Ritornare al presente

RICHARD  MOSS

RITORNARE AL PRESENTE

 

A cura di Maurizio Redegoso Kharitian

 

 

3e millènaire – In un momento di tranquillità, molte cose sembrano risvegliarsi nel mio corpo, una nuova sensibilità, dei movimenti di energia, un rilassamento sconosciuto. In pochi secondi, divento vivo in un modo nuovo. Si manifesta un cambiamento, che non giunge dal pensiero. Ma immediatamente, con tutto ciò che devo fare, la vita riparte e questo istante di apertura è dimenticato. Divento totalmente identificato a ciò che accade. E’ come se due mondi esistessero nello stesso tempo, ma non si causavano. E’ possibile collegarli?

 

Richard Moss – Capisco ciò che dite. Penso che abbiamo tutti avuto delle esperienze di una realtà differente, di uno stato di coscienza più elevato, stati di coscienza allargati. Stabiliamo una divisione tra la vita quotidiana e la vita spirituale. Nel mio caso, nei primi tempi del mio risveglio, dedicavo la mia vita a provare ad andare sempre più profondamente in questo stato di coscienza più elevato e consideravo i bisogni della vita quotidiana come una necessità. Non accettavo dunque veramente la vita di tutti i giorni. Maturando, ho preso coscienza che per essere completo, dovevo vivere la vita quotidiana con sempre più profondità. Non vi è separazione fra la vita spirituale, le pratiche che ne derivano, ed il modo in cui viviamo ogni aspetto della nostra vita quotidiana. La pratica spirituale non ha vocazione ad ingrandirsi posizionandosi al di sopra della vita di tutti i giorni, ma ad entrare di più nella vita ed in ciascuno dei suoi aspetti. Il lavoro spirituale è di vedere le nostre abitudini, i nostri condizionamenti, le nostre reazioni automatizzate, i nostri modi di proteggerci o di identificarci e dunque di sentirci separati dagli altri e di agire come se fosse il caso. E’ qui la radice della paura e di tutto il conflitto. E’ il modo in cui  implichiamo noi stessi nelle cose, la nostra identificazione, il vero problema. E l’identificazione (nel senso in cui ci focalizziamo su noi stessi, in cui ci chiudiamo agli altri ed al mondo attorno a noi) non cessa di amplificarsi quando viviamo nella paura od il timore, che non ci sentiamo a nostro agio.

Il lavoro consiste allora nel riconoscere la nostra identificazione. Non è lasciare che ci porti via quando vi è minaccia, che questa tocchi le nostre emozioni, che siano fisiche, finanziarie, o che vengano dalla malattia. Se siete ansiosi, se percepite una minaccia, se la pressione che fa pesare su di voi solleva dell’inquietudine, se vivete delle difficoltà relazionali, la vostra identificazione si amplifica e vi fate diventare più “piccoli”. Se potete ricordarvi dei momenti di gioia, di espansione, questi momenti in cui l’identificazione scompare e dove improvvisamente non resta che unità o sentimento di totalità – non voglio cercare di caratterizzare questo stato, avendolo ognuno di noi gustato nella vita -, un’opportunità si presenta: quella di scegliere coscientemente di sentire la propria vulnerabilità senza lasciare che le emozioni ci trascinino nell’identificazione. Questa pratica è molto importante perché la paura e l’identificazione sono alla radice della crudeltà, dell’avidità, dell’ingiustizia e di tutti i conflitti. Se vi staccate dall’identificazione stessa nei momenti in cui vi sentite in pericolo, o avete paura, avete allora l’occasione di diventare più compassionevoli, più tolleranti. Potete accettare di più, perdonare di più, ma senza debolezza, senza rinnegare i vostri bisogni, senza lasciare che nessuno prenda il controllo della vostra vita. Vi ritroverete in una posizione di autenticità e di autorità, anche percependo molto intensamente la vostra vulnerabilità.

E’ qui che i due mondi, quello della pratica spirituale – gli istanti di grazia, di pace e di libertà -, e quello della vita di tutti i giorni, si incontrano. Si uniscono nel modo in cui scegliamo di agire ad ogni istante. Una parte di noi ha toccato questo luogo atemporale che è al di là del nostro ego, un luogo completamente libero e sempre nella pienezza. Un’altra parte di noi non è mai libera, mai riempita; si sente sempre sola, sempre minacciata da qualcosa, sempre separata da tutto, isolata. Non può essere eliminata; è la nostra parte umana. Una vita spirituale che tenta di eliminare il lato umano e cerca solamente di vivere qualcosa di trascendentale non è la mia via. Alcuni vogliono forse vivere così, ma penso che questo cammino riposi sulla paura del mondo e non sull’amore del mondo. Ci sono 7 miliardi di persone sul pianeta e pochi vogliono o possono vivere nella solitudine, in una grotta o un monastero, provando ad essere costantemente nello stato di coscienza più elevato, lo stato d’unificazione. Il cammino è per me di imparare ad avere uno spirito spazioso ed un corpo rilassato, pronto, anche nel cuore delle più grandi tormente.

