La mascherata del secolo di Aimé Michel

Due personaggi fuori del comune, profetici e visionari Descartes e Cyrano de Bergerac. E’ tutta la differenza che separa quelli che sanno e quelli che vedono.

“Io vado mascherato”, diceva la massima di Descartes. Mascherato per nascondere cosa? Domanda senza risposta se è ai suoi pensieri che si riferisce, poiché è morto senza svelarli. Ma anche domanda vana, perché ciò che c’era sotto la maschera, non lo sapeva nemmeno lui. Più di tre secoli dopo la sua morte, possiamo affermarlo senza presunzione. Descartes ha formulato il quadro fino ad ora indiscutibile della scienza: le tre dimensioni dello spazio, più il tempo. E però ha creduto e scritto che la natura avrebbe svelato il suo ultimo segreto dopo qualche generazione. Qui c’è un paradosso molto profondo che forse è l’essenza stessa della storia.

Bisogna prima chiarire in cosa consiste il paradosso. “ Ho descritto, dice, tutto il mondo visibile come se fosse solo una macchina in cui non ci fosse niente da considerare che le figure e i movimenti delle sue parti(1)”. Dunque, per Descartes, non c’è niente in questo mondo che non si rapporti alle tre dimensioni di spazio più la dimensione del tempo(2). E non contento di enunciare quel principio filosofico, inventa l’analisi, quella parte dell’algebra che descrive lo spazio designato dalle lettere x, y e z, più la coordinata del tempo t, sempre chiamate con ragione cartesiane. Da più di tre secoli e mezzo niente è venuto a rifiutare la pretesa di Descartes: “Ho descritto tutto il mondo visibile”. Nel 1982 si può sempre constatarla in qualsiasi equazione fondamentale di fisica teorica, per esempio nella definizione relativista dell’intervallo d’universo: S = c2 ? T2 – ? y2 – ? z2, che non è necessario comprendere per ritrovarvi le coordinate cartesiane, e niente che esse (c2 è una costante: il quadrato della velocità della luce). Si può credere che Decartes sia stato sorpreso da un’idea tanto astratta e generale che l’intervallo dell’universo, o lo spazio – tempo, e più ancora forse dal vederla così elementare nel suo sistema di coordinate. Ma noi stessi non dobbiamo ammirare che un uomo giovane dell’inizio del XVII secolo, a cavallo tra le armate che percorrevano l’Europa centrale, solo, senza biblioteche, senza interlocutore capace di capirlo, fosse andato così lontano nei segreti della natura, che continuiamo a riflettere nel quadro dove mise l’essenza di ogni riflessione scientifica? Jacqueline Pascal ha parlato di “tremendo genio” che era suo fratello. C’è anche e più ancora qualche cosa di terribile nella divinazione cartesiana. Ciò che colpiva la sorella di Pascal, era la precocità del genio. Il genio di Descartes fu dai suoi primi colpi d’ala percepito l’essenza di un pensiero scientifico che era totalmente incapace di prevedere. C’è qualcosa che fa dubitare della natura umana, voglio dire della sola natura umana, in certi momenti decisivi della storia. Si vorrebbe sapere ciò che avviene proprio in tali momenti, rari ma non unici.
Ricordiamo ancora alcune circostanze che mostrano la grandezza oscura del genio cartesiano (supponendo che si trattasse di solo genio). Non dimentichiamo le apparenti sorgenti della sua scoperta: da una parte dei sogni, dall’altra la famosa illuminazione della “stufa”, accaduta in un novembre glaciale sulle rive del Danubio nel 1619. Aveva 23 anni. I suoi sogni spesso analizzati ma mai spiegati, gli fecero vedere in modo simbolico ma per lui limpido ciò che per lui era il percorso intellettuale. Dico “mai spiegato”, secondo me, perché ogni spiegazione che riceviamo ora deve riferirsi al paradigma cartesiano, salvo a cadere nell’occulto: quel paradigma presuppone che non accada niente nell’universo che con le azioni ritardate, cioè per cause anteriori agli effetti.
E’ quel paradigma radicato dopo Descartes e attraverso lui nella coscienza occidentale, che ricaccia nell’occulto dei concetti come quelli delle cause finali, e a maggior ragione, la premonizione, la parapsicologia e tutto quello che le si connette. E’ ancora lui che respinge in blocco ogni forma di pensiero presunto extra – umano. Quei fenomeni sono impossibili nel paradigma cartesiano dove il tempo deve obbligatoriamente scorrere in modo univoco dal passato verso il futuro poiché, se qualcosa potesse agire dal futuro sul presente, equivarrebbe ammettere la rottura della causalità, dunque la possibilità del miracolo(3).

