Osservare nella gioia di Jaques Vigne

3ème Millénaire n. 84 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3M.  A che livello si pone la frontiera tra psicologia e spiritualità?

J.V.  C’è la risposta radicale di Ramana Maharshi, per il quale  il Sé è come un grande salone. Le psicologie tradizionali, spirituali, o moderne sono come dei paraventi che si mettono in questo salone e non cambia niente rispetto allo spazio. Quando si vedono le cose globalmente, si può mettere la frontiera dove si vuole, lo spazio del Sé resta lo stesso.

E’ la risposta fondamentale di Ramana Maharshi sul mentale: quando si vuota una pattumiera, non si guarda quel che c’è dentro.

Su un piano così radicale, sono stato colpito, come psichiatra, dall’insegnamento di Nisargadatta Maharaj che diceva “perché voler cambiare il mentale, che comunque cambia tutto il tempo!”. Queste citazioni sono forti inviti ad andare al di là del mentale. Il bisogno di andare al di là del mentale viene da una constatazione psicologica: abbiamo tendenza a girare in tondo. Ho molto frequentato  gli ambienti degli psicologi, avendo fatto studi di psichiatria e lavorato in ospedali psichiatrici.

Su questo punto, trovo che una storia chan meriterebbe di essere affissa in tutti i corsi di psichiatria. Un uomo si trova con degli amici in una valle profonda, e li perde. Li chiama: Oh! Oh!…e sente venire dal fondo della valle: Oh! Oh!. Si precipita al fondo e non trova gli amici. Di nuovo : Oh! Oh! E sente rispondere dall’alto della montagna: Oh! Oh!…Corre in cima alla montagna e non trova nessuno. E la storia continua. E’ il rischio della psicoterapia, dell’autoanalisi, quando è fatta in modo intellettuale, senza la chiara nozione di ciò che c’è al di là del mentale.

3M.   Ma l’analisi non è sempre intellettuale?

J.V.   La psicanalisi è sempre intellettuale, ma altri metodi di psicoterapia cole la gestalt, fanno riferimento  alla sensazione immediata del corpo. Si può anche citare il sogno da svegli guidato, dove ci si trova molto vicino a sensazioni e immagini mentali, si oltrepassa almeno l’intelletto verbale. Altri metodi di rilassamento sono riferiti al corpo, perciò meno intellettuali. Ma l’analisi classica, come quella lacaniana che è importante per tanti francesi, è molto intellettuale. E’ per questo che l’analisi  non ha attecchito in India. Oggi si trovano 6000 psicanalisti per 60 milioni di abitanti in Francia, e solo 40 per un miliardo di abitanti in India! Ed è nello stesso anno che le società indiana e francese di psicanalisi sono state fondate. In un congresso di psichiatria  organizzato a Delhi nel marzo scorso, erano presenti molti psicanalisti francesi, che si sono interrogati su questa “lacuna” indiana. Si è constatato che   lo strumento dell’analisi è utilizzato principalmente dagli universitari che lavorano in antropologia o etnologia, e i rari clienti degli psicanalisti locali sono psicologi o degli studenti in medicina che vogliono avere un’idea di ciò che è la psicanalisi.

Probabilmente è perché in India si dà grande importanza al corpo, allo sviluppo della concentrazione, della devozione, al rapporto con l’Assoluto, all’altruismo e al distacco. Tutti questi elementi, così fondamentali per gli indiani, sono assenti dalla psicanalisi. Perciò non prendono sul serio la psicanalisi.

3M.  Quando in Europa  si vede l’interesse per l’analisi, abbiamo tutti degli esempi di persone che chiaramente girano in tondo, pur essendo convinte di aver trovato la verità. Ora, girano in tondo nel mentale condizionato. Infatti, a partire da cosa si può analizzare, se non dal conosciuto?

J.V.   In fisica si direbbe che occorre aggiungere una dimensione! Creare un nuovo spazio aggiungendo una nuova dimensione.

3M.   Ma spesso l’interesse delle persone è semplicemente regolare i problemi, ciò che pensano possibile, andando da uno psicoterapeuta. Andare più lontano non li interessa.

J.V.   Se gli psicoterapeuti sono corporei, le persone si rapportano con il corpo, intuitivamente, e si troveranno più aperte alla meditazione. Infatti, una psicoterapia corporea porta  necessariamente, un giorno o l’altro, verso la meditazione. Se, al contrario, si è chiusi al corpo e si resta in una analisi intellettuale, ci si può perdere nelle circonvoluzioni mentali.

3M.  Ciò significa che la psicanalisi può nuocere, portando al mentale uno strumento per consolidarsi sul piano orizzontale?

J.V.  Non consiglio alle persone che sono in una via spirituale di consultare degli psicanalisti materialisti o reduzionisti, perché si faranno distruggere. E questo anche se lo psicanalista crede di interessarsi alla nevrosi e non alla spiritualità. La stessa spiritualità è considerata una nevrosi!

