LA PASSIONE NELLA MUSICA VISSUTA

 

Michael Radulescu

LA PASSIONE NELLA MUSICA VISSUTA

Traduzione a cura di Maurizio Redegoso Kharitian

 

3e Millènaire – In quanto compositore contemporaneo di musica sacra, come vi situate in rapporto alla spiritualità?

 

Michael Radulescu – Leggo attentamente un libro straordinario di Aldous Huxley, La Philosofia perennis, Huxley collega le religioni alla spiritualità e, come lui, sono convinto che lo spirituale è l’essenziale di ogni religione. Sul piano religioso, ho d’altra parte la fortuna di avere ricevuto una base ecumenica poichè mio padre era ortodosso, mia madre cattolica ed avevo un nonno luterano. Tuttavia, nel contesto cristiano, mi sento piuttosto luterano; ma sono anche “cattolico” nel senso dell’universalità data a questo termine, in quanto del tutto al di fuori dalla religione cattolica. Per me, essere cattolico, è allora abbracciare tutta l’umanità.

Quale relazione può avere la musica con lo spirituale? E come comprendete la musica?

Per il musicista, lo spirituale comincia dal silenzio, in quanto senza silenzio, non vi è spiritualità. E’ questa la mia prima convinzione; e d’altra parte, la concezione che la musica viene dal silenzio è molto antica, la ritroviamo in Sant’Agostino. Non si tratta dunque di comporre una musica che sussurra in permanenza…In questo modo, il suono potente o l’esplosione acustica che produco, tende sempre ad emergere dal silenzio assoluto. Si tratta della stessa cosa nel disegno dove abbiamo bisogno di un foglio bianco.

Per dei secoli, la musica è stata considerata come un simbolo della futilità della vita, del tempo che scorre…La mia seconda convinzione, è che la musica è il tempo vissuto. Di conseguenza, non possiamo conservare la musica perchè il tempo evolve. Possiamo del resto stabilire un paragone significativo tra un CD ed un DVD, in quanto fermiamo un CD, e non c’è più nulla, mentre arrestando un DVD, resta un immagine. Ciò vuol dire che la musica ha della realtà solo nel movimento…Per questo rimango molto scettico sul nostro modo di conservare la musica. La registrazione resta valida in quanto semplice documento sonoro segnando un avvenimento ad una certa data, nulla più. Inoltre, mi sembra che l’industria del disco riposi su qualcosa di falso trafficando o modificando il suono. Alla fine, la registrazione non è la musica, e ciò che mi prende sempre più, è la concezione del hic et nunc, del qui e ora della musica.

Ho letto che fin dalla più tenera età, siete stato chiamato a scoprire la musica di Johann Sebastian Bach.

In effetti, la prima musica che ho ascoltato è stata la Passione Secondo San Matteo di Johann Sebastian Bach, diretta da mio padre, in segreto, in condizioni inimmaginabili, in Romania, in quanto in pieno periodo del terrore staliniano. Avevo circa tre anni e sono stato, all’epoca, totalmente affascinato da quest’opera grandiosa.

Suonate sempre delle opere di Bach, cosa potete dirci del modo di suonare le opere straordinarie di questo compositore?

   Sono persuaso che senza conoscere la teologia di San Paolo, di Augusto e di Lutero, la musica di Bach dimora nella musica antica, con degli ornamenti, ecc…ma che il fondo resta inespresso. L’interprete deve interrogarsi: “Che cosa voglio dire attraverso questa musica?”…E capiamo allora che con Bach, la Passione non è un dramma che si è svolto circa duemila anni fa, ma che è il dramma perpetuo della nostra umanità. Questo dramma è il paradigma di tutte le tragedie, fra cui quelle spaventose che abbiamo conosciuto nel XX secolo. Drammi provocati dalla barbarie delle masse sottomesse ad ogni sorta di fondamentalismo (il nazismo, lo stalinismo, ecc.).

La Passione non riporta ognuno a se stesso al di là di ogni ideologia religiosa?

  Nelle Passioni, questo dramma si attualizza nel momento delle arie o dei corali. Ho anche visto, che nelle due Passioni che abbiamo di Bach, la parte di Gesù, che è la parte del basso del primo coro, contiene tutti i cori, tutti i corali e le due arie, anche quelle che evoca dopo la sua morte. Lì, è il cantante attuale stesso, la voce di basso stessa che incarna nello stesso tempo Gesù e la partecipazione viva, attuale dell’ascoltatore: nel finale, dopo la morte di Gesù, canta “Purificati mio cuore, voglio mettere Gesù nella tomba,  seppellirti a me.” E’ l’unione con il Cristo, l’unio mystica della teologia luterana del XVII secolo. Si tratta qui di avere come scopo l’imitazione di Cristo, l’imitatio Christi. Ma prima di tutto, qui e ora, è ad ognuno di noi di vedere che può essere un Giuda, un Pietro o l’Agnello sacrificato.

Parlateci adesso della Passione che avete composto.

