L’incomprensibile unicità di Tony Parsons

3ème Millénarie n. 78 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini

Non c’è né me né voi, niente ricercatore, niente illuminazione né discepolo né guru.

Non c’è meglio o peggio, non via o scopo e niente che debba essere compiuto.

Tutto ciò che appare è sorgente. Tutto ciò che apparentemente si manifesta in questo sogno ipnotico di separazione, il mondo, lo svolgersi di una via, la ricerca d’un sé interiore, è l’uno che appare come due, il niente che appare come il tutto, l’assoluto che appare come il particolare.

Non c’è alcuna intelligenza separata che tesse i destini, nessuna scelta.

Non succede niente, ma questo come è invita il ricercatore apparente a riscoprire ciò che è… il silenzio impersonale, eterno, a-causato, immutabile da cui deriva e si celebra l’amore incondizionato.

E’ il meraviglioso mistero.

Vedere o non vedere.

La natura dell’unicità è incomprensibile. Di conseguenza ogni comunicazione su questo non può essere che un’interpretazione delle idee  che circolano a questo proposito, idee che possono uscire dalla confusione o dalla chiarezza. Però suggerire che un’idea sia migliore di un’altra e che dirle o ascoltarle viene da una scelta personale sarebbe un rifiuto dell’essenza stessa della percezione non duale.

La comunicazione della confusione è un’espressione dell’unicità così come la chiarezza che la svela.

L’idea che l’apparente individuo separato può scegliere di fare uno sforzo per arrivare a qualcosa chiamato non dualismo con l’esercizio, le tecniche, la purificazione, la comprensione o qualsiasi cosa che possa essere insegnato o appreso, sembra molto diffuso.

Il concetto di aspirare ad un livello di comprensione a partire dal quale il cosiddetto saggio può accettare il dualismo della vita e vivere in pace con se stesso e gli altri, sembra essere l’obbiettivo percepito. Però, questo genere di percezione non potrebbe essere più lontana dalla liberazione che porta con sé la realizzazione che non c’è nulla né persona che diventa libera.

Il tipo d’insegnamento che si basa su uno sforzo personale è un insegnamento alienante semplicemente perché rinforza l’idea del saggio, ricercatore e del ricercato. L’idea stessa che vi siano approcci diversi dall’ Advaita viene da un’ignoranza fondamentale della sua essenza… Come sarebbe possibile avvicinarsi direttamente o indirettamente a ciò che già c’è? Chi farà questo approccio e chi è avvicinato?

Qual è dunque la differenza fondamentale tra una percezione personale e una impersonale? Il termine Advaita significa non due. Esprime presso a poco la percezione che tutto ed ogni cosa non sono che uno e che non c’è niente altro che questo.

Quando questo è chiaramente visto  da “nessuno”, questo rivela chiaramente che la nozione di soggetto e oggetto non è che un semplice concetto illusorio dentro il sogno ipnotico dell’illusione.

Di conseguenza l’idea secondo la quale un apparente individuo separato (soggetto) può aspirare all’illuminazione (oggetto) perde  ogni fondamento. Diventa altrettanto chiaro che ogni pratica o sforzo per seguire una via, che conduce verso uno scopo futuro vanificano il senso della ricerca personale e costituiscono una diretta negazione dell’unicità eterna.

Ogni idea che presuppone la possibilità che pratiche dualiste possano condurre l’apparente ricercatore a una percezione non duale è come quella che pretende  che con uno sforzo sufficiente e con forte determinazione un cieco possa imparare a vedere. “Le dottrine, processi e vie progressive alla ricerca dell’illuminazione, non fanno che esacerbare il problema rinforzando l’idea che il sé apparente possa trovare una cosa che presume di avere perduto E’ proprio questo sforzo, questo investimento nell’identità del sé, che ricrea continuamente l’illusione della separazione dall’uno. E’ il velo dell’esistenza , a cui crediamo fermamente, il sogno dell’individualità.