Ma allora che significano quei sogni (4), che annunciano non solo il piano di una vita, e Descartes lo percepiva chiaramente, ma la chiave di tutto il pensiero scientifico occidentale ulteriore, ciò che egli afferma, ma commettendo un monumentale errore sul reale avvenire della scienza, lungo tutt’al più, secondo lui alcune generazioni, dopo di che sarebbe stato detto tutto? Come traccia a 23 anni il piano esatto di un avvenire che non vede?

Poi ha l’illuminazione del Cogito. Sebbene i Discorsi sul metodo ne diano una versione innocente, (“sto tutto il giorno chiuso in una stanza riscaldata da una stufa, dove ho tutto il piacere di intrattenermi coi miei pensieri”), là ancora si immagina con pena che la nascita della filosofia moderna possa risultare da circostanze così fragili. Si immagina con pena che la prima parte del discorso non nasconda niente di una educazione intellettuale che non arrivi che al livello di una maturità di oggi, tranne che in latino, greco, che non gli furono quasi di nessun aiuto. Che Descartes non abbia visto il piano dell’avvenire che immaginava, se ne può avere un’altra prova.

Nella parte che riguarda l’inizio della scienza cartesiana, a parte il suo contributo ai matematici, si sbaglia pressappoco su tutto. E ciò che è più significativo, è che i suoi stessi errori ne sono la causa. Nel 1618, un anno prima delle illuminazioni, incontra, in Olanda, l’universale Isaak Beekman che allora rifletteva sulla caduta dei corpi. Beekman è un profondo sperimentatore, molto informato dei lavori dei suoi contemporanei, soprattutto di Galileo. Sa esattamente la legge empirica della caduta dei corpi. Ma la legge matematica che si nasconde dietro i fatti gli sfugge. Il suo giornale dove racconta la sua scoperta del giovane francese vagabondo, ci dà un’immagine divertente di questo: “mi diceva di non desiderare niente di più in aritmetica e in geometria, perché, diceva, avendo loro dedicato nove anni della sua vita, ne sapeva quello che il genio dell’uomo poteva saperne”( 6 ). Beekman, d’altronde non ne dubita. Gli dice il suo problema. Descartes risponde con due teorie matematiche spiegando ciò che si sa, senza concedere il minimo interesse a possibili verifiche, perdendo forse l’occasione, chissà, di scoprire la gravitazione universale prima di Newton. Certo, non aveva che 23 anni. Ma è lo stesso modo con cui costruì l’insieme della sua opera scientifica: pretendendo di dedurre dai matematici, senza fare esperienze, la spiegazione di tutto ciò che si offriva alla sua curiosità. Fondava la fisica teorica, ma scartando dal suo cammino la sorgente di ogni conoscenza teorica, le indagini sulla natura attraverso l’esperienza.

Descartes disegnò dunque il piano della riflessione scientifica fino ai nostri giorni con una sicurezza da sonnambulo, come dice Kestler, senza vedere dove conduceva quel piano

Eppure il filo scorreva sotto i suoi piedi, ed ebbe anche più di un’occasione di vederlo, specie durante i suoi vagabondaggi germanici. Durante le sue “illuminazioni”.

La maggior parte dei fatti che racconto ora non sono stati scoperti o rilevati che recentemente dagli storici. Essi mettono in campo il problema di un possibile aspetto nascosto della storia: in certi momenti decisivi sembra che quelli che sanno non vedono, mentre quelli che vedono non sanno.

