Dallo stadio della macchina agli stadi di risveglio di Daniel Philippe de Sudres

3ème Millénaire  n.86 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3m.  Due visioni si affrontano spesso sul funzionamento dell’essere umano: quella dove l’essere umano è libero e quella per la quale l’essere umano è invece determinato dalla sua famiglia, dal suo ambiente, ecc. In breve,  l’essere umano sarebbe un robot. Sono un robot? Prigioniero di un funzionamento meccanico di cui non sono responsabile, che procede da solo, fuori da ogni volontà, che non sarebbe che un dolce sogno etereo da filosofo?

D.S.   Sui due modi di percepire il vivente, per sapere se sono meccanico o no, ciò che mi pare un elemento rivelatore è il caso degli accidenti che necessitano dell’intervento di specialisti del cervello quando una regione di quest’ultimo è stata alterata Essi percepiscono un comportamento differente da quello che c’era prima di quella alterazione. Quindi se ne deve dedurre che, se non fossimo meccanici, potremmo distruggere il cervello mentre una “mente”, per esempio nell’aria sopra di noi, genera il tutto. Ora,  le cose stanno diversamente: gli sfortunati affetti da schizofrenia, per esempio, come tutti i cerebrolesi, quando i neuroni non funzionano più correttamente o quando sono distrutti, non possono più muovere le loro membra, o non possono più pensare, e nessuna “mente” viene in aiuto ad un cervello danneggiato. Dobbiamo umilmente dirci che sono le cellule neuronali che ci permettono di condurre la nostra esistenza. Ma se accettiamo la meccanicità, possiamo deplorarla e dirci che ci auguriamo di liberarcene. Lì interviene la nozione di coscienza. Osservo che quando funziono senza sapere che funziono, sono cosciente di me in rapporto a un certo “Me”. Si sa che certi possono risvegliarsi in un sogno( i sogni lucidi) e prendere coscienza che sono nel mezzo di un sogno. Così, possiamo avere coscienza di essere vivi ed esplorare stadi di veglia che, amplificando quella coscienza, ci permettono di accorgerci che la coscienza che avevamo prima era poco cosciente!

3m.   Quando si parla di coscienza, usate la nozione di livelli di coscienza. Quali?

D.S.   Mi sono preso io stesso come laboratorio. Ho potuto scoprire che, quando prendo coscienza della postura delle mie mani, o del modo in cui questo pensa in me, di cui questo si motiva emozionalmente in me, posso accorgermi che quell’io che osserva me in una postura  corporea, intellettuale o emozionale, non è più lo stesso io che funzionava automaticamente da solo nella vita solita dove però l’io aveva l’impressione di essere cosciente. Poi, quando mi accorgo che quando posso modificare una postura, realizzo che nel momento in cui non si modifica da sola per un automatismo, ma alla quale partecipo nel desiderio e nel compimento, – cioè c’è un processo di intenzione e di volontà – , so che posso agire sulla meccanica che sto osservando. Allora arrivo ad un terzo stadio  di coscienza lucida che è ancora più volontario degli altri. La nostra coscienza di veglia è  meccanizzata, robotizzata, copia, è in mimetismo di fronte a ciò che vogliamo e intendiamo. La possiamo definire passiva.

La seconda coscienza, il secondo stadio di veglia è quello che, prendendo coscienza della meccanicità, posso osservarla dall’interno. Ma l’osservatore interno  è sempre passivo.

Però, dal momento in cui mi decido a cambiare dei comportamenti, essendo lì di momento in momento in quel cambiamento, sono in una terza forma di coscienza, che è attiva. Se mantengo a lungo quell’attività, quello stato di coscienza di sé, osservo un quarto stato dove l’individuo è sempre attivo, ma in modo quasi permanente.

Ne ho discusso via internet con un ricercatore specialista nello studio del cervello, Etienne Koechlin, che mi ha detto che il cervello non funziona che con dei processi a tappe. Allora non si potrebbe parlare di permanenza, ma piuttosto di quasi permanenza.

Restare coscienti a lungo è perciò una impossibilità funzionale.

