La luce dell’Oscuro

3ème Millénaire n. 45

La filosofia occidentale si basa, per le domande essenziali, sulla sorgente misconosciuta del pensiero greco. Jean Bouchart d’Orval evoca la luce dell’Oscuro, del famoso Eraclito d’Efeso. Affrontare il pensiero d’Eraclito con la metodologia proposta dall’autore, è scoprire l’origine del pensiero filosofico occidentale.

“L’Oscuro, Quello che è senza segno distintivo, che non è oggetto che sia colto da un soggetto; Quello che è il cogliere stesso; che è Puro sguardo, Pura Coscienza”

D: Jean Boughart d’Orval, ci sono già molte traduzioni e commenti dei frammenti d’Eraclito; perché vi siete dedicato a tradurre e commentare questo pensiero dell’antichità?

R: Eraclito ha formulato qualcosa di davvero inaudito, ma i suoi contemporanei avevano del cemento nelle orecchie e i commentatori antichi e moderni che si sono susseguiti non sono riusciti che a banalizzare e offuscare lo splendore della sua luce. In generale, le traduzioni e i commenti che esistono non sono soddisfacenti, nel senso che trascurano l’essenziale di Eraclito.

L’uomo della fine del XX secolo ha bisogno di capire il discorso-vortice di Eraclito (come lo chiama il prof. Constantin Fobuias nella sua magnifica prefazione) in tutta la sua radicalità e, per questo, è meglio posto nei Greci della fine del VI secolo avanti Cristo. Molti sono quelli che, nelle società industriali, hanno esplorato il mondo dell’apparire, quello della forma, per realizzare che quello che cercano è al di là di ogni “cosa”. L’uomo che si trova davanti la rivista 3^ Millenarie ha la capacità e l’opportunità di sentire Eraclito dire: “Di tutti quelli di cui ho sentito i discorsi, nessuno è arrivato a riconoscere che chi è saggio trascende ogni cosa”.

Il mondo antico, ha dapprima sentito parlare d’Eraclito da Platone e Aristotele. Sono questi due, soprattutto Aristotele, che hanno dato il tono all’Occidente, mettendo avanti un percorso coltivato da allora con le caratteristiche della “filosofia”. Ma Eraclito non è un filosofo come s’intende in occidente; ciò che ha formulato non è fondato sull’opinione, sul punto di vista personale, né sul ragionamento o la credenza. E’ un autentico saggio, cioè un essere umano, che ha smesso di credersi un essere umano o qualsiasi cosa, compreso un saggio. Ciò che distingue un vero saggio dagli altri uomini è che ha smesso di vivere come uno che dorme.

Nell’India tradizionale, con il termine rishi si designa colui di cui l’ignoranza è finita. Bisogna spesso ricorrere a questi termini esotici perché in questo contesto le nostre parole europee non vogliono più dire granché. Si chiama “saggio” presso a poco non importa chi pretende d’ esserlo o se ne dà l’aria. D’altronde la parola “filosofo” indica qualcuno che si è formato un sistema di pensiero con le sue letture e le sue riflessioni. Ora, le idee che ha espresso Eraclito non vengono a fondare un sistema filosofico; Eraclito non ha niente da dire. Uno dei frammenti dice:” L’Onnipotente di cui l’oracolo è quello di Delfi non dice né nasconde, ma fa segno” Ecco, Eraclito anche lui “fa segno” e rinvia l’uomo alla sua propria luce, piuttosto che infliggergli un sistema di pensiero o un ideale e costringerlo all’indigenza spirituale per il resto dei suoi giorni. Si è subito e prima di tutto dato all’ascolto, piuttosto che provare a costruirsi una opinione.

La maggior parte delle traduzioni e dei commenti di Eraclito danno per scontato che aveva un messaggio da far passare, una teoria da dire al mondo. Certo, il testo può a volte dare questa impressione; ma contrariamente a ciò che è successo dopo in occidente, è prima di tutto il frutto del reale ascolto. E’ importante ristabilire questo, se no si fanno dire a Eraclito delle banalità. Così uno dei frammenti importanti dice:” L’Unico è Quello che è saggio: sapere che quello che conosce, governa tutte le cose attraverso tutte le cose”. La traduzione solita dice qualcosa del genere. “La saggezza consiste in una sola cosa: sapere che una saggia ragione governa tutto attraverso tutto”. Questo è accettabile sul piano grammaticale, ma lo splendore di Eraclito si trova allora ricoperto da uno strato buio che banalizza la luce dell’Oscuro. Tradurre “gnoum” con “una saggia ragione” riempie temporaneamente la nostra insicurezza e siamo molto tentati di accettarlo e di passare oltre. E’ sempre questa insicurezza che ci spinge a stare alla superficie dell’esistenza e ad attaccarci a tutti i concetti che rassicurano e rafforzano l’idea dell’ “io” oggettivando tutto.