Lo stesso anno della stufa cartesiana, 1618, nasceva Cyrano de Bergerac. Quel diverso, ritenuto ancora un secolo e mezzo più tardi da Voltaire il “re dei pazzi”, non ha scritto niente che possa attirare l’attenzione di uno storico delle scienze. Il Discorso sul metodo appare nel 1637. Cyrano ha 18 anni. E’ esattamente l’epoca della sua vita dove comincia a frequentare l’ambiente “libertino” di Parigi di cui uno dei più illustri frequentatori è il cristiano Gassendi, destinato a diventare uno dei più eminenti avversari di Descartes. I “libertini”, cioè i liberi pensatori, ammirano il pensiero di Gassendi per il suo empirismo: secondo lui la vera conoscenza è sperimentale e il mondo si esplica meglio con gli atomi di Epicuro che con i sillogismi scolastici e i teoremi cartesiani. Descartes non accetta che l’evidenza. Gassendi non si fida dell’evidenza, spesso ingannevole. Però Gassendi, come Descartes, ma in altro modo, sa e non vede, sebbene sia disposto a vedere tutto, anche l’irrazionale, che, allora, vede.

Ci sono nell’opera di Cyrano strane cose. Racconta, scherzando, che è andato sulla luna. Follie, certo. Però come c’è andato? C’è andato (7) nel modo più semplice del mondo, facendosi spingere da un razzo a tre piani, ciascuno con sei pieghe. “Dal momento in cui la fiamma ebbe distrutto una fila di razzi,che erano stati disposti sei per sei, per mezzo di un innesco messo ogni mezza dozzina, c’era un altro piano, poi un altro”. Esaurita la loro funzione, i piani ricadono, mentre la cabina prosegue la sua traiettoria: “la materia, essendo usata, fece in modo che l’artificio (il carburante) mancò e io sentii continuare il mio percorso di salita e la mia macchina, staccatasi da me, io la vidi ricadere sulla terra”.

E dove Cyrano ha preso questo: dopo avere spiegato la fisica con gli atomi di Epicuro, aggiunge una precisione: “infine, dice, i primi e indivisibili atomi fanno un cerchio, su cui ruotano senza difficoltà, le difficoltà più imbarazzanti della fisica”.

O ancora questo, dove descrive certi “libri” che si possono vedere nelle biblioteche extraterrestri. Le copertine, dice, sono delle scatole. L’una è come scolpita in un solo diamante, l’altra è una “ mostruosa perla tagliata in due”. Apre una scatola: “e vi trovai una specie di metallo quasi simile ai nostri orologi, pieno di non so quali piccole macchine impercettibili. E’ un libro, per la verità, ma è un libro miracoloso che non ha fogli né lettere. E’ un libro dove gli occhi sono inutili, non si ha bisogno che delle orecchie. Quando qualcuno vuole leggere, tende quella macchina con una quantità di piccoli nervi; poi gira l’ago sul capitolo che vuole ascoltare e nello stesso tempo partono come dalla bocca o da uno strumento tutti i suoni distinti e differenti che servono all’espressione del linguaggio”. [8]

