caso, l’uomo non sarà più lo stesso.

Quanto a me, vedo una ragione di scommettere per la porta: è che la soluzione sta in noi poiché noi pensiamo. La porta nascosta attende nel nostro cervello, nella nostra coscienza che ha trovato e definito il problema. L’enigma che la Sfinge si è posta, saprà risolverlo.

Aimé Michel

A cura di L. Scalabrini

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