Ma quello che è interessante, è quando si prova ad applicare il modo volontario per una lunga durata e si entra in una modalità intenzionale. Il funzionamento non è più diretto da una zona prefrontale che guida la decisione. Sono altre regioni (parietali) che si associano a questa e l’insieme genera un “coordinatore di scelta” che nelle tradizioni si chiama mente. Tutto il cervello è irrorato e funziona in un insieme. La coscienza di sé che si ha non è più volontaria, ma intenzionale, più lunga, più lenta e più duratura. Quando si arriva a generare quel processo, emerge un quinto stadio di veglia, sempre attivo.  Nella mia esperienza, si ha l’impressione di essere in osmosi con ciò che succede.

3m.   Potete precisare la distinzione  tra volontà e intenzione?

D- Ph:  La volontà è un processo che viene da una riflessione, è un processo intellettuale. Ma è buono per tutto me stesso? Non lo so. Se mi riferisco a  un motore più profondo, emozionale- motivazionale, accedo alla conoscenza  di quello che è buono per tutto me stesso. Allora è tutto me stesso che compie l’azione. Sono in armonia con   me stesso e con l’interlocutore.

3m.   L’intenzione allora è più globale, è avere coscienza  nello stesso tempo di me stesso e di ciò che mi circonda? L’intenzione si pone allora in un quadro di coscienza che non sarebbe più meccanico?

D- Ph:  Gli stadi di veglia sono paragonabili agli stadi di sonno. Sono attaccati gli uni agli altri. Non siamo in uno stadio, ma ci sono delle fasi in quegli stadi di coscienza. Quando mi sveglio al mattino, passo allo stadio di coscienza che corrisponde  alla veglia corrente. Prendo coscienza di me: sono lì, c’è luce intorno a me e cerco la mia tazza di caffè. La coscienza sale poco a poco, certe sostanze, degli ormoni, circolano nel mio corpo e passo in una fase più attiva della mia coscienza. Questo corrisponde al primo stadio di veglia, diciamo meccanico.

Quando passo al secondo stadio, appare la stessa realtà. Comincio a prendere coscienza di ciò che mi circonda: io sono lì, l’altro è lì. Si stabilisce una relazione tra i differenti neurosistemi che sono in me e il loro corrispondente nell’altro e può emergere una forma di coscienza di tipo intenzione- intenzionalità Ma l’intenzione forse sarà molto debole, fragile. L’osservatore comincerà ad avere la capacità di emettere un’intenzione nel momento in cui tocco il terzo stadio.

3m.   L’intelletto e l’emozione sono molto presenti in quello che presentate, ma dove mettete la sensazione corporea? Qual è il ruolo della sensibilità nel vostro schema?

D- Ph.   La sensazione viene dai nostri cinque sensi. Mi sono reso conto, riprendendo i lavori di Alain Berthoz che disponiamo di un sesto senso che è legato al movimento. Più globalmente, la sensazione è alla base del percorso pratico che propongo. E’ prendendo coscienza delle sensazioni che possiamo vedere dove siamo in rapporto all’ambiente. La sensibilità corporea è vista come risposta neuronale alla sensazione. Sviluppiamola per andare più lontano.

3m.   Se si cerca di prendere se stessi come terreno di osservazione, prendere se stessi significa  staccarsi dal funzionamento solito della macchina. Quale strumento utilizzate?

D- Ph.   Funzioniamo in modo schizoide, un modo che ci divide separando il ricercatore dall’osservatore. La mia osservazione è che abbiamo bisogno  di una conoscenza globale. Ciò che mi interessa è integrare in me l’osservazione e la sperimentazione.

Io sono il ricercatore dello sperimentatore.

Per questo mi è dato, con il secondo stadio di veglia, lo stadio in cui si risveglia in me un auto osservatore, che osserva me stesso. Sono allora nella condizione richiesta per divenire uno strumento di osservazione. Per arrivare dallo stadio 1 allo stadio 2, bisogna fermare la macchina. Per esempio, fermarsi di parlare, poi, una volta fermata la macchina, ripetere ciò che si diceva prima, uguale. Se ritrovo lo stesso movimento corporeo, lo stesso sguardo, la stessa intonazione, le stesse emozioni, so come funziona la macchina, prendo la macchina sul fatto, poi passo al fatto di acchiappare il fatto di acchiappare. E’ la macchina che sta cogliendo sul fatto che colgo sul fatto. Il processo intenzionale s’installa. Passo così a poco a poco al secondo stadio di veglia. Mi auto osservo nel mio funzionamento.

