Vedere il gioco di Denis Marie

3ème Millénaire n. 87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3m.   Siamo così abituati, o piuttosto condizionati a “vedere qualcosa”, cioè a vedere come “qualcuno che guarda qualcosa”, che l’atto di vedere, per quanto naturale e spontaneo, rimane ingannevole. Così restiamo costantemente identificati con il velo dell’illusione, che costituisce il nostro modo ordinario di vedere: vedere in noi una reazione, un’emozione, vedere fuori di noi un paesaggio, una persona, un oggetto d’arte o di consumo…

Quando Vedo, scompare tutto il mondo di illusione, ma sembra che la paura di non vedere niente gli ridia del senso e dell’esistenza. La paura non è il motore dell’illusione?

D.M.   Abbiamo l’espressione “velo dell’illusione”. Questa formulazione può far pensare che una cosa  che si chiama illusione ha il potere di  mascherare un’altra cosa che si chiama verità, o realtà.

Però né l’una né l’altra hanno un’esistenza propria. Non sono che uno. Così, quello che si definisce illusione non può realmente interferire con una parte che si considera vera o reale.

E il fatto di illudersi, di adottare uno sguardo particolare che simbolicamente divide ciò che E’.

Per esempio, se osserviamo una distesa d’acqua, vediamo dei riflessi in superficie. I riflessi fanno parte integrante dell’acqua. Illudersi è considerare solo il mondo di immagini che appare sull’acqua. Però benché il nostro sguardo si limiti a quell’aspetto, l’acqua è sempre lì. Spontaneamente, il Vedere si attua in un secondo piano, ma senza che lo consideriamo.

Ora, essere nel Vedere non fa scomparire il mondo dei riflessi a vantaggio dell’acqua, ma dà la visione completa di ciò che è davanti a noi.

Vedere non è un atto.

E’ l’espressione spontanea della natura di ciò che E’.

Così, quando abbandoniamo il nostro sguardo discriminante, c’è il Vedere. Vedere nella totalità, al punto che la divisione simbolica, la relazione soggetto/oggetto si trovano a non esserci più.

La difficoltà per noi viene dal condizionamento a uno sguardo particolare. Ne consegue che generalmente tentiamo di intervenire per Vedere. Invece, al contrario dello sguardo discriminante, il Vedere sorge senza che si debba agire.

Forse la paura è il motore dell’illusione? E’ possibile che abbia un ruolo. Però la paura fa anche parte della verità, trova il suo posto nel mondo dei riflessi. Ne è una forte manifestazione, come lo sono tutte le emozioni. Come i pensieri, le emozioni vengono da noi. Si manifestano per un po’ di tempo, poi ritornano in noi.

La reazione di paura è una diretta conseguenza  della nostra visione duale del mondo.

Il fatto di Vedere non fa sparire la paura, ma la nostra reattività incontrollata.

Questo ci impedisce di credere e di cadere in un danno reale di un altro o di uno sconosciuto.

I pensieri, le emozioni sono manifestazioni della verità, come i riflessi e le onde sono un’espressione dell’acqua. Secondo me, è l’ignoranza che resta la causa principale del fatto di illudersi.

D. L’ignoranza è allora uno stato di accecamento, o, più semplicemente, il fatto do non Vedere. Di conseguenza, non è una mancanza di onestà verso noi stessi lasciare perdurare l’illusione?

Credo che alla base ci sia una certa forza e una certa maturità che ci mancano. Allora, mancando il discernimento, siamo più inclini a drogarci, a rafforzarci nelle nostre storie, nelle nostre illusioni. Il simbolismo del loto è che fiorisce nel fango. Dopo un certo tempo, passato nei labirinti delle nostre storie, dei nostri schemi ricorrenti, finiamo per interrogarci sinceramente sulla ragione di tutto questo. Le prove, l’usura, l’esperienza, finiscono per darci la spinta per elevare il nostro sguardo e affrontare in modo diverso la situazione.

D. D’altra parte, per riprendere una delle espressioni che usate: se la nostra “reattività incontrollata” viene dalla nostra ignoranza, questo vuol dire che Vedere consiste nell’operare un certo controllo delle nostre reazioni?

R. Vedere non consiste nell’operare un certo controllo. Quello ci pone nel fatto di vedere “direttamente”. Viene dalla nostra natura una qualità cognitiva e il costante contatto con ciò che E’, che così ci pone alla sorgente di tutte le manifestazioni; quando queste nascono, le vediamo, le riconosciamo come provenienti da noi. Non sono percepite e identificate come “altre”. Così, attraverso il Vedere, il gioco duale resta simbolico. Non è che un gioco, le cui regole non sono che semplici convenzioni. In realtà non c’è mai stato l’uno e l’altro, non ci sono mai state situazioni in cui abbiamo vinto o perso. Nella continuità e nell’integrità del nostro essere, Vedere ci rivela la Presenza spontanea. Questa presenza si realizza da sola senza che abbiamo bisogno di intervenire e noi stiamo in pace, liberi dall’idea stessa di un controllo. Tutte le nostre azioni, non essendo niente altro che una manifestazione tra le tante della Presenza, ne contengono anche le qualità. Nel cuore della Presenza, esse non hanno un’esistenza propria.