L’approccio quantico con l’auto- interrogazione di Prabha Calderon.

( tratto dal n° 99 di 3millenaire, a cura di Luciana Scalabrini )

Noi siamo UNO, solidamente UNO, una sola coscienza oceanica…Pertanto crediamo essere l’osservatore di noi stessi.
Con questa visione duale, dell’osservatore che si crede distinto dal soggetto che osserva, il nostro me concettuale inventa una realtà frammentata che prendiamo per la nostra.

Il nostro sistema nervoso seleziona ed elimina, elimina ed elimina ancora la quasi totalità delle informazioni che riceve dalla Realtà Quantica che è una realtà non- duale.
Da questa selezione risulta un pensiero da cui derivano tutti gli altri, una rappresentazione del me.

Quel me attaccato ad un mondo d’apparenza solido, si sente separato dalla completezza quantica; si dice che non dipende che da lui stesso.
Soggetto ai concetti di tempo, di nascita e morte, questo me lotta da solo per la sua sopravvivenza utilizzando tutte le opportunità che si presentano…

Con questa attività ricorrente di sopravvivenza, in una illusione di separazione, LA COSCIENZA NON – DUALE CHE NON POSSIAMO NON ESSERE ,è NEGATA.

Confondendoci con il fantasma concettuale, sentiamo una paura costante creata dalle nostre convinzioni indiscutibili. Questa paura prende il potere su di noi.

L’oblio della nostra vera natura ineffabile ci spinge automaticamente a cercare nello sguardo degli altri i segnali rassicuranti della nostra importanza, o le prove che siamo quel che crediamo d’essere.
Crediamo di essere l’osservatore che osserva se stesso essere guardato e minacciato dallo sguardo degli altri; questo diventa la nostra realtà duale.

Ipnotizzati dalle immagini duali e dai concetti creati da quel fantasma come da quello degli altri, ci condanniamo, malgrado la nostra intelligenza, a ripetere inconsciamente una storia immaginaria fissata nel tempo.

Da bambina, Martina non ha avuto amore… è cresciuta guardando se stessa come non degna d’amore.
Quarant’anni dopo il fantasma di Martina conferma  e rende indistruttibile quella convinzione infantile diventata la sua realtà: non merito di essere amata.
Ipnotizzata dall’osservatore e per la definizione di se stessa, Martina si allontana dall’istante presente, dalla compassione del suo cuore, dalla forza vitale onnipresente nell’universo intero…Martina nega la pienezza dell’Essere…Vive sola e si sente sola…

La pratica del neti-net è al centro dell’auto -domandarsi dell’approccio quantico.
Permette di svelare e contrastare i nostri fantasmi concettuali.  Impossibile qui descrivere un procedimento do auto- domandarsi nella sua globalità, ma ecco un piccolo estratto:

Maddalena, una delle  terapiste venute ai miei corsi, diceva con convinzione di non avere immaginazione. A un certo momento, mi dice: “Dopo aver lavorato per molti anni su me stessa e la mia storia personale, non riesco sempre a cacciare una terribile paura, quella di finire sotto i ponti.
Si può lavorare questa paura con l’approccio quantico che insegni?

Le proposi allora di evocare intenzionalmente quelle immagini spaventose…
Tutto a un tratto cominciò a sentire una angoscia tale che letteralmente le mancò l’aria.
“ No, mi disse,  non mi domandare questo! Mi rifiuto di evocare quella immagine spaventosa!”
Si distolse da quelle immagini per raccontarmi che forse quella paura poteva avere la sua origine nel passato, nell’infanzia… “ Ho provato tutto, anche l’ipnosi, senza nessun risultato”.

Le chiesi gentilmente di non fare quelle interpretazioni basate sull’idea binaria di causa ed effetto e la invitai ad evocare semplicemente le immagini di finire sotto i ponti.
Di nuovo cadde nell’angoscia.

Puoi dirmi ciò che stai facendo mentre senti questa terribile angoscia?
“ Mi difendo da questa immagine, non voglio vederla.  Adotto la difesa e la mia gola e il mio petto sono contratti.”.

Renditi conto che tu ti stai difendendo da una semplice immagine e ti ipnotizzi da sola….Tu produci una trance di catastrofismo. Come fai questo?
Maddalena non poteva ancora rispondere a questa domanda.

