Quell’arte dove la mano ascolta di Amadou Hampâté Bâ

17/09/2010

(Revue Aurores. No 39. Janvier 1984)

«Tutto parla, tutto è parola, dice la vecchia Africa, tutto cerca di comunicarci.

Uno stato d’essere misteriosamente arricchente.

Di una famiglia Pepla marabutica e guerriera, Amadou Hampâté Bâ (1901-1991) ricevette un insegnamento di tradizione orale ricca in racconti mitici e iniziatici. Parallelamente il suo maestro Terno Bokar gli diede l’insegnamento sufi della via Tidjaniya. Amadou Hampâté Bâ è l’autore di molti articoli o opere sull’Africa.Notiamo qualche libro importante: Kaidara, Lo strano destino di Wagrin, Vita e insegnamento di Tierno Bockarenseignement de Tierno Bokar, il saggio Bandiagara (Seuil). Il testo che segue è stato oggetto di una comunicazione approfondita in occasione di un colloquio internazionale organizzato dall’Unesco nel 1974 sul tema” L’artista nella società contemporanea”. Ricordiamo  che Hampaté Ba è fondatore dell’istituto delle Scienze di Bamako e membro anziano del Consiglio esecutivo dell’Unesco. Su Amadou Hampaté Ba: http://fr.wikipedia.org/wiki/Amadou_Hamp%C3%A2t%C3%A9_B%C3%A2

Il contenuto che mettiamo nelle parole  arte e artista e il posto particolare che hanno nella società  moderna non corrispondono affatto alla concezione africana tradizionale. L’arte non era separata dalla vita. Ricopriva tutte le forme di attività, ma dando loro un senso. Per l’Africa antica, la visione dell’Universo era una visione religiosa e globale e le azioni, particolarmente  di creazione, vi erano raramente, se non mai, compiute senza ragione, senza intenzione e senza preparazione rituale adeguata. Non c’erano, come nella società moderna, il sacro da una parte e il profano dall’altra. Tutto era legato, perché tutto riposava sul sentimento profondo dell’unità della vita, dell’unità di ogni cosa in seno all’Universo sacro dove tutto era interdipendente e solidale.

Ogni azione, ogni gesto era tenuto a mettere in gioco le forze invisibili della vita. La tradizione bambara (popolo del Mali) considera quelle forze come i molteplici aspetti del Sé o Grande Potenza creativa primordiale, lei stessa aspetto dell’Essere Supremo.

In un tale contesto, gli atti, essendo generatori di forze, non potevano che essere rituali per non turbare l’equilibrio  delle forze sacre dell’universo, di cui l’uomo, secondo la tradizione, era sensato essere a sua volta, generatore e garante.

Le attività artigianali( lavoratori del ferro, del legno, tintori etc.) non erano perciò considerate come semplici occupazioni  utilitarie, domestiche, economiche, estetiche e ricreative. Erano funzioni legate al sacro e con un ruolo preciso in seno alla comunità

Al limite, per quella Africa antica tutto era arte, dal momento che c’era conoscenza, di qualsiasi ordine, e mezzi e metodi per metterla in opera.

L’arte non era solo la scultura, la pittura, etc., ma tutto l’insieme  di ciò che l’uomo faceva (si diceva letteralmente l’opera della mano) e di ciò che poteva concorrere a formare l’uomo stesso.

L’insieme delle attività creative era tanto più sacro quanto più il mondo dove viviamo era creduto non essere che una pozza, l’ombra di un altro mondo, un mondo superiore considerato misterioso che non si può localizzare  né nel tempo né nello spazio.

Le anime e i pensieri degli uomini sono relegati a quella pozza. Esse vi percepiscono forme e impressioni, che maturano poi nel loro spirito e si esternano, si manifestano, con le loro mani e le loro parole.

Da qui l’importanza della mano dell’uomo, considerata come un utensile  che riproduce, sul piano materiale, o piano delle ombre, ciò che l’essere ha percepito in un’altra dimensione.