   Per molti anni, ho dimenticato questo progetto di scrivere una Passione; poi, 13 anni fa, ho ricevuto una commissione dal Coro di Graz. Numerose domande sono nate. Dopo Bach, ed impregnati dalla sua opera, era ancora possibile di mettere in musica i racconti della Passione di Cristo, tratti dal Nuovo Testamento? Come trattare ai giorni nostri in maniera così convincente una tale “azione drammatica” senza avere fatto ricorso al recitativo secco dell’Evangelista? Come trovare il mezzo di esprimere l’attualità e la sterminata ricchezza simbolica di questo dramma fondatore senza cadere in una “attualizzazione” primaria e volgare che, per definizione non potrebbe essere che superficiale nel nostro presente? Quali testi scegliere e quale tradizione considerare?

Per il libretto, avevo escluso l’idea di mettere in musica un solo Evangelista, ed ho dunque scelto di combinare i Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca, che sono di una ottimale complementarietà. Ed alla fine ho trovato una soluzione ecumenica attraverso due nuove traduzioni, l’una luterana, redatta nel 1900 da Carl von Weizsaecker, teologo a Tubingen, l’altro cattolico (1989), del teologo Fridolin Stier, anch’egli a Tubingen. Le rispettive scelte nel dettaglio sono state dettate dalla melodia ed il ritmo della lingua parlata. Poi, nella maniera del contrappunto testuale, ho inserito il testo (così come il cantus firmus, con delle variazioni) del corale luterano “Mitten wir im Leben sind mit dem Tod umschlungen”, versione tedesca del “Media Vita in Morte sumus” gregoriano. Quest’aggiunta rappresenta il legame con la nostra attualità, ed è confidato alla voce di contralto solo (trattata in vox lamentans) molto ben definita da Maria Maddalena che, posta isolata dall’altra parte del coro verso il fondo della chiesa e tra il pubblico, piange sul destino dell’umanità. Si tratta qui di un cantus sumus antico della metà del XV secolo, “Media Vita in Morte sumus” che significa che nel mezzo della vita siamo abbracciati dalla morte. E’ il contralto che termina l’opera e che interviene nei momenti cruciali dell’azione propriamente detta.

La complessa ricchezza dei testi considerati, talvolta racconti, discorsi diretti, meditazioni o preghiere, ha determinato la composizione dell’insieme vocale e strumentale: due cori misti, due orchestre (risonanza, fondo tonale di musica), e le due voci di solisti che sono il contralto solo piazzato fra il pubblico (vox lamentans) ed il basso solo (vox Christi) che è un basso, come in Bach o nella tradizione del Medio Evo quando la voce di Cristo era cantata o parlata. Allora l’evangelista, o il narratore, cantava in tenore, dunque sulla quarta o la quinta superiore, mentre il volgo cantava all’ottava acuta con un suono piuttosto aspro e brutale.

In omaggio alla San Matteo di Bach, Gesù canta nella mia Passione, accompagnato da quattro viole da gamba che sono degli strumenti “diafani”, molto sensibili, dal timbro luminoso invocante una “aura acustica” del Cristo. Dietro le quattro viole da gamba, ci sono quattro tromboni, poi due gruppi di percussioni, uno a sinistra l’altro a destra, e per ogni coro, vi sono due flauti e due contrabbassi.

Il materiale musicale di partenza è composto da sette suoni ottenuti per sovrapposizione di due tetracordi simmetrici. Il testo è trattato in funzione della sintassi, dell’assonanza, del colore delle vocali, del ritmo naturale delle parole. Il punto di partenza è la pratica della lettura dei Vangeli come nell’alto Medio Evo: alternanza di due gruppi, modificazioni del tempo secondo le litterae significativae dei manoscritti medioevali.

La struttura stessa del racconto è chiarificata dall’integrazione alla musica stessa del titolo principale dell’opera, e dei nomi degli Evangelisti a ciascuna delle loro citazioni.

Tecnicamente come musicalmente, non si tratta per quest’opera di concepire delle belle melodie per esse stesse, ma di rendere bene possibile l’intreccio della parola con il suono sotto forma di risonanza, fino a riscoprire l’antico ed illuminante Mousikè greco.

Yvette Knoerlè  – Si parla sempre della spiritualità nella Passione, ma perchè non parliamo della spiritualità nella Resurrezione?

   E’ un’ottima domanda. Ho scritto, dopo la Passione, un’opera intitolata Resurrexit che evoca il mistero dell’incontro di Maria Maddalena, Tommaso e Giovanni quando si trovarono davanti alla tomba vuota. Tuttavia, questa situazione si riduce ad un giubilo che è a mio avviso troppo semplicistica. In effetti, occorre vedere questa situazione anche nel suo contesto: è la primavera, la Pasqua o la Passa ebraica; è anche la sagra della primavera, il rinnovamento della natura, e dunque un rinnovamento interiore di ciascuno di noi. Tuttavia, senza il Venerdì santo, Pasqua non ha senso, non è che in giubilo. Ma questo fenomeno è mistico, è veramente un miracolo?…Non possiamo provare niente, e nel frattempo, sul sudario di Torino, non possiamo affatto spiegare come questo corpo crocifisso si è impresso nella trama del tessuto – è apparentemente un’esplosione di energia sconosciuta! Mi sovviene Montaigne nel senso che non si arriva a delle vere convinzioni senza passare da dei dubbi preliminari.