Così l’ambiente, le vibrazioni dello psicanalista, prima o poi passeranno. Questo è tanto più vero per una persona che inizia una via. La fiamma spirituale è molto fragile, una brezza basta a spegnerla. Invece uno psicoterapeuta che si trova lui stesso su una via spirituale, essendo praticante, può essere di grande aiuto.

All’inizio la psicanalisi era fatta per essere breve, non durava che pochi mesi. Ed è diventata una specie di essere al mondo. Si è in psicanalisi come si entra in religione. C’è stato tutto uno sviluppo di parareligioni attorno alla psicanalisi. Le persone che vivono la loro vita interiore con la psicanalisi, hanno proiettato su di lei i loro bisogni religiosi o spirituali, ed è la ragione per la quale la psicanalisi ha assunto tanta importanza. Ci voleva una reazione contro un cristianesimo dogmatico alla fine del diciannovesimo secolo, e la psicanalisi ha avuto in questo un ruolo positivo. Ma sfortunatamente, tutto è stato rifiutato in blocco, come elementi importanti della religione che sono lo sviluppo dell’amore, della concentrazione, il distacco, il senso dell’altro e dell’Assoluto.

Le psicoterapie sono deboli: come cambiare la coppia in due settimane, come uscire dalla depressione, o frenare la bulimia a Natale. Tutto ciò è nei titoli della stampa specializzata in psicologia: a forza  di essere pratica, diventa assurda. Per fortuna certi ne hanno preso coscienza. Nel mondo anglosassone molti psicoterapeuti praticano la meditazione. E’ una forma di pragmatismo, dove ci si accorge che la spiritualità accompagna molto bene la psicoterapia. Se lavorassi ancora come psichiatra o psicoterapeuta, darei degli esercizi ai miei pazienti. Inviterei anche i miei pazienti gravi a fare qualcosa per se stessi, malgrado le difficoltà. Se i pazienti lavorano  tra le sedute, per esempio un’ora al mattino e un’ora alla sera, va da sé che la progressione migliora. E la seduta in cui ci s’incontra permette di correggere il tiro, di vedere come la meditazione  agisce su di lui, se è necessario fare una pausa o continuare.

3M.   Se ritorno sull’interesse della psicoterapia, certi blocchi emozionali molto forti possono essere sciolti da un lavoro di accompagnamento, anche di tipo analitico.

J.V. In India si dice che per entrare in una via spirituale bisogna essere pronti. La preparazione è naturale in India perché passa per una educazione famigliare stabile, i valori della Bhakti, della religione di base, sapere superare il proprio ego, avere una disciplina di vita, rispettare i costumi. Questo manca molto nel mondo materialista, dove spesso problemi psicologici  appaiono per un modo di vita decentrato. In occidente c’è anche la questione del guru: la psicoterapia è a due, mentre la spiritualità è un cammino solitario. In India è naturale avere un guru. Anche se non è qualcuno realizzato, può aiutare a smascherare i grossi nodi dell’ego. Bisogna paragonare la meditazione come è vissuta tradizionalmente con qualcuno che è lì per aiutarvi a sbarazzarvi dell’ego. Ed è lì che si pone la domanda: si può vivere senza ego? In occidente  la risposta è negativa perché allora si diventa schizofrenici. In oriente, dove ci sono molti saggi che vivono senza ego, la risposta è si. Il saggio rimpiazza il suo ego con il senso del Dharma. Si può funzionare così nel mondo.

3M.   Per certuni l’ego è il me psicologico, per altri uno stato di confusione interiore. Che cosa è l’ego per voi?

J.V. L’ego è legato al mentale. Mi piace paragonarlo al vento: se c’è movimento del mentale, c’è ego. Se il mentale si ferma, anche momentaneamente, non c’è più ego. L’ego è del Sé, ma del Sé che si muove. In questo senso, il vento non esiste al di fuori del movimento, ma l’acqua, cioè il Sé, continua a esistere. E’ un primo approccio. Il mio maestro Vijayananda dice che l’ego è il guscio e l’uovo è il Sé. Bisogna passare attraverso l’ego per andare al Sé. Egli dice: “il Sé è sempre felice, mentre l’ego è sempre infelice”. Abbiamo molti personaggi in noi e tra essi il bambino lagnoso, molto legato all’ego.

3M.  Che cosa consigliereste come percorso di conoscenza di sé, che non lasci da parte la psicologia?

J.V.  Ananda, il cugino di Budda, che fu suo segretario per 50 anni, ha riassunto il suo insegnamento in una strofa: “L’amico se n’è andato, il maestro è partito. Il solo amico che ci resta è l’attenzione rivolta verso il corpo”. Quando si ha quella pratica di base, si comprende l’interazione del corpo con la mente. Si possono allora migliorare le cose senza perdersi nei deliri psicologici: il corpo parla, riequilibra il mentale, riequilibrandosi. Una buona comprensione del legame corpo-mente permette di andare lontano, qualsiasi via si segua.