La bottega dell’artigiano tradizionale, iniziato alle conoscenze generali e occulte  ereditate dagli antichi, non è un atelier ordinario, ma un santuario dove non si entra che dopo aver compiuto riti di purificazione molto precisi.

Ogni strumento dell’opera è il simbolo di una delle forze di vita, attive o passive, all’opera nell’universo e non può essere manipolata che in un certo modo e pronunciando parole sacramentali.

Nel suo atelier- santuario, l’artigiano tradizionale ha perciò coscienza , non solo di fare un lavoro o di confezionare un oggetto, ma di produrre, analogicamente e occultamente, l’atto creatore iniziale e con quello di partecipare all’atto stesso della vita.

E’ la stessa cosa per le altre attività  artigianali. Nelle antiche società tradizionali, dove la nozione di profano non esisteva, per così direper niente, le funzioni artigianali non erano esercitate per denaro o per guadagnarsi la vita, ma corrispondevano a funzioni sacre, a vie iniziatiche, di cui ciascuna veicolava un insieme di conoscenze segrete pazientemente trasmesse di generazione in generazione.

Queste conoscenze si riagganciavano sempre al mistero dell’unità cosmica principale, di cui ogni mestiere era come un riflesso, un’espressione particolare. La molteplicità dei mestieri artigianali scendeva dalla molteplicità stessa  dei possibili rapporti  dell’uomo con il cosmo, che rappresentava il grande habitat di Dio.

Se l’arte dell’artigiano è legata ai misteri del fuoco e della trasformazione della materia, l’arte del tessitore, lui, è legato al mistero del ritmo e della parola creatrice, che si dispiega nel tempo e nello spazio.

Una espressione delle forze cosmiche.

Nei tempi antichi, non solo il mestiere, o l’arte era considerata una espressione incarnata delle forze cosmiche sotto un aspetto particolare, ma anche come un un mezzo per entrare in relazione con loro. Per timore di mescolare imprudentemente forze  che possono essere incompatibili e per le conoscenze segrete in seno al lignaggio, i diversi gruppi  furono spinti a esercitare l’endogamia con i numerosi tabù sessuali.

Si vede come le filiere iniziatiche o ramificazioni della conoscenza, diedero poco a poco nascita , con l’endogamia, a sistemi particolari  delle caste  dell’antica regione del Bafour( nome dato un tempo alla regione della savana che si estendeva dal Senegal al lago Tchad). Queste caste godono di uno statuto speciale in seno alla società.

Veniamo alla classe intermedia che ci interessa più particolarmente qui, quella degli artigiani che si chiamano, in bambara, i Nyamakalaw e che  si designano in francese con artigiani, uomini dell’arte, o uomini di casta.

«C’è la guerra e il nobile hanno fatto prigioniero, dice l’adagio, ma è Dio che ha fatto l’artigiano.».

Per l’origine sacra o occulta della sua funzione, il Nyamamakala, in nessun caso, può divenire servo ed era dispensato dal dovere della guerra assunto dai nobili.

Ogni categoria di artigiani, o Nyamalakaw,  costituiva non solo una casta, ma una scuola iniziatica. Il segreto dell’arte vi era gelosamente conservato e  strettamente trasmesso di generazione in generazione.

Gli artigiani erano essi stessi attenuti  ad un modo di vita ereditaria, con obblighi e proibizioni, per trattenere in loro le qualità e le facoltà richieste dalla loro arte. Non si ripeterà mai abbastanza che l’Africa antica non si può capire se non attraverso un apprendimento occulto e religioso dell’universo, dove tutto è forza vivente  e dinamica, dietro le apparenze  delle cose e degli esseri.

L’iniziazione insegnava la scienza dell’approccio di quelle forze che, in sé, non sono  né buone né cattive, come l’elettricità, ma che bisognava saper affrontare nelle condizioni richieste per non  provocare corto circuiti  o incendi devastanti.

