Dialoghi con Virgil

3e Millénarie n. 74 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini

Virgil vive in Quebec dal 1961. Ignorando l’esistenza di una dimensione spirituale, ebbe un risveglio spontaneo nel 1991. In pochi anni, un numero crescente di ricercatori sono andati a incontralo. In questo colloquio esorta i suoi interlocutori a vivere pienamente il presente e li riporta sempre a loro stessi, per evitare ogni attaccamento alla propria persona o a chiunque. Secondo Virgil, “essere integrato” significa essere in uno stato dove il mondo del pensiero meccanico e dei sogni non è più in funzione.

Samir: La domanda è sul lasciar andare… è sul lasciar andar…

Virgil: Quando qualcuno mi diceva di aver frequentato la chiesa per vent’anni per smettere poi, vedevo che, a sua insaputa, restava sempre interiormente attaccato alla sua credenza.

Allora come lasciar andare questa credenza, questo attaccamento o ogni altra cosa?

Il lasciar-andare è una chiarezza-lucidità verso ciò che viviamo e facciamo, così come, quando mangiamo, sentiamo il sapore del cibo. Le definizioni e le parole non sono importanti e perdercisi non è che aggiungere pesantezza alla nostra vita interiore. Il lasciar andare è essere neutro. Con tutto il tuo essere ti dirai che te ne infischi, senza ripeterlo.  Così sarai disponibile a sentire le risposte della tua interiorità.

Samir: Allora c’è un lavoro su di sé e bisogna sforzarsi di lasciar-andare o invece non c’è niente da fare?
Virgil: Molto facilmente si può cadere in trappola con queste domande. Cos’è l’osservazione? Bisogna fare uno sforzo per osservare? Oppure l’osservazione è essa stessa uno sforzo? Come chiarire tutto questo? Come spiegare un fatto vissuto a un’altra persona, a un intellettuale, perché poi possa applicarlo?

Samir: Ma una persona che è nei suoi pensieri potrà dirti: “Ho compreso bene ciò che mi hai detto: bisogna che mi osservi per conoscermi”

Virgil: si osserva con il suo pensiero!

Samir: Allora dirà che non arriva ad osservarsi, nemmeno con il pensiero. Cosa dovrà fare?

Virgil: E’ una trappola. Quando si osserva, come sapere se la nostra osservazione è giusta o falsa? E’ sempre l’ego che cerca. Ricordati che, finché  l’ego sarà presente, si domanderà: cos’è questa osservazione di cui parla Virgil? Non so se il dizionario dà lo stessa significato che dò io a questa osservazione. Cos’è un’osservazione in rapporto a un pensiero? A una concentrazione, a un sentire? In inglese, se tu dici “feel” è facile da capire. Osservare è la stessa cosa? Tu vedi, siamo nelle parole e nel modo in cui una parola si traduce in una lingua o nell’altra. L’osservazione non è solo una parola. Ma allora cos’è osservare? Il presente per voi non ha lo stesso senso che per me.

Ho spesso ripetuto che quando vi alzate la mattina, sapete prima le cose che dovete fare durante la giornata. Ma perché fin dal risveglio mettersi a pensare a tutte le cose che dobbiamo fare nella giornata? Così ci mettiamo un terribile peso sulle spalle.

Samir: In generale è già presente nell’inconscio.

Virgil: Si, è un meccanismo. Ma possono arrivare imprevisti nella giornata e ci si dice: “Uffa! Ancora questo in più da fare”. Perché abbiamo memorizzato già tutto dalla A alla Z. E’ dunque una routine. Cominciando così la nostra giornata, ci sfiniamo prima di incominciare il primo lavoro: Quando ci si dice: “Oh! Bisogna finire questo per incominciare quello” ci s’infligge un’enorme pressione.

Nelle officine, si sa che c’è un limite da non superare nella pressione sugli operai dal timing. Perché si può farli impazzire. Ne sono stato testimone in un’officina dove lavoravo. Degli specialisti sono venuti a calcolare il tempo medio che passavano gli impiegati su ogni lavoro. In seguito, la pressione fu enorme. Se un impiegato superava il tempo medio, poteva essere licenziato. Perciò tra gli altri, i robot sono utilizzati nei centri d’assemblaggio E’ la pressione per il timing.  E’ così in tutto il mondo.

