Comunicazione o relazione? di Pierre Rabhi

3ème Millénaire n.80 – Traduzione della Professoressa Luciana Scalabrini

3mill: Quale giusta relazione potrebbe allacciare l’essere umano con il suo ambiente? Quali condizioni potrebbero permettere una tale relazione?

R: Vedo due ipotesi. La prima riguarda l’ostinazione degli esseri umani a non comprendere e a credere nel loro potere. Si affidano allo scientismo che pretende di risolvere tutti i nostri problemi. Alcuni arrivano perfino a fantasticare su una futura modificazione genetica dell’essere umano per adattarlo al cambiamento del suo ambiente. Se ci si ostina in questo oscurantismo scientista e al saccheggio delle risorse, la fine dell’umanità è inevitabile.

Non mi preoccupo per la natura. Lei possiede una forza di vita straordinaria e mi sembra aberrante pretendere che si possa distruggere la vita sulla terra. La natura ha dimostrato che è capace di risorgere. Forse ci metterà del tempo per guarire le ferite che le abbiamo procurato, ma la vita si ricostituirà. Ne sono convinto. Invece, di trasgressione in trasgressione, la specie umana può contribuire alla propria distruzione.

L’altra ipotesi, che mi piacerebbe si avverasse, è quella di un soprassalto della coscienza collettiva davanti al disastro. Allora l’umanità si mobiliterebbe  per salvare la propria vita connettendosi alle forze costruttive, alle energie vitali che sono proprie della natura.

Siamo in un guaio e non smettiamo di profanare tutto. Rimprovero alle religioni di non essere a capo dell’ecologia; non fanno che seguire e adattarsi con ritardo. Se si è convinti che Dio è l’autore della creazione, come profanare la natura senza profanare Dio stesso? Allora siamo in opposizione al sacro. Quel sacro che dovrebbe ispirarci l’intelligenza universale, che è sottile e non ha niente a che fare con le nostre attitudini ordinarie.

Perché c’è confusione tra intelligenza e attitudine. Abbiamo molte attitudini, ma i risultati ottenuti col nostro modo d’organizzazione e di comprensione della vita fornisce una storia totalmente aberrante. A mio parere, non siamo la sorgente dell’intelligenza, ma i suoi rivelatori.                                            Essa esiste nell’ordine universale, biologico, fisico. Quella intelligenza fa sì che ci s’incanti sempre. Pensate ai semi che germogliano, a quella forza di germinazione. Come si spiega? C’è una intelligenza considerevole, straordinaria in tutto questo. Solo l’umiltà e la semplicità danno accesso a questa intelligenza. L’umiltà può predisporci ad essere illuminati, mentre la vanità dello scientismo è sorgente di disturbi e di violenza.

Nella quotidianità abbiamo la possibilità di educare in altro modo i nostri figli, di renderli sensibili alla bellezza della natura, fargli comprendere che ne dipendono irrevocabilmente. Può scomparire tutto se la natura è attaccata. Educare i figli a interrogarsi su se stessi, a domandarsi la propria identità. Eliminare le idee di competitività che coltivano la dualità fin dalla prima infanzia. Mettere in primo piano la solidarietà come lo zoccolo grazie al quale possiamo uscirne insieme.

Impossibile pensare chi il “ciascuno per sé” possa approdare a una qualsiasi salvezza.

D: L’educazione è priva di intelligenza reale. L’assenza di conoscenza dell’elemento naturale, di connessione emozionale con gli animali e le piante, la civilizzazione alla quale fate riferimento ci priva di questa intelligenza. Inoltre l’accelerazione tecnica ci spinge nel virtuale, che è un prodotto del pensiero duale e ci cerebralizza impedendoci l’apertura verso l’altro.

R: C’è confusione tra comunicazione e relazione. Gli strumenti tecnici interconnettono solitudini più che generare veramente socialità. Siamo in un sistema frenetico cui non si può rinunciare e lo si strumentalizza per poterne sopportare la frenesia. Il tempo stesso è stato modificato: siamo nell’accelerazione ed è un fenomeno recente.

Napoleone non poteva spostarsi più in fretta di Alessandro Magno.

Questa accelerazione modifica il tempo e lo spazio e genera una psiche particolare, che si mette al passo con la velocità, sradicando la pazienza. Per un centesimo di secondo negli stadi lo sportivo è pronto a farsi esplodere il cuore. Tutto qui è patologico. Gli strumenti servono a volte ad essere in comunicazione con una persona lontana migliaia di chilometri e nello stesso tempo possiamo essere anni luce dal nostro vicino!