3m.   La società moderna ha un impatto forte sulla psiche umana. Qual è l’impatto dell’automazione crescente, della crescita dell’aspetto artificiale  staccato dalla natura?

D- Ph.   La mia osservazione dei processi mi riporta a delle osservazioni sui film violenti. I giovani che escono di là diventano iperviolenti o invece calmi? Ci si è accorti che le loro risposte dipendono dal loro ambiente. Dall’ambiente familiare, dalle motivazioni dell’individuo e dal funzionamento delle sue ghiandole… Così, la società che tende a robotizzare e automatizzare l’essere umano genera individui che sono sempre più fuori dalla natura, avranno sempre più difficoltà a sentire e ad ascoltare quelli che sono attorno a lui. Per altri invece questo sarà alla base di una reazione salutare: come ci si può salvare da quello? In termini di percentuale in rapporto alla popolazione globale, ci sono sul pianeta persone colte, persone intelligenti, persone ricche, ecc. Secondo me la massa  degli esseri umani che vediamo oggi dà un’impressione di annientamento e può creare una certa paranoia, ma dappertutto ci sono piccole nicchie  di persone capaci di preoccuparsi di questo addormentamento, conseguenza della tecnologia, della possibilità di ritornare in sé, e c’è la possibilità in quelle nicchie di avere individui in risveglio, persone che possono dirsi “sento che sono lì, improvvisamente”, e cercare una risposta a quel fenomeno.

3m.   Il solo modo per gli uomini di distinguersi dalle macchine “intelligenti” sarebbe, come minimo, di essere coscienti di essere lì, vivi e coscienti, di fronte a loro? Dunque, come minimo, quello che chiamate lo stadio 2 di risveglio?

D- PH.   Si. Quando avremo delle pulci elettroniche vendute a poco prezzo che moltiplicano le nostre capacità mnemoniche, fanno sparire il mal di schiena, ci fanno camminare bene quando le gambe ci fanno male, la tentazione di ciascuno sarà quella di accettare una decina di quei sistemi elettronici nel corpo. Diventerò a poco a poco un ciborg umano. Ma la problematica è che degli individui cominceranno a reagire e rifiuteranno di essere trasformati in macchine. Riprendere possesso di se stessi diventerà allora il loro scopo, attraverso la presa di coscienza di sé. Tutto questo accadrà nel 2030- 2035, avremo prima un’economia stabile su scala planetaria e neurotecnologie che permetteranno tutte quelle stabilizzazioni tecnologiche, i robot diventeranno avanzati. Noi stessi saremo avanzati sul piano tecnologico. La maggioranza delle persone cadranno nella facilità nelle proporzioni che prima dicevamo.

3m.   La tecnologia agisce anche sul corpo. Basta vedere gli studi realizzati sull’effetto delle onde utilizzate nella trasmissione delle informazioni (internet, cellulari, ecc) sui tessuti vegetali  animali e umani. Un cammino che invita alla coscienza e anche un cammino di sensibilizzazione, di risveglio e di sensibilità corporea. L’essere umano può diventare sensibile  alla nocività di certi  elementi della tecnologia…

D- Ph.   Sospetto delle posizioni radicali. La vita mostra spesso che quelli che vincono sono su posizioni medie. Avremo sicuramente individui che avranno nel loro corpo elementi cibernetici, non li rifiuteranno, ma li avranno integrati. Integrare la nostra macchina biologica e psicologica è un elemento chiave della pratica degli stadi di risveglio, secondo ciò che propone la neuroconnettica. Una volta vecchio, se avrò bisogno di avere quello o quell’altro robot interno che mi aiuti al funzionamento di un organo, dirò di si. Se ho preso coscienza della mia macchina biologica e psicologica, potrò anche prendere coscienza della macchina artificiale che sarà in me, integrarla, assorbirla. Abbiamo forse capacità d’integrazione straordinarie nel nostro cervello. In questa prospettiva capiamo bene che l’obiettivo ultimo della neuro connettica trasmodale auto programmata  è come attivare neuroconnetticamente funzioni nuove che trasformano l’homo sapiens che siamo  in un essere umano differente, il nostro successore darwiniano: l’homo pertinens, che apparirà per selezione naturale in reazione all’umano robotizzato privo di coscienza. Si tratta quindi di preparare  la grande mutazione, organizzando in noi e attorno a noi la venuta dell’homo pertinens