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|  | “Identità tra noi ed il mondo”  (Daniel Odier) Abbiamo oggi iniziato a leggere alcuni  brani tratti da Desideri, passioni e spiritualità di Daniel Odier, il più  noto esponente vivente in Europa della via  kashmira:
 |  “Non esistono né impurità, né purificazione,  né divinità esterna a sé, né pratica, né rituale e non vi è nulla da raggiungere  che sia separato da noi. La coscienza è la totalità, la totalità è la  coscienza”. […] Improvvisamente non c’è più intercessore, non c’è più  distanza, non c’è più separazione. Si tratta allora di liberare la coscienza  dalle opacità che ci fanno credere di essere un’entità […] indegna.Il  risultato è un rilassamento totale del corpo e della mente […].
 È la via  laica per eccellenza. Vogliamo semplicemente l’indipendenza, l’armonia, il  godere continuamente e profondamente del mondo […].
 La nostra paura  principale, la paura della dissoluzione, di non essere nulla, ci impedisce  semplicemente di comprendere che quando pensiamo di essere una cosa in  particolare, quindi isolati, non siamo che quella cosa e perdiamo tutto il  resto. Accettando di non essere nulla, guadagniamo il mondo. Questo ragionamento  logico è la chiave […] del ruolo creativo del desiderio e delle passioni,  considerati i corrieri più veloci che, attraverso la sensorialità, ci conducono  al Sé. […]
 Il piacere è una componente fondamentale della pratica […],  perché appena proviamo piacere nella presenza, abbiamo una tendenza naturale a  ritornarvi. A questo punto non si tratta più di una pratica, ma di un modo di  gustare più pienamente la vita e la sensorialità ed è la base di qualsiasi altra  pratica. […]
 Da dove ci viene l’intuizione di una possibile identità tra  noi ed il mondo? Nessuno ce l’ha suggerita […]. Perché ci ostiniamo a pensare  che questa unione sia possibile? Molto semplicemente perché ne abbiamo fatto  l’esperienza diretta, intima e questa certezza è inalienabile. Abbiamo vissuto  questa esperienza ben prima di essere condizionati.
 Da neonati, durante le  prime settimane di vita, non ci sentiamo separati né dalla madre né da ciò che  ci circonda, siamo nell’unità indifferenziata. Questi momenti sono probabilmente  i più sconcertanti e forti della nostra vita. Nessuna sensazione successiva  riuscirà mai a far passare questa esperienza in secondo piano. È come incisa in  noi, qualsiasi sia il cammino che seguiamo. Questa sensazione a volte riemerge  inaspettatamente e ci ricorda per tutta la nostra vita che abbiamo la  possibilità di comunicare nuovamente con lei.
 Freud la chiamava «la  sensazione oceanica»: «La sola presenza di questa sensazione oceanica ci  autorizzerebbe a dichiararci religiosi, pur ripudiando tutte le credenze e le  illusioni» (da Il disagio della civiltà e altri saggi).
 Questa  sensazione di unità […] sembra essere la nostra prima esperienza di esseri  umani. […] È alla base dell’esperienza dell’essere […].
 Quando l’ego si  sviluppa, molto presto, ben prima della comparsa del linguaggio, con esso appare  la sensazione di separazione, che l’impostazione della nostra cultura non fa che  accelerare. Dobbiamo distinguerci, dobbiamo accogliere le sfide, mostrarci  brillanti, intelligenti, efficaci e tutto questo non può accadere senza  un’inflazione dell’ego. Allora, come mai una volta adempiute tutte queste  funzioni con successo sentiamo ancora quella nostalgia dell’unità? Semplicemente  perché è la nostra natura essenziale e non possiamo dimenticarla” (pp.  37-51).
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