Nota che stai evitando una immagine…dunque, implicitamente, dici che questa immagine ha un potere su di te, e ne avrà in futuro…
Quale” me” potrebbe avere la paura di finire sotto i ponti?
Ancora Maddalena non poteva rispondere, era troppo presto.

In più, tu ti stai identificando con l’attività di evitare questa immagine…
Nota come tu ti identifichi con l’osservatore occupato a difendersi da una immagine di mancanza, di rigetto, o di esclusione, immagine che trattieni evitandola…
Dove si trova nel tuo corpo questo osservatore affascinato da quel film?
Nella mia testa. Ma se non evito queste immagini, mi dice, ancora identificata con l’osservatore, allora potrei veramente finire sotto i ponti, sulla strada, perché il nostro immaginario attira le cose!

Ah! Un’idea molto interessante!…è vero? Per quale “me” è vero?
E che cosa stai attirando a te con questa idea?
Una crisi d’ansia!, mi rispose.

Le suggerisco allora un esercizio che necessita di fare appello all’immaginazione, per mettersi in posizione di testimone dell’osservatore e del suo meccanismo di evitamento dell’immagine.

Dove nel tuo corpo si trova l’osservatore che vede il film del terribile futuro e che crede alla relazione di causa e effetto?
Nella mia testa.
E dove si trova nel tuo corpo l’attività di evitare le immagini spaventose di mancanza, per evitare quel tremendo futuro?
Qui nella pancia.
Guarda la forma, la taglia…, la consistenza di evitare una immagine di mancanza, lì, nella pancia…Considerandola come nient’altro che energia pura, metti questa forma, questa attività di evitamento dell’immagine, come l’osservatore del film, all’esterno di te, utilizzando le mani.
Metti l’osservatore all’esterno di te, lì, davanti, con attorno dello spazio…

Con un gesto, toglie l’osservatore dalla testa e la forma dalla pancia, deponendo tutt’e due davanti a sé.
Guarda come si muove l’evitamento dell’immagine nello spazio da sinistra a destra e dall’alto alto al basso.
Segui questa immagine con gli occhi…Dalle dei movimenti, avvicinala, allontanala…Fai la stessa cosa con l’osservatore, seguilo da sinistra a destra, dall’alto al basso….
Come comincia a usare il suo immaginario dando movimento alle immagini, comincia a constatare che la sua attenzione si libera. Si rende conto che aveva la tendenza ad appropriarsi del film di mancanza e di esclusione, come se fosse una realtà assoluta.

Fatti la domanda: sono l’osservatore di questi pensieri e di queste immagini? Osserva lo spazio tra le immagini…Nota come l’osservatore dà attenzione alle immagini… Domandati quale osservatore guarda tutto questo…

Appena si fece queste domande, si accorse che lei non era né l’osservatore, né il suo film, né il meccanismo di evitamento delle immagini basato sull’idea di causa e effetto.

In ogni caso, diventava il testimone di tutto questo. La sua ansia scomparve.
Dieci minuti dopo, poteva evocare l’immagine di trovarsi sotto i ponti senza angoscia.
Fu infine libera da quel film…

Ipnotizzata dall’idea di essere incapace di soddisfare i propri bisogni, era succube di una dipendenza psico- affettiva che non voleva riconoscere, malgrado la sofferenza che produceva nella sua coppia.

Dopo numerosi anni di terapia, per la prima volta Maddalena enunciò le sue convinzioni.
Convinzioni svalorizzanti che condizionavano la sua esistenza e la sua coppia.

Le domande esplosive dell’approccio quantico ci permettono di osservare il me senza condanna e senza volontà di cambiamento.
Enunciare chiaramente ciò che succede ci dà la capacità di discernere il falso dal reale.
Ascoltando le nostre risposte, possiamo constatare che noi non siamo né la nostra storia né le nostre credenze, né le false immagini di sé, né i meccanismi di compensazione; noi siamo nella chiarezza dell’Essere.

Questa chiarezza cambia in sé la nostra storia, ci libera spontaneamente dalle nostre emozioni reattive e di conseguenza le nostre emozioni provengono da quella lucidità…
….