Non dimentichiamo che la prima cura era di non perturbare l’equilibrio delle forze dell’universo, di cui il primo uomo, Maa era stato garante dal suo Creatore, come i suoi discendenti dopo di lui.

Nell’ora in cui tanti pericoli minacciano il nostro pianeta, per la follia e l’incoscienza degli uomini, la questione posta qui dal vecchio mito bambara non ha perduto niente, mi sembra, della sua attualità.

Dopo gli artigiani vengono i tessitori tradizionali, anche loro detentori di un’alta tradizione iniziatica. I tessitori iniziati del  Bafur non lavorano che la lana e i motivi decorativi delle loro coperte  o dei delle loro tappezzerie hanno tutti un significato molto preciso, riallacciandosi al mistero dei numeri e della cosmogonia.

Si trovano ancora artigiani del legno, che fabbricano oggetti rituali e specialmente le maschere. Tagliano loro stessi il legno di cui hanno bisogno. La loro iniziazione è perciò legata alla conoscenza dei segreti del legno e dei vegetali. Quelli che fabbricano le piroghe devono inoltre essere iniziati ai segreti dell’acqua.

Vengono poi i lavoratori  del cuoio che spesso hanno la fama di stregoni e infine sempre tra i Nyamakalaw, la casta tutta speciale degli animatori pubblici, djeliw in bambara, più conosciuti in Francia come  stregoni

Stregoni da una parte , musicisti, cantanti, ballerini, e narratori, dall’altra ambasciatori o emissari incaricati di mettersi nelle grandi famiglie, poi i cultori di genealogie e di storia. Le indico qui a grandi linee senza entrare  nei dettagli.

Gli stregoni non corrispondono ad una iniziazione di casta, ma possono appartenere, individualmente, a società iniziatiche particolari. Ma essi non sono meno Nyamakalaw, perché manipolano una delle più grandi forze forze capaci di agire sull’anima umana: la parola.

Mentre i nobili, per tradizione sono tenuti al più grande riserbo, nel gesto come nella parola,  gli stregoni in questo ambito godono di tutti i diritti. Diventano la bocca dei nobili e i loro intermediari e da qui viene il loro posto nella società.

Il Nyamakalaw, artigiano della materia o della parola, trasformatore degli elementi naturali,  creatore di oggetti e di forme, teneva nella società africana un posto a parte. Soddisfaceva ad   una alta funzione di intermediari tra i mondi visibili e la vita quotidiana.

Grazie a loro, gli oggetti usuali o rituali non erano oggetti ordinari ma dei ricettacoli di potenza.  Erano il più sovente destinati a celebrare la gloria di Dio e degli antenati, a aprire il seno della gran madre terra o a materializzare delle impressioni che l’anima dell’addetto o dell’iniziato prendeva dalla parte nascosta del cosmo e che il linguaggio non sapeva esprimere chiaramente.

«Dio l’ha messa nel suo ventre»

Nel mondo sacro tradizionale, la fantasia non esisteva. Non si realizzava un’ opera con la fantasia, per caso o per capriccio. o non importa in quale stato. L’opera aveva uno scopo, una funzione, e l’artigiano doveva essere in uno stato interiore che corrispondesse al momento in cui la realizzava. A volte cadeva in uno stato di trance,poi, quando ne usciva, creava.

Si diceva allora che l’opera veniva da lui. Era considerato uno strumento, un agente di trasmissione.  Si diceva, a proposito della sua opera:  “Dio l’ha messo nel suo ventre” o ancora” Dio l’ha utilizzato per realizzare una bella opera”

L’arte era  infatti una religione, una partecipazione alle forze della natura di vita, un modo di essere presente al mondo visibile e invisibile.

L’artigiano doveva porsi in uno stato  d’armonia interiore prima di intraprendere il suo lavoro perché quella armonia passasse  nel doppio sottile dell’oggetto e avere la virtù di emozionare chi l’avrebbe guardata.

Per questo doveva procedere  ad abluzioni speciali e recitare litanie che lo mettessero in condizioni, in qualche modo. Una volta realizzato  lo stato cercato, compiva il suo lavoro e gli comunicava  la sua vibrazione interiore.