Ciò che le opere accademiche definiscono “una saggia ragione” e che i religiosi chiamano Dio può rassicurarci sulla piatta orizzontalità del nostro mondo immaginario, dove l’idea del soggetto e dell’ oggetto si profila dietro ogni percezione, ma prima o poi ciò che non è reale crolla.

Per la maggioranza degli esseri umani, questo succede con la morte del corpo e della struttura egoica. Ma bisogna arrivare alla morte per realizzare la nostra ignoranza colossale? Eraclito propone la cessazione di questa ignoranza ora, coscientemente, lucidamente, in modo che i suoi residui nella memoria di cui fa parte, possano essere sciolti e la libertà illuminarsi in tutto il suo splendore. Non è che Eraclito neghi l’esistenza di una specie di saggia ragione, ma suggerisce di andare a vedere la vera natura di questa saggia ragione. Dopo aver sentito “una saggia ragione” l’attenzione si assopisce, la ricerca ristagna. Quando ci si accontenta della parola stessa, si assume il concetto di un’entità separata da sé che governa tutto come un governo fatto con i propri cittadini, con degli scopi, dei mezzi e dei risultati. La “saggezza” allora diventa qualche cosa, ciò che Eraclito giustamente dice che non è. Ciò che Eraclito ha realizzato nella sua meditazione è radicale; è perché ha vissuto in modo audace e ciò che propone non è banale. E’ la realtà che è audace. Se si osa abbandonare, anche per un momento, le rappresentazioni tradizionali rassicuranti, vive la meraviglia. La verità mostra di essere tanto più semplice e più elegante di tutti i modelli con i quali l’uomo si è torturato il cervello da millenni!

Il senso primario di “gnomè” è “la facoltà d conoscere”; è “quello che conosce”.

Che è tutto. Ma il pensiero, nella sua paura di uscire dal conosciuto, si è affrettato a farne “una saggia ragione” che controlla tutto in modo volontario. Eraclito ci invita, in questo frammento e in molti altri, a uscire dall’immagine infantilizzante di un Dio con delle mire per le sue creature, dei piani, delle strategie, un Dio che negozia con i suoi “soggetti”, un Dio nel divenire, sorpreso dal tempo.

D: Parlate di un ascolto reale. Cosa intendete con questo?

R: L’ascolto è fondamentale per Eraclito. “Non essendo portati per l’ascolto, non sanno nemmeno parlare” dice uno dei frammenti. Potremmo dire che non sanno pensare, parlare, né agire. Essi sono i dormienti, come li chiama Eraclito, che vivono in modo automatico e incosciente, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che continuano a credere, malgrado le smentite quotidiane che porta loro la vita, che sono gli autori dei loro pensieri, delle loro parole e dei loro atti, come delle entità individuali.