La ragione non può che prevedere il razionale, cioè il deducibile. Allora di cosa, di quali principi e con quali ragionamenti si può dedurre una scatola parlante piena di piccoli oggetti che sembrano un orologio dotato di un ago che si fa ruotare per scegliere ciò che si vuole sentire, voce o musica? Alla domanda di sapere da chi Cyrano ha le sue elucubrazioni, risponde senza imbarazzo: le ha dai “lunari”stessi che abitano i mondi celesti, che, d’altronde, precisa, si mostrano a volte agli uomini e sono chiamati da loro Ninfe, Larve, Ombre, Spettri, Fantasmi, ecc. Uno di loro apparve a Jerome Cardan (9), un altro fu il demone di Socrate. Ebbero relazioni con Agrippa, l’abate Tritème, il dottor Faust ecc (10) e, aggiunge Cyrano, “con una certa cabala di giovani conosciuti col nome di Cavalieri della Rosacroce, a cui ho insegnato (è un lunare che parla) una quantità di segreti naturali che senza dubbio lo avrebbero fatto passare per un grande mago”.
Con la Rosacroce, rieccoci agli anni dei pellegrinaggi di Descartes, a uno dei momenti strani della storia dove si incrociano senza vedersi quelli che vedono e quelli che sanno. Non tenterò di resuscitare la leggenda di Descartes Rosacroce! Certamente no, per la ragione sufficiente che nel 1619 la Rosacroce non è che una favola che sta prendendo forma.
L’origine di questa favola, diventata mito, poi realtà, ha dato luogo recentemente ad una affascinante ricerca storica del grande specialista inglese del neoplatonismo, Frances Y.Yates (11). La Rosacroce si manifesta nel 1614 con un testo pubblicato in Germania sotto un titolo interminabile abitualmente sostituito dal latino Fama fraternalis Rosae Crucis. Come si sa, era presentato come una società segreta di sapienti fondata nel XIV secolo da un certo Christian RosenKreuz. Il testo essendo ritenuto profetico, era stato scritto dal suo fondatore chiaramente eponimo (Rosen Kreuz? Rosa Croce). Annunciava che centoventi anni dopo la sua morte, ci sarebbe stato un altro rinnovamento della specie umana per mezzo della scienza, e invitava tutti i sapienti d’Europa a unire i loro sforzi. Si comprende che quello doveva essere fatto liberandosi dal papa, dalla chiesa cattolica e specialmente dai gesuiti (12).

La vera Europa, quella delle menti, allora esisteva. In alcuni mesi tutti i sapienti e un’infinità di curiosi avevano letto la Fama e si erano messi alla ricerca di quei misteriosi cavalieri. In Francia Gabriel Naudé pubblica nel 1623 le Rivelazioni sulla storia dei fratelli della rosacroce; parla di un’opera intellettuale e ritiene la rosacroce un’impostura. Benché ostile, dà un’immagine veritiera della rosacroce: quella società, dice che “dopo le novità che ci hanno dato i nostri progenitori, scoperta dell’America, bussola, orologio ecc… un’era nuova di scoperte è vicina”. Ed anche “ il rinnovamento delle conoscenze promesso dalle Scritture”. Naudé confutava con un tono malevolo e scettico l’interpretazione corrente della Fama e del secondo manifesta di Rosacroce chiamato Confessio Fraternitatis (1616). Né Naudé né alcun altro di serio credeva a questa nuova era di scoperte. Due specie di individui solo ci credevano: quelli che la posterità avrebbe chiamato i fondatori della scienza moderna: Keplero, Galileo e il giovane Descartes; e gli illuminati della Rosacroce. Ma noi sappiamo che Descartes si trovava sugli stessi luoghi dove si forma la leggenda e da dove partono i manifesti (Germania e Boemia). Nel 1620 passa l’estate a Ulm dove incontra a lungo uno degli illuminati, Johan Faulkaher (13), uomo d’altra parte molto sapiente che stimola la curiosità di Descartes per molti mesi. Ricordiamo che era allora in piena effervescenza creatrice (i suoi sogni si datano nel novembre del 1619, otto mesi solo prima del suo arrivo a Ulm in giugno). Resta nell’Europa centrale tre anni ancora e comincia a passare a Parigi per un Rosacroce. Ci rientra infine nell’inverno 1623, inquieto per quel chiacchiericcio e dichiara dappertuttoche quei Rosacroce sono degli impostori, termine ambiguo a seconda: impostori quando si dicono ereditieri di una antica tradizione (ciò che effettivamente non era)? Oppure quando annunciano il “Rinnovamento delle Scienze” (rinnovamento di cui Descartes si proponeva di essere il Prometeo)? Coi loro attacchi contro la chiesa, il papa e i gesuiti, i Rosacroce (o piuttosto gli eruditi dell’Europa tedesca che si nascondevano dietro quella misteriosa espressione, soprattutto Johan Valentin Andreae, loro probabile autore) aggiungevano alle tempeste che Descartes temeva nello stretto ambito scientifico, un pericolo supplementare in paesi cattolici, pericolo soprattutto inutile. Ricordiamo che Giordano Bruno è bruciato a Roma nel gennaio del 1600 per avere insegnato l’”infinità dei Mondi e delle Vie”, titolo di uno dei suoi libri e che l’affare Galileo era allo studio nel segreto dell’Inquisizione: denuncia nel 1610, processo più di vent’anni più tardi.