Se prima di coricarsi, si comincia a percorrere il proprio domani, tutto diventa pesante. E basterà un niente perché le relazioni in una coppia o in famiglia, diventino tese. “Ah, tu non sai tutte le responsabilità che mi devo assumere!” E’ facile vedere che è sempre così. In quei casi il lasciar andare ha luogo quando facciamo un lavoro, senza metterci a pensare al resto della giornata né ai giorni prima.

All’epoca in cui lavoravo e dovevo radermi ogni giorno, ero molto felice di non doverlo fare nel week-end e nelle vacanze. Ci pensavo già la vigilia. Quasi tutti vivono così. Ora, sono neutro. Faccio ciò che devo fare senza nessuna pressione. E’ una chiarezza-lucidità: devo radermi, non è un dovere, non è un obbligo: fa parte della vita. L’esteriore perde la sua importanza. Allora come spiegare il lasciar andare? Se per esempio, domani, apro una scuola di lasciar andare, come la spiegherò agli allievi? Gli intellettuali esigeranno spiegazioni verbali che potranno comprendere: “Ah, si, è giusto, ma come far andare via quella pressione che è là fin dal risveglio?” Come spiegare agli intellettuali? Quando un lavoro è finito, i seguenti sono già nella nostra mente. Come far capire l’importanza di restare con quello che si fa senza pensare al dopo? E se l’intellettuale comprende le parole, se ne farà un altro problema e un’altra pressione: “Non bisogna che pensi alla mia prossima attività, bisogna che resti nel presente”. E la mente resta sempre in azione.

Samir: Entra in conflitto con se stesso.

Virgil: Si. Un lasciar-andare viene dal di dentro, da se stesso. Non si può spiegare. Arriva, non si costruisce.

Marc-Andrè: Fare un corso di lasciar-andare significa chiedere di fare uno sforzo per ottenerlo. Mentre è veramente non fare uno sforzo, ma lasciar-andare.

Virgil: Ma si può parlarne. Si può parlare delle “piccole cose da fare”.

Marc-Andrè: Ma nel lasciar-andare non c’è sforzo. Se ce n’è uno, è che non si lascia.

Virgil: Non si può dire: è lo stesso o me ne infischio. Ma me ne infischio dove, e di che? Non di ciò che devo fare dopo.  Io me ne infischio qui (segna indicando la testa: i pensieri): me ne infischio di giudicare, d’ascoltare i pensieri, ecc. E non è la frase “me ne infischio” che è la chiave. Voglio solo far comprendere che tutto è nella testa, è nell’ urgenza di non lasciare che le memorie ci invadano, perché è una routine che s’installa e diventa un meccanismo radicato.

Marc-Andrè: Capisco, ma mi rendo conto che nella vera osservazione, non è richiesto nessuno sforzo.

Virgil: Parlando di “vera osservazione” puoi indurre in errore certe persone. Cos’è una vera osservazione? E cos’è un’osservazione falsa? Spiega…

Marc-Andrè Si, è difficile. L’osservazione è naturale, senza sforzo.

Virgil: Ma come sapere ciò che è naturale e ciò che non lo è?

Marc-Andrè: Mi rendo conto.

Virgil: Anch’io dicevo la stessa cosa in principio: “Mi rendo conto”. Vedrai, con l’esperienza diventerà più chiaro.

Marc-Andrè: Se mi si chiedesse come lo vivo, direi che constato che se c’è sforzo nella mia osservazione, è che qualcuno vuole osservare… e c’è sforzo.

Virgil: Ma le persone non sanno se c’è da esercitare uno sforzo o no. Allora che fare? Non pensare a ciò che si farà dopo e non pensare a ciò che si è fatto prima? Allora sarebbe questa l’osservazione? Ma di tanto in tanto si farà sentire una pressione: ti dirai: “ma tu ha fatto già ieri questa cosa”. Allora è un’osservazione se mi ricordo di ieri? Vi dico che l’osservazione, siamo noi. E’ ciò che noi viviamo. Marc-Andrè ha provato a descrivere ciò che vive. E’ la sua verità. La mia verità per me, è la mia. Non è quella degli altri, non è la stessa osservazione che loro vivono. Ci si può porre la domanda: se quello che vivo io è diverso da quello che lui vive, vuol dire che non osservo? Allora non comprendo ciò che è. E lì ci si blocca e non si va avanti.

Vivere l’osservazione è come quando mangiamo e sentiamo l’essenza del cibo. Ma ripetersi: “cibo, cibo”e “ho capito”, non è quello. Non sarà reale che quando mangerai, quando sperimenterai.