Talvolta mi sento perduto, ho l’impressione di non sapere niente, e nello stesso tempo sento questo sentimento di essere senza limite, che emerge nel bel mezzo di questa paura e di questa ignoranza. E’ per il fatto stesso di poter guardare la paura in quanto oggetto e non come una realtà che ci domina, di vedere la paura come una forza nelle nostre vite senza che governi, che questa via di approfondimento della coscienza ci guarisca. La paura è qui, ma c’è anche questo grande spazio nel quale siamo coscienti della paura. La nostra identificazione ci rende piccoli e perdiamo la connessione con questo stato di coscienza allargata. E’ per questo che soffriamo veramente. Ma se arriviamo a resistere a questo inghiottimento nell’identificazione, la sofferenza si manifesterà ancora ma non ci ferirà più. Non ci renderà più malati, non ci condurrà più a far del male agli altri. Il contesto nel quale è vissuta la sofferenza cambia. Cessiamo di aggiungere sofferenza alla sofferenza. Non proiettiamo più le nostre insoddisfazioni e le nostre paure sugli altri. Ci fermiamo di vivere in un modo costante di difesa e di reattività. La vita continua a metterci di fronte a situazioni difficili; vedremo talvolta le persone diventare violente, riempirsi di collera, di amarezza, di risentimento, di ansietà ma anche in queste situazioni, non dobbiamo lasciare produrre questo in noi. La vita è come un teatro. Talvolta, abbiamo l’impressione di vivere una sorta di tragedia greca, ma possiamo decidere di non lasciare la situazione trasformarci in una persona collerica o amara perché è la nostra scelta.

Ciò implica dunque una scelta e all’inizio non sappiamo come fare. Ogni nostro condizionamento ci spinge nell’identificazione. Inoltre, imparare a fermare questo meccanismo ed iniziare a detestare la propria identificazione più di tutto, è un passo cosciente essenziale. Non sto dicendo che dovreste giudicarvi per la vostra tendenza ad identificarvi. Dico che ciascuno di noi deve vedere questo, vederlo in se stessi totalmente. Ne diventiamo malati fintanto che questo meccanismo ci distrugge, noi e coloro che ci circondano.

 

In questo modo non occorre di voler eliminare ciò che chiamate la personalità di sopravvivenza, ma integrarla in un insieme più vasto? Vedo nella mia vita a che punto è difficile, a che punto sono incapace d’incorporare questo…

 

   Il problema adesso, e questo è sempre stato il caso, è la paura. Quando è qui, l’identificazione s’imballa e s’inasprisce. Quando si accresce così e si rinforza, ci si polarizza sempre più su se stessi, ci si sente sempre più separati dagli altri, e vi sono sempre più discordie. Ognuno, in quanto individuo, deve assumersi la responsabilità di questo. La certezza non esiste, in nessuna vita, e non vi è libertà in assenza di tensione dinamica tra la parte trascendente di noi stessi – il nostro spirito senza limite che è veramente una coscienza Una – e quella che è umana, sempre divisa e piena di paure. E’ l’integrazione di queste due parti che ci pone sul cammino del guerriero dell’Amore. Il guerriero è qui per superare lo stadio dell’identificazione e per collegarsi profondamente a se stesso, agli altri, ad ogni aspetto della vita. In questo modo, può iniziare a cominciare a diventare saggio e ad emanare un’energia, una presenza. In questa presenza, le persone scoprono che la loro propria integrazione è accelerata. In presenza di una persona che ha fatto qualche passo in direzione di una integrazione più profonda, le persone scoprono che la paura ed i conflitti si attenuano, si risolvono più facilmente. Se la paura diminuisce, l’identificazione diminuisce. E’ lei il problema. Non potete liberarvi di lei, ma potete continuare la sua trasmutazione. E’ questo il lavoro, ed è un lavoro atemporale.

 

Dicevate che il problema dell’accettazione è molto importante. Ciò che vedo è che, accettando veramente qualcosa, si produce un rilassamento nel corpo…

   …si, e si ride di più…

e in un secondo, tutto si modifica…

 

…Trovare l’accettazione, invitare la possibilità di questo cambiamento istantaneo di realtà che è come una grazia, è una pratica. Continuare a ritornare alla coscienza della vostra respirazione. Continuare a ritornare alla coscienza di ciò che vedete ed ascoltate. Ritornare ai vostri sensi ed iniziare ad osservare ciò che il vostro spirito vi racconta. Più voi siete presenti nel vostro corpo, e più il vostro spirito sarà silenzioso. Il vostro stato d’essere improvvisamente si modifica. Vi sentite liberati dalla paura; c’è chiarezza. Conoscete con precisione l’azione che dovete compiere. Il nostro mentale pensante, molto spesso, non è vostro amico. L’intelletto è un amico se dobbiamo concepire una costruzione o un ponte, qualcosa di concreto, di oggettivo. Ma ciò che noi siamo nel nostro essere non è né concreto né oggettivo; è un profondo mistero. Quando il vostro spirito vi dice chi siete,  giudica la vostra vita o quella degli altri,  cerca di dirvi come dovreste essere, questa parte del vostro mentale non è vostra amica. Non abbiate alcuna fiducia in lei. Guardatela, ma non lasciate che vi guidi.

Restare nel corpo, nel soffio, nel presente, ritornare al momento presente, ancora e ancora e ancora, è essenziale. Ritornando nel momento presente, vi appropriate di questa coscienza allargata. Ma la vita fa in modo che dobbiate vivere anche nel tempo, nel mondo del “io-voi”, del “il mio-il vostro”, del soggetto-oggetto. E’ il mondo delle necessità dettate dal quotidiano, delle sofferenze di tutti i giorni, quello in cui si diventa vecchi, malati e in cui si muore. Non potete non vivere in questi due universi differenti, l’atemporale ed il temporale, il Senza-nome ed il nominabile. Ma non sono veramente separati, potete ricongiungerli. E’ in questa maniera che il riso scaturisce più spesso, che il perdono è più spesso accordato, che la pace e l’accettazione crescono. Vi illuminate dall’interno, c’è una corrente, una presenza che vi rende sempre più vicini a voi stessi, e da tutto ciò che esiste. Per quanto io possa dire, non vi è fine a questo.