Yvette Knoerlè – Quando Gesù dichiara che l’ultimo nemico è la morte, vuole dire che di fatto la Vita non è nella materia, e che è puramente spirituale.

   Un teologo diceva “Si, vi è la Passione, ma alla fine non vi è speranza di resurrezione” : è il Venerdì santo, e di seguito gli apostoli erano tutti a cercare Il Maestro, poi, lo vedevano ma non lo riconoscevano più in quanto era trasfigurato. Vi è una dimensione che mi parrebbe più importante, è la dimensione simbolica. E Gesù non dice “Quando sarò resuscitato”, ma piuttosto “Quando sarò risvegliato”. Nello stesso modo davanti ad una vergine al bambino, ci occorre capire che il Cristo prende vita in noi. Nella San Matteo di Bach, l’ultimo corale segna la morte di Gesù mentre nel primo corale dell’Oratorio di Natale, che utilizza lo stesso corale, il testo della strofa scelta da Bach chiede “Come posso accoglierti in me?”.

Avete una profonda esperienza di compositore contemporaneo. Che cosa pensate della musica dodecafonica sulla quale avete lavorato ad un periodo della vostra vita

Negli anni 60, nel mio periodo del dodecafonismo teorico di tipo weberniano, ho composto una messa per doppio coro e percussioni, un’opera quasi “incantabile”, che è stata eseguita due volte. Al mio arrivo, alla prova generale, il maestro del coro, che non mi aveva ancora visto, mi dichiara: “Ah! ma siete un essere umano!”. Appartiene a questo periodo di furibondo, estremistico dodecafonismo, un giorno in cui cantavo nel coro, nella inimmaginabile coincidenza di un accordo maggiore completamente puro, ho sentito la mia gola e tutto il mio corpo rilassarsi e vibrare con quello degli altri. Ero in una totale gioia. E’ qui che ho capito il termine di “simpatia” verso il prossimo, termine utilizzato nel linguaggio corrente per qualificare delle relazioni tra persone e che ha la stessa origine che “sumpatheia” in greco per significare “vibrare insieme”. Nello stesso periodo, nel corso di una improvvisazione, avevo suonato – per errore – un accordo maggiore in luogo delle mie “schiaccianti” abituali dissonanze; anche qui la sensazione di rilassamento, di profonda distensione fu immediata e totale.

Poi dopo questo periodo abbastanza lungo e poco fruttuoso di dodecafonismo, ho invertito la modalità: innanzitutto dividendo la serie dodecafonica in due metà identiche, trasportate di una quarta aumentata, poi ho preso la mia ispirazione dai tetracordi simmetrici della Grecia antica. Ho avuto anche la rivelazione da Messiaen, da Carl Orff con la sua forza interiore, ed infine il fascino del Medio Evo con il canto gregoriano così perfettamente integrato alla sua architettura.

Alla maniera degli antichi, non possiamo pensare che la musica riporta la nostra umanità al cosmo, e che una stessa fonte collega l’astronomia alla musica?

Perfettamente, ed ho incontrato Dominique Proust, un astronomo ed organista, autore del libro L’armonia delle sfere che richiama Keplero, scoprendo le traiettorie ellittiche dei pianeti, mostrò che i rapporti di distanza di ogni pianeta tra il perielio e l’afelio davano un intervallo acustico molto preciso. Di conseguenza, ogni pianeta non era più definito con un suono, o una nota, come supponeva la concezione antica, ma da un intervallo. Poi, nell’Armonia universale di Padre Mersenne, ho visto un quadro rappresentante delle note accompagnate da simboli dei pianeti. In questo contesto, Mersenne considera che la Luna è l’ottava, la Terra, la quinta, Venere, la sesta minore che è la più espressiva, ecc…

Il silenzio è sia la fonte dell’astronomia che della musica. In una bella visione, vediamo attraverso il Quadrivium antico, che i numeri statici costituiscono l’aritmetica mentre i numeri in movimento costituiscono la musica; nello stesso modo, le forme statiche costituiscono la geometria e, le forme dinamiche, l’astronomia. In più, nel barocco luterano, in cui la retorica svolge un ruolo dominante, possiamo discernere il Trivium: la grammatica, la retorica e la dialettica (che è logica). Tutto questo insieme lo ritroviamo nella struttura dinamica della musica di Bach: da un lato il Trivium, dall’altro il Quadrivium.

Per concludere sul vostro modo d’intendere la musica possiamo dire che ha realtà solo nel presente?

   Per me, la musica è un tempo vissuto che viene dal silenzio. La musica, è la vita…la musica è “io vivo”…ed è un avvenimento che non aspetta che noi premiamo un pulsante per esistere.

 …Ma allora la musica, che ha realtà  in un tempo vissuto, è una catarsi?

Assolutamente!