Marc-Andrè: Quando osservo i miei pensieri e le immagini mentali, rilevo che, come sorge un’idea-pensiero, un riflesso immediato, si dice che non bisogna pensare o avere quel pensiero e questo è ancora pensiero, poi sorge un altro pensiero che dice che bisogna pensare alla idea contraria, supposta positiva. Se, per esempio, ho voglia di fumare, un altro pensiero dice: “è meglio non fumare”. E’ sempre una lotta tra i pensieri. E’ automatico…

Virgil: Il pensiero è come l’acqua che esce da un rubinetto, non si può invertirne la direzione e rimandarla alla sorgente.

Marc-Andrè E’ questo, e aggiungere acqua (dei pensieri) non aggiusterà le cose.

Virgil: Ecco. Si crede che dire una parola nuova correggerà o annullerà l’effetto del precedente. Se voglio fumare e mi dico di non fumare, non vuol dire che non comincerò a fumare ancora. Allora, come spiegarlo con le parole? Non è una comprensione intellettuale. All’inizio, forse si comprende cosa si ha da fare, ma il pensiero continua il suo funzionamento manipolatore.

May: E’ per questo che continuiamo. Qualcosa non va nella nostra osservazione. Se non ci sono cambiamenti, è che non si osserva.

Marc-Andrè: Guarda, se ho un pensiero e immediatamente sorge il suo contrario – bisogna e non bisogna – mi domando cos’è questo processo. E’ che voglio in permanenza diventare qualcos’altro da ciò che è.

Virgil: E’ l’ego che cerca sempre senza sapere cosa…

Marc-Andrè: E’ questo.

Virgil: Si ha la scelta di non proiettare scenari? Ma in rapporto a cosa? E’ un’energia che dà la forza di poter saltare o passare da una cosa all’altra senza uscire dall’osservazione? Per me, non ho questo problema, e non succede così. Ma per voi, succederà presso a poco così, all’inizio. Tutto è energia. E l’energia che ci è disponibile è, in generale, consumata dal nostro modo d’essere e dai nostri pensieri. Senza l’energia non si potrebbe nemmeno pensare. Un supplemento d’energia può aiutare all’osservazione o a rinforzare invece i nostri pensieri e i nostri desideri, secondo che cosa si fa con lei.

Per me è un fatto vissuto e sentito. Ma per qualcuno che vuol lasciar-andare e non è ancora integrato, o anche aperto, che forzo dovrà fare per avere questa energia? Per me questa energia è continua. E’ possibile un lasciar-andare per qualcuno che non ha senso spirituale e questa pace? E’ difficile in assenza di una chiarezza-lucidità.

Samir: E la domanda è: c’è uno sforzo da fare come lo scienziato nella sua ricerca?

Virgil: All’inizio direi di si. Ma non perdiamoci nelle parole come gli intellettuali. Guarda Marc-Andrè: dice di aver fatto degli sforzi per osservarsi.

Marc-Andrè: Si, si.

Virgil: Questa osservazione, sei tu stesso. Può succedere di vedere noi stesi. Non c’è un altro Virgil che creo davanti a me. E’ un vuoto, sono io stesso che sono osservazione. Se sono “osservazione” e sorge un pensiero, il pensiero non mi turberà perché sono chiaro-lucido.  Una collera impulsiva, dei giudizi o dei lamenti non potranno sorgere nella mia mente.

Ma sicuramente, in generale, tutto dipenderà dall’energia di cui disponiamo. Cosa fare allora se non c’è energia o non abbastanza? Si fanno degli sforzi. E cos’è lo sforzo? E’ un accompagnare i pensieri che sorgono nella mente. Per abitudine siamo presi e integrati nei nostri pensieri. Non sappiamo distinguere ciò che in noi è innato da ciò che viene dal condizionamento.

Crediamo fermamente ai nostri pensieri, ci identifichiamo e ci attacchiamo; i pensieri, siamo noi, è la nostra vita. Tutto ciò che facciamo è correggere qualche errore di logica nel nostro pensiero. E ognuno resta nella sua bolla di sogni e d’illusioni. Non si è osservatori. Al contrario, siamo presi da questo processo come se fosse una parte essenziale della vita. Non è che un meccanismo che risulta da millenni di condizionamenti. Abbiamo creato il sistema da cui non si può uscire. Anch’io utilizzo il sistema. Ci sono obbligato. E’ la legge. Ma non è la vita e niente mi obbliga a vivere così interiormente.