L’ascolto di cui parla Eraclito non diventa possibile che quando l’essere umano realizza profondamente la futilità di tutte le sue pretese e le sue strategie. Succede allora qualcosa di fresco: l’ascolto è senza scopo, senza attesa, senza soggetto e senza oggetto. Nessuno ascolta e niente è ascoltato, ma c’è ascolto. Se si vuole, si può chiamare questo meditazione, ma l’importante è la realtà stessa e non il concetto o la parola. Finora l’ascolto dell’uomo, a parte qualche eccezione, è sempre stato l’ascolto di qualcosa, di qualcuno. C’è sempre “qualche cosa” che si aspetta, qualcosa al quale si potrebbe arrivare per una strada, forse facendo yoga, praticando la meditazione, pregando, diventando buddista, o cristiano, o ancora frequentando un ashram in India per anni. Non è che queste strade siano cattive, no; è la nostra “attitudine” che è maldestra, è il nostro impulso al profitto che ci allontana da ciò che cerchiamo. Eraclito dice: “Se non si aspetta l’inatteso, non lo si scoprirà, lui che è inesplorabile e senza accesso”. Propone un ascolto sciolto dal contenuto della memoria, un ascolto veramente silenzioso, purgato di tutte le velleità di cambiare qualsiasi cosa a ciò che è. Non che i cambiamenti cessino, al contrario. Eraclito sottolinea il carattere dinamico della manifestazione dell’Unico: “tutto scorre” dice “tutto cede e niente tiene” o ancora “ il sole è nuovo ogni giorno” o ancora “non si può entrare due volte nello stesso fiume”. D’altronde, il solo vero cambiamento dell’uomo accade nel momento in cui si lascia prendere dall’Inatteso. Eraclito chiama anche questo ascolto quello del logos: “la saggezza vuole che quelli che sono all’ascolto, non di me ma del logos, vedano che ogni cosa è l’Unico”. Non è un uomo che è ascoltato, non è un concetto né un ideale, no; è il Logos, che è una parola utilizzata per nominare quello che è “inesplorabile e senza accesso” ma che è la nostra natura profonda. La parola logos è felice perché se non si conosce il greco non vuol dire niente e tanto meglio. Quando si può mettere un senso alla parola logos, ci vuole tempo per disfarsi delle rappresentazioni. Certo, per chi come me ha l’handicap d’aver studiato un po’ il greco antico, si può divertire a penetrare in un senso profondo e perduto la parola logos (io l’ho fatto) ma più profondamente la parola non vuol dire niente! Nessuna parola vuol dire qualcosa di reale se si insiste perché dica qualcosa… Liberarsi dal senso permette di essere con una mente chiara. Eraclito dice: “Avere la mente chiara è la più alta virtù; la saggezza consiste nel parlare della realtà così com’è e agire secondo la propria vera natura, stando al suo ascolto”. Nella chiarezza delle mente tutto diventa luminoso.

D: Eraclito insiste sull’impermanenza di ogni cosa. Non assomiglia a Buddha in questo?

R: Eraclito è vissuto esattamente alla stessa epoca di Buddha in India e di Lao-Tseu in Cina, ma nessuno dei tre ha mai sentito parlare degli altri. E’ in ogni caso una mancanza di visione tentare di paragonare gli insegnamenti dei saggi autentici, di provare a vedere l’influenza dell’uno sull’altro. I tre hanno formulato la Tradizione, cioè ciò che non si riferisce al tempo e alla persona. Nei tre casi è la stessa Sorgente che opera: non bisogna stupirsi di trovare un’identità di fondo. Ma non è essenziale fare lunghi studi comparativi; è meglio stabilirci noi stessi in questa Sorgente!

Perché Eraclito insiste, in molti frammenti, sull’impermanenza di tutte le cose? E’ che l’uomo, nella sua vita di tutti i giorni, insiste egli stesso pesantemente sulla permanenza di queste cose! Certo, intellettualmente sappiamo che “tutto cede, niente tiene” come dice Eraclito, ma sul piano emotivo, lì dove tutto si gioca nella nostra vita, agiamo come se tutto fosse permanente… Perché stupirsi d’incontrare la sofferenza?

La sofferenza è sempre il risultato di una lettura distratta della realtà. Le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri sono tutte interrogazioni per sapere che cosa è reale. Sentire un desiderio in effetti è fare la domanda: “questo è reale?”. La risposta non è sempre la stessa? Perché continuiamo ad agire, parlare e pensare come se tutto dovesse durare a livello di forma e fenomeno? Semplicemente non spingiamo la nostra inchiesta così lontano per sradicare finalmente la tenace illusione che esistano cose individuali, che ci sono molte entità. Quando ci si dà veramente all’ascolto, prende piede una nuova comprensione,il sapere che “tutte le cose è l’Unico”. A quel punto si smette di credere a una pluralità d’esistenze. Se il chiacchiericcio mentale si calma davvero, se pure per un momento, la realtà della Pura Coscienza si rivela. Come parlare di un Dio separato dalle sue creature, come lo propongono diverse religioni? Come accontentarsi di caldeggiare una “teoria” sulla realtà, come lo scienziato che non spinge più lontano la sua ricerca?

D: Un ultima parola?

R: Possiamo lasciarla allo stesso Eraclito: “E’ l’eredita legata a tutti gli uomini: conoscere se stessi e vivere nella chiarezza” Abbiamo tutti la capacità di riconoscere il vero, perché noi siamo la verità stessa. E’ questa verità che si cerca in quella che chiamiamo la nostra vita, i nostri pensieri, le nostre parole, i nostri atti. L’ombra è presente in noi per comprendere questo riflesso che noi prendiamo per la luce e far uscire la vera luce, la luce dell’Oscuro.

Ecco perché il saggio d’Efeso dice: “E’ proprio della nostra vera natura manifestarsi mentre si nasconde”

– Traduzione di Luciana Scalabrini