Scolpendo, facendo, , tracciando segni geometrici  sul cuoio, tessendo motivi simbolici  materializza ed esteriorizza quella bellezza interiore che è in lui, in tal modo  che quella bellezza, quella vibrazione passa nel doppio sottile dell’oggetto e continua  a catturare l’attenzione dello spettatore, attraverso i secoli. Tutto il segreto è lì.

«Una cosa che non ha suscitato in te la bellezza, dice l’adagio, non può suscitare la bellezza in un altro quando la guarda».

La creazione artistica era dunque la manifestazione esterna di una visione di bellezza interiore che per la tradizione antica non era altro che il riflesso della bellezza cosmica. Ecco perché l’arte non aveva prezzo, quello non si poteva pagare.

Non si può dire di certe statue che esse sono belle nel senso estetico del termine, e però ci rimandano più che un bel quadro,perché  l’opera è il supporto di una potenza  che può  attirare come impressionare, secondo l’intenzione che è stata messa in lei.

Si incontra a volte all’improvviso un cerchio di statue di Komo ( una delle grandi scuole iniziatiche del popolo bambara in Mali) che sembrano uscire dalla terra.

Lo choc che provocano,è così forte,  che a meno d’essere iniziati al loro senso o adeguatamente preparati, il primo impulso è quello di fuggire.

L’oggetto può anche servire da strumento per la trasmissione di una  conoscenza con i simboli  di cui è portatore, come le tappezzerie i cui segni possono essere decifrati , o le tavole scolpite i cui tratti geometrico hanno un senso preciso etc.

Un oblò per contemplare il cosmo.

L’opera d’arte quale che sia la sua forma, plastica o d’espressione, è considerata dagli africani tradizionali come un oblò attraverso il quale si può contemplare l’orizzonte infinito del cosmo.

Ci si possono vedere delle cose a seconda del grado del proprio sviluppo. Chi vede può contemplare il mondo dell’occulto.

L’arte profana, ben rara per la verità nei tempi antichi, non differiva dall’arte religiosa che per il fatto che l’oggetto profano non era consacrato.  Si dice che non era carico.Non si può negare per esperienza, che un oggetto  rituale essendo stato consacrato,  ed essendo servito non produce più la stessa impressione , per un essere sensibile, che un oggetto non consacrato.

L’arte profana era considerata l’ombra dell’arte sacra. Ne era la parte visibile per i non iniziati. Succedeva per esempio che si facessero copie di maschere per il Kotè, o teatro tradizionale.Va da sé che l’arte profana  si è soprattutto sviluppata dall’epoca coloniale  e che è diventato raro scoprire un oggetto autentico e carico.

Da che una maschera è consacrata nella tradizione di Komo, per esempio, o presso i Dogon, non si doveva più vederla fuori.  Era nascosta agli occhi non preparati e stavano nella sua scatola di legno o nella caverna delle maschere,dai Dogon.

Certe maschere dogon sono così cariche e così sacre che non le si fanno uscire che ogni sessanta anni per la grande cerimonia del Sigui.

La conclusione di tutto quello è che l’arte tradizionale africana non era gratuita e che riempiva una funzione capitale in seno alla comunità umana.

La maggioranza delle opere artistiche plastiche o d’espressione comportavano molti livelli di significato: un senso religioso, un senso di divertimento ed un senso educativo.

Bisognava dunque imparare ad ascoltare: i racconti, gli insegnamenti, le leggende, o a riguardare gli oggetti, a molti livelli.E’ questa in realtà l’iniziazione, la conoscenza profonda di ciò che è insegnato attraverso la natura stessa e le apparenze

Tutto ciò che è insegna con una parola muta. La forma è linguaggio. L’essere è linguaggio. Tutto è linguaggio.

Amadou Hampâté Bâ

Extrait «Le Courrier» de l’Unesco, Fév. 1976

trad:Luciana Scalabrini