Non posso in queste poche pagine seguire il filo sotterraneo dove corre misteriosamente il fuoco della modernità annunciata da coloro che non sanno e abbracciata da quelli che non vedono (14). Sui Rosacroce (che a forza di parlare del mito finirono per esserne gli iniziatori) segnaliamo solo che essi disparvero in Inghilterra ai tempi di Newton, dopo avere fondato, sembra, il Collegio invisibile da dove doveva uscire la Società Reale, equivalente alla nostra Accademia delle Scienze. I Rosacroce, veri o immaginari, posso dunque dire: “missione compiuta”. Il rinnovamento delle scienze annunciato fin dal 1614 è ormai incamminato.

Un episodio rimasto fino ad ora misterioso ci permette di vedere come in un flash unico questo processo della storia dove forse si trama la mascherata dei secoli.

Cyrano parla vagamente degli “stratagemmi e segreti naturali” rivelati a qualche “visitatore” terrestre di cui i Rosacroce attraverso i “lunari” vennero a conoscenza. Quali “segreti naturali”?

Un contemporaneo di Cyrano, Gabriel Naudè, nato nel 1600 e molto curioso di Rosacroce), conosce qualcuno di questi segreti e ne nomina uno che attira la nostra attenzione (nel 1625 nella sua Apologia dei Grandi Uomoni cosiddetti di Magia). Tra questi grandi uomini sono anche sulla lista di Cyrano e uno dei “segreti” è una “testa parlante”.

Una “testa parlante” ecco che non è più serio che la scatola parlante di Cyrano. Però si ha una lettera di san Vincenzo da Paola che riporta il 28 febbraio 1608 la sua prigionia presso i turchi di Tunisi, dove sarebbe, dice, stato informanto dei segrei della natura da un sapiente medico spagirita, di cui fu lo schiavo. La lettera (16) è scritta a Roma, dopo la sua presunta prigionia. Vi si legge una lista di questi segreti di cui fa la dimostrazione a Roma presso un funzionario del papa e “era tra quelli che… avevano un artificio per fare parlare una testa di morto… e mille altre belle cose geometriche”… Il soggiorno di Vincenzo da Paola presso i turchi è ora considerato una favola. La sola certezza su questo episodio è la sua scomparsa inspiegabile dal giugno del 1605 all’agosto del 1606, molto probabilmente in vista di una missione segreta dei suoi superiori). Missione importante, poiché fin dal suo ritorno questo figlio di povera gente, di soli 27 anni è ospitato a Roma dove vive tra i favoriti del papa fino al suo ritorno in Francia nel 1609 con una missione segreta per il re Enrico IV. Da quella data fino alla sua morte che coincide con la successione di Luigi XIV, farà parte dell’entourage della corte di Francia. Una tale destinazione, decisa così in fretta a un’epoca in cui la nascita stabiliva tutto, resta altrettanto inesplicabile che la scomparsa, che ne è l’inizio.

Non c’è conclusione storica ragionevole ai fatti che ho appena raccontato, se non che l’origine della più autentica modernità ci rimane nascosta dietro un velo impenetrabile. Sembra che all’inizio del XVII secolo, nel momento decisivo in cui Galileo per la prima volta puntava una lente verso il cielo, non so chi si sia divertito a confondere le acque. A confondere le acque abbastanza perché dubiti, però abbastanza poco perché dubiti del suo dubbio, domandandosi se la storia visibile sia altra diversa da un’ingannevole fantasmagoria.