3M.   Dite che si può arrivare a trasformarsi. C’è questa capacità? Non è il desiderio dell’ego che cerca di agire secondo la sua direzione?

J.V.  Ciò che dice il mio maestro spirituale è che è vero che non c’è niente da fare, ma in compenso c’è molto da disfare. Abbiamo dei nodi che impediscono al Sé di manifestarsi. Il lavoro della sadhana è precisamente quello di sciogliere i nodi. In India, si fa riferimento all’utilità dell’ego sattvico, per liberarsi dall’ego tamasico e rajasico. Una volta liberato da questi ultimi, bisognerà lasciar cadere anche l’ego sattvico. Per questo la devozione al guru è molto importante. Con lui i resti dell’ego possono essere abbandonati. Da soli è difficile abbandonare questo, perché a chi abbandonarlo? Ramana Maharshi utilizzava una metafora: “se un ladro diventa ispettore di polizia, chi arresterà il ladro?”.

3M.   Il corpo costituisce la base: ritornare sempre all’attenzione corporea?

J.V.   Si. Un occhio all’emozione, uno alla sensazione e il terzo alle associazioni superiori, o, in altri termini, la psicologia spirituale. In ogni parte del corpo abbiamo come una colonna che sale con tutte le associazioni: sensazione, emozione, immagini mentali, avvenimenti psicologici e spirituali. Tutto questo funziona insieme al corpo.

3M.  Però certi rifiutano il corpo e un percorso che consiste nel ritornare al corpo è rifiutato.

J.V.   Si. Non siamo portati a questo. Non ci si preoccupa del corpo se non quando è malato, affaticato o innamorato. Se si è presi dalla riuscita esteriore, il desiderio di passare del tempo col proprio corpo non c’è, perché si sa che questo può turbare la vita  per come la si proietta. E’ probabilmente la base della diffidenza verso il corpo. Sicuramente si può aggiungere l’impatto della religione cattolica che non ha aiutato a riconnettersi al corpo in modo sano. C’è dunque un passato di rifiuto che in seguito è stato laicista, ma restando fondamentalmente lo stesso. Il cattolicesimo aveva conservato la dimensione del sentimento religioso, mentre la laicità se ne era allontanata. Ma felicemente si sono avute reazioni in molti, in particolare nel fatto di vivere un legame diretto con l’Assoluto, del corpo con l’Assoluto, che non sia assorbito da elementi intellettuali o emozionali di cui si nutrono il dogma  le grandi religioni. Nelle pratiche orientali, si va direttamente dal fisico vissuto  in modo cosciente all’Assoluto. Nelle religioni occidentali e in molti approcci psicologici si oscilla tra l’emozionale e l’intellettuale, mentre nell’approccio delle pratiche spirituali  e di certe psicologie il cammino dal fisico allo spirituale è diretto.

3M.   Il ritorno al corpo deve avvenire più spesso possibile, camminando, lavando i piatti, in tutte le attività quotidiane. E la pratica seduta?

J.V.   La pratica seduta aiuta molto. Hakuin dice in una delle sue lettere a un discepolo di non credere che la coscienza continui durante la vita quotidiana. Non è facile. Aggiunge che solo verso i 60 anni vi è potuto arrivare. E’ perciò tutto un lavoro, e la meditazione quotidiana mattina e sera o darsi momenti meditativi molte volte al giorno dà dei risultati. Questi momenti permettono anche di vedere dove si trova l’ego in sé. Bisogna anche osservare se c’è un senso dell’ego nell’azione. E’ un lavoro quotidiano che si basa sull’osservazione.

Uno Swami, maestro di Vedanta, che ho incontrato in India, diceva: “Osservate, ma l’osservazione deve essere nella gioia”. Nella gioia ci si può distaccare facilmente. Se si cerca la vacuità, un vuoto interiore,  si è tirati verso il basso per le complicazioni della mente, verso un lato depressivo. La gioia dà una forza supplementare per disabituarsi. La gioia aiuta a disintossicare il mentale e permette la separazione dall’associazione con la sofferenza: ci si unisce alla gioia.

3M. Il problema è che, all’inizio, non si arriva a essere gioiosi. Questa gioia è ancora ricoperta da uno stato negativo ordinario, di cui non si è coscienti.

J.V.   Nisargadatta diceva che non ci si deve vergognare a fare delle recite, come gli attori: si recita  a essere gioiosi. Effettivamente può essere una forzatura, ma la gioia viene. Si gioca un ruolo, e non è ipocrita perché lo si fa per sé. Si è coscienti di fingere, un po’ come un attore coscienzioso. La gioia finisce per penetrare, e nello stesso movimento l’ego scompare. L’osservazione è gioia.