La virtualizzazione si accelera e tocca anche le cose tangibili: nessuno sa più da dove vengono i suoi vestiti, il suo cibo… L’essere umano vive in un universo in cui è in esilio, con strumenti di cui ha sempre meno potere. L’esilio psichico e psicologico diventa permanente. Siamo dappertutto e da nessuna parte in una società ansiogena. Il primato del denaro fa sì che una persona senza risorse sia  socialmente sradicata. Siamo in una ideologia tra le più terribili per l’umanità, in cui i riferimenti sono scomparsi e dove l’individuo è svuotato della sua sostanza e artificializzato. Siamo sempre più vulnerabili, anche sul piano collettivo.

D: Ogni relazione con se stesso necessita di fermarsi e la dinamica folle di cui parlate va al contrario. Perfino un momento di silenzio sembra inaccessibile.

R: In effetti in un mondo così rumoroso il silenzio sembra raro. Vivo in mezzo alla natura e sono colpito dalla mancanza di rispetto di cui è oggetto. Nella maggioranza i visitatori non si guardano attorno e non gustano il silenzio. Trasportano l’effervescenza urbana in mezzo alla campagna, hanno dimenticato ciò che può essere il silenzio e la contemplazione che si gode. Anche nella natura, le persone non sono a contatto con lei, ma agiscono come consumatori del paesaggio. Viene così a mancare l’opportunità di gioire del mondo  del mistero e della bellezza.

D: E’ l’irruzione della meccanicità bruta del mentale ordinario nel silenzio della natura.

R: Gli individui sono adattati al loro livello di esistenza. Essere in un altro ambiente li angoscia. E’ noto che la natura angoscia chi non la comprende.

D: Siamo al fondo nella descrizione della sofferenza, spesso inconscia, dell’essere umano. Ma questa sofferenza, quando diventa troppo acuta, spinge a cercare altre cose. La sensazione di mancanza spinge a riprendere contatto con la propria natura, che passa anche attraverso la riscoperta delle proprie radici.

R: Questa ricerca viene dalle profondità. Si tratta di una ricerca di qualcosa che è al tempo stesso immanente e trascendente. Oggi ho sempre più pubblico, che si va allargando sulle tematiche che erano poco ascoltate e richieste, ma che ora lo sono sempre più. C’è un’enorme riconversione. Il nostro orgoglio prometeico ne riceve un brutto colpo. Prendiamo coscienza che, a dispetto delle capacità tecniche, non siamo riuscite a renderci felici. Il disagio e il malessere aumentano con la prosperità e sembrano contenuti nella prosperità stessa. La sofferenza è multiforme e constato l’emergere delle domande sul senso della vita.

La vita è fatta solo per produrre e consumare fino alla fine dei miei giorni? O c’è qualcos’altro da fare?

Questa esigenza d’una qualità di vita diversa è in continua evoluzione. E’ dovuto probabilmente a quella riconversione, a quella sofferenza. Oggi nessuno ha garanzie riguardo all’ avvenire. Constatiamo pure che il denaro può soddisfare i miei desideri, ma la gioia non si compra. Quel bene supremo che si chiama la gioia d’essere, verso la quale tendiamo tutti, non dipende dal grado di ricchezza.

Un fermento di cambiamento si attua nelle coscienze e mi dà speranza di un’evoluzione positiva in particolare nei giovani, che non hanno più voglia di seguire un modello, ma piuttosto di costruire qualcosa di più generoso. E’ ritrovare l’entusiasmo, il divino in sé. Oggi l’uomo è molto malmesso e sofferente, ma allo stesso tempo  fecondo di un avvenire positivo. Si tratta di un’utopia, ma non di una chimera, è il non-luogo dove tutto è possibile. I germi del cambiamento saranno sufficienti prima che grosse fratture non rimettano tutto in discussione?. Non lo so. Ma è oggi che possiamo agire. Cioè fare più che semplici constatazioni di come il mondo vada male o dotte analisi dei fatti. A tutte le coscienze risvegliate si offrono spazi di creatività. Tra un mondo che declina e un altro da costruire si trova una transizione che non bisogna mancare per la nostra inerzia. Si tratta di un cambiamento di paradigma che pone l’uomo e la natura nel cuore delle nostre preoccupazioni e tutti i mezzi e le nostre competenze al loro servizio. L’era della sobrietà e della semplicità felice ha chiamato. Ogni cambiamento implica il cambiamento di sé, perché se l’uomo non cambia se stesso, non potrà cambiare il mondo di cui è responsabile.

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