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Quelli che vedono ma non sanno

Lo storico vorrebbe conoscere esattamente l’origine e le azioni di quelli che, in quell’inizio del XVII secolo, vedono ma non sanno, e per primi i Rosacroce. Bisogna, secondo me, resistere alle interpretazioni dei rosacrociani moderni che non possono dare nessuna prova della loro discendenza autentica. La discendenza esiste forse, ma siccome nessuna è provata, non si saprebbe prendere per verità storica delle tradizioni che potrebbero essere state inventate di sana pianta. È il prezzo pagato da tutte le “tradizioni segrete” di non potersi distinguere dalla fantasia. La logica vorrebbe d’altra parte che la discendenza autenticamente segreta mantenga l’idea stessa di volersi provare pubblicamente come un’eresia, ciò che rende sospetta ogni pretesa pubblica di autenticità. Atteniamoci a quello che è storicamente certo o ragionevolmente probabile:

1) è certo che le prime manifestazioni pubbliche che si proclamavano della Rosacroce sono nell’ordine della Fama Fraternalis (Kassel, 1614), la Confessio (Kassel, 1615) e le Nozze Chimiche di Christian Rosencreutz (Kassel, 1616).

2) le Nozze Chimiche sono quasi certamente l’opera di Johann Valentin Andreae e anche, un po’ meno certamente, la Fama e la Confessio.

3) Johann Valentin Andreae era un pastore luterano molto zelante, nato nel 1586 a Wurtemberg, formato da suo nonno paterno, anche lui pastore, e uno dei padri del luteranesimo nel Wurtemberg e Palatinato. Ma la linea degli Andreae ha subito altre influenze prendendo la loro sorgente nelle sventure religiose del Palatinato e della Boemia. Frances Yates fa risalire l’attivismo religioso anti-romano di questa regione all’ambasciata di sir Philip Sidney, mandato nel 1577 dalla regina Elisabetta presso il nuovo imperatore d’Austria Rodolfo II, successore di Massimiliano II. Philip Sidney, che era certamente una personalità notevole, accese le menti della nobiltà tedesca e boema, e morì al massimo della sua fama lasciando il ricordo archetipico del cavaliere dell’Onore Divino.

4) Con Philip Sidney, Yates confina l’attivismo religioso (centro-europeo) dalla fine del XVI secolo all’ordine della Giarrettiera, investito anche lui di archetipi (ordine cavalleresco, esoterismo, araldico), tutti ingredienti dell’ordine della Rosacroce, “rivelato” dalla Fama.

5) Il nome stesso della Rosacroce può indicare una pista più antica, che non si lascia che intravedere fino a più grandi scoperte. “Non è” scrive il linguista francese Jean-Pierre Foucher nella prefazione della sua traduzione dei romanzi di Chrétien de Troyes), “cedere a speculazioni stravaganti mettere l’invenzione della tavola rotonda in rapporto con i miti solari. Si sa il ruolo dei simboli solari nell’arte ornamentale irlandese). La croce celtica non è l’imposizione di una croce su un cerchio?)”

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L’origine occulta del razionalismo moderno

È certo strano che “quelli che vedono ma non sanno” diventino in un secolo e mezzo “quelli che sanno ma non vedono più”. Là i documenti storici sono sufficienti. Ricordiamo prima che lo zelo mistico luterano in Westfalia, Palatinato e Boemia fu profondamente attuato da quelli che hanno chiamato del “rinascimento elisabettiano”, il seguito dell’ambasciata di Philip Sidney.

1) Nel 1619 pareva, a Oppenhein nel Palatinato, la Storia dei Due Mondi di Robert Fludd (1574-1637), esoterista e sapiente, avversario di Keplero, Mersenne, Gassendi… Fludd è l’esatto intermediario tra “quelli che vedono e quelli che sanno”; fervente partigiano dei primi (pubblica una Apologia della Rosacroce), egli “sa”, come Descartes, ma non comprende la scienza moderna.

2) Verso il 1640, è provata a Londra l’esistenza di un “Collegio Invisibile”, ispirato alla Fama. Questo permette ai sapienti di radunarsi per promuovere la scienza e opporsi a Roma. È quello che cominciano a fare i sapienti inglesi tra cui il famoso Robert Boyle, che scoprì la vera natura della combustione e, indipendentemente da Mariotte, la legge conosciuta sotto il nome di questo ultimo. Si sono conservate molte lettere di Boyle su questo Collegio Invisibile precursore della Royal Society. Ne fa parte ed esprime il suo entusiasmo. In queste lettere in latino, il misterioso collegio è chiamato “ludibrium”, propriamente facezie, parola certamente scelta male, salvo se si nota che Andreae nominava così lui stesso la Rosacroce.