Marc-Andrè: Stai dicendo due cose molto importanti. In un primo tempo, lo sforzo è da fare perché manchiamo d’energia. Poi, quando questa energia si rende disponibile, non c’è più sforzo…

Virgil: Perché, allora, tu sei osservazione ed è facile…

Arc-Andrè: Mi rendo conto che facendo lo sforzo, all’inizio mi osservo in pezzi separati, come se non fossi io. E c’è sempre tra me che osservo e me-l’osservato un conflitto. Poi a un certo momento, a forza di stare attenti, prendo coscienza che bisogna mettere da parte tutti  i modelli, tutti gli scritti e perfino ciò che dice Virgil.

Virgil: Esattamente.

Marc-Andrè: Perché non sono che ripetizioni, immagini che mi impediscono d’essere attento e d’osservare.

Virgil: Si, esattamente.

Marc-Andrè: Quando l’energia non è più investita nei modelli, siamo disponibili e vediamo meglio. E a un tratto scopriamo che chi guarda non è diverso dall’osservato; è lui il creatore. Dunque in un primo tempo lo sforzo di osservare consiste nel rigettare tutto e guardare, accumulando così energia.

Virgil: Osservatevi, “feel youself” quando parlate. Vi ho spesso ripetuto di non lasciarvi prendere dal mentale, che non smette di andare verso l’esterno, senza che ve ne accorgiate. Il corpo nella sua totalità è molto importante e non solo il cervello.

Sentite il corpo e ascoltatelo. Sentite la vostra presenza qui. Non descrivendo la sedia sulla quale sedete ecc. Sentite il vostro corpo qui e in questa stanza. Ascoltate, vedete, è difficile. Non ci arriverete senza sforzo. L’energia aumenta con lo sforzo d’osservare? Si, aumenta. Anche Krishnamurti ne parla. Il pensiero, l’osservazione sono energie. Senza energie, l’osservatore non esisterebbe. Tutto è energia. Ne consumiamo per tutto, soprattutto nell’attività mentale. All’inizio sembrerà difficile, e ci si domanda cosa è una vera osservazione.

La falsa osservazione è facile da descrivere: si sta pensando senza percepire, credendo di fare degli sforzi. Perché accompagniamo i nostri pensieri. Siate attenti, non giudicate niente di ciò che vedete e sentite all’esterno. Vedrete allora come va, lo sentirete voi stessi. E’ come una macchina che  fa cuocere a fuoco lento delle memorie. E’ ancora questa regione del cervello che memorizza e poi ripete. Mi ricordo di aver vissuto tre o quattro lasciar-andare grazie all’energia che possedevo: ero già integrato.

Voglio raccontarvi un esempio interessante per quelli che cercano: Molte persone vivono esperienze che gli arrivano da non si sa dove o quando. Sentono un cambiamento, succede qualcosa in loro. E si attaccano per sempre al ricordo di quell’esperienza. Nel mio caso, questo durò due anni e mezzo! Come chi si attacca alla sua credenza in un dio superiore e lontano, mi sono attaccato al mio risveglio. E ogni volta che qualcuno mi domandava cosa mi era successo, non riuscivo a rispondere. Era duro. Era un’energia che non smetteva di rinforzare il modo in cui sentivo e vedevo il mio risveglio. Per due anni e mezzo ho cercato di capire…

E’ nell’azione che arriva il lasciar-andare, e non alla sera alla lettura di un libro o di una meditazione sull’osservazione. Non è così che si troverà. E’ nell’azione che viene la chiarezza. Si può parlare del cibo su una tavola. Ma se non si ha voglia di assaggiarlo, perché parlarne: perché si conoscono gli ingredienti? Ma se non si mangia non se ne saprà di più, anche se si sa di cosa si tratta. Voi assaggiate?

Samir: Per riassumere: tutto è energia. Noi la consumiamo soprattutto nel pensiero inutile. Mancando un’esplosione interiore di un risveglio, il ricercatore dovrà fare uno sforzo per osservarsi e così recuperare energia che sarà allora essenziale per vedere più chiaro e andare più lontano.

Virgil: Si. Ma non è una conoscenza, né una comprensione esterna. Tutto succede dentro di noi. E’ una intelligenza superiore all’intelligenza mentale, lei si occuperà di noi. Allora tutto è vissuto nel presente senza ansia, senza manipolazioni, senza calcoli… E’ la pace.