3) Boyle non designa mai nominalmente la Rosacroce. Per contro John Wilkins, altro personaggio dominante dei movimenti che sfociarono nella Royal Society, ne parla chiaramente nella sua Mathematical Magic, nel 1648, per di più ispirato alla storia di Robert Fludd (supra).

4) Nel 1654 John Webster, ancora passabilmente occultista (ma non più di Newton stesso), pubblica un Esame delle Accademie; prevede il rigetto definitivo della scolastica (come Descartes) a favore del “Linguaggio della natura” (come Galileo e i primi sperimentatori), così come dell’Ermetismo, cioè indirettamente del Platonismo, contro Artistotele. E come John Wilkins, loda grandemente e apertamente la Rosacroce come sorgente delle sue idee.

5) Si può seguire il pensiero rosicruciano fino a Newton stesso. Che si sa passò la maggior parte della sua vita non a quello che noi chiamiamo ora la sua opera, la gravitazione e il calcolo integrale, ma a scrutare l’Apocalisse. La discendenza è ininterrotta e chiaramente dimostrata. Il razionalismo moderno ha dunque un’origine largamente occulta! Quello che senza dubbio non è sufficiente per dare una legittimità al pensiero occulto (non è il mio scopo in questo articolo né la mia opinione personale) ma che obbliga chiunque a interrogarsi sui motori della storia ad ammettere la parte oscura, perfino misteriosa, di certe grandi scelte. Perché finalmente il programma tracciato da Andreae su una ispirazione prima di lui stupefacente si è realizzata con evidenza nel cuore dei secoli seguenti. Chi dirà come lui e i suoi ispiratori sconosciuti poterono così scrutare un futuro così lontano e forse comandarlo?

[1] Principes, IV, 188.

[2]eccetto l’anima che pone fuori dall’ambito della scienza.

[3] Cf. Arthur C. Clarke che dimostra che ogni tecnologia proveniente dal futuro sarebbe non discernibile dalla magia.

[4]  nella vita di Monsieur Descartes, di Baillet (1691).

[5] Descartes parla di una stanza riscaldata da un’immensa stufa di Faenza che era spesso messa nelle case dell’Europa centrale e in Olanda

[6] A. Koyré : Études Galiléennes. Hermann 1966, p. 107, note 6.

[7] Cyrano de Bergerac, œuvres comiques. Librairie de la Bibliothèque Nationale, Paris 1879, Tome I, p. 36.

[8] Pages 49 et seguenti

[9] C’è nelle memorie di Cardn una storia di fantasmi ripresa da Cyrano (il viaggio sulla luna, apparso nel 1649

[10] Tutti famosi occultisti

[11] France A. Yates : The Rosicrucian Enlightenment (Routledge and Kegan Paul, Londres, 1972).

[12] Che non c’erano all’epoca in cui la Famaè detto essere stata scritta

[13]Autore un anno prima della Fama di un’Arte di magia divina, dove a dispetto del titolo si tratta di arti meccaniche e di strumenti matematici

[14] F.A. Yates racconta in dettaglio ciò che si sa.

[15] pubblica nel 1623 le sue rivelazioni sulla verità dei fratelli della Rosa.

[16] questa lettera e altre furono scoperte in una tesi universitaria pubblicata in Tunisia nel secolo XVIII.

[17] Cf. dal compianto Pr. Fernand Benoit : « Le Mystère de la captivité de saint Vincent de Paul à Tunis », istituto storico di Provenza, 1931.

[18] Les Romans de la Table Ronde,tradotto e preparato da J.-P. Foucher (Gallimard-folio), p. 18.

[19] così come in molte valli chiuse delle Alpi : Queyras, Ubaye.

[20] in Ubaye ( Méolans-Revel),i calvari portano invece del Cristo, un sole.

a cura di L. Scalabrini