(Ce qui est Ed. Accarias l’Originel)

Da tutti i numerosi risvegli che mi sono stati descritti risulta chiaramente che una delle prime realizzazioni è che nessuno si risveglia

Tuttavia, vediamo che la maggioranza degli insegnamenti,  tradizionali o contemporanei, si rivolgono sempre a un apparente ricercatore separato (soggetto) e raccomandano, allo scopo di arrivare all’illuminazione (oggetto), di purificarsi,  di coltivare la comprensione, di far tacere la mente e l’ego, d’abbandonarsi,  d’essere onesti, di dedicarsi a una ricerca sincera, di dedicarsi alle terapie, di non fare niente, d’essere qui e ora e così di seguito… e idee sono così confuse e complicate come la mente da cui emanano.

Queste raccomandazioni vengono dalla credenza che l’ “illuminazione” del “maestro” è stata raggiunta e ottenuta con l’esercizio, lo sforzo, l’accettazione o l’abbandono, che può essere insegnato agli altri .

Evidentemente, non può esserci nulla di male nella ricerca sincera, nella meditazione e nella ricerca di sé e così via. Non è né più né meno di ciò che è.   Ma chi è dunque quello che sceglie di fare lo sforzo? Dove conduce lo sforzo dell’apparente  cercatore? Dove va a parare se non è che unicità? Se non è un individuo separato, non c’è volizione. Di conseguenza, come potrebbe un’illusione dissiparsi da sola?

Il concetto d’illuminazione personale appare alla mente che si fabbrica una struttura del tutto inventata, costituita da un io spirituale, o preteso sè superiore che ha adottato o è stato sedotto da tutto un insieme d’ideali professati. Come, per esempio, la necessità della purificazione di sé che, crede, va a finire nella ricompensa dell’illuminazione… si applica perciò a domare il cosiddetto sé inferiore per costringerlo ad azioni che appaiono a quest’ ultimo come contrarie alla sua natura. Ecco l’origine della lotta, della confusione e di senso d’insufficienza e di disincanto  che abbondano nella ricerca spirituale. E’ anche la ragione principale  per la quale, fino a recentemente, l’apparente liberazione sembrava essere rara. Ma quando la liberazione apparentemente arriva, sembra non esserci nessuna differenza tra l’ addormentamento e il risveglio. Quando questo è realizzato, e lo preciso ancora, da nessuno, allora tutto l’edificio gerarchico di maestri, insegnanti di allievi e discepoli, molto semplicemente si dilegua.

Per quanto lontano sia dato vedere, l’espressione radicale, chiara e senza compromessi del non dualismo assoluto è dichiarata molto raramente… Tuttavia, lasciar intendere che un tipo di messaggio è più vero di un altro sarebbe duale come immaginare una scissione tra l’assoluto e il relativo. Non esiste altro che la realtà. Non c’è che quello che è, così com’è.

Nondimeno, se l’apparente ricercatore sollecitasse una conduzione,  allora scaturirebbe una risposta diretta sorta dalla chiarezza impersonale che, senza compromessi, costantemente distrugge  ogni illusione non lasciando, tranne la possibilità della liberazione. Quella risposta viene senza la minima considerazione per la tradizione, le credenze, la comprensione, le considerazioni personali, o qualsiasi altra cosa che viene dalla mente in preda al sogno.

Ciò che è più desiderate e temuto è l’assenza… l’assenza del me che si sente separato. In quell’assenza sorge un’altra possibilità, assolutamente a monte ad ogni idea di comprensione, d’insegnamento, di divenire, di destino, di karma e di compimento personale; appare che in quell’ assenza c’è una grande disponibilità a capire quel messaggio raro, semplice e incredibile. Sarà sentito o no. Ed è tutto quello che è.

Per attingere ancora a ciò che è:

“Qualunque sia l’ambiente o il momento in cui è comunicata quella percezione, è senza rapporto con la gratificazione, la credenza, una via o un processo. Non può essere insegnata, ma si condivide continuamente. Perché è la nostra eredità, nessuno se ne può appropriare. Non ha bisogno d’essere dibattuta, dimostrata o abbellita perché è come è in se stessa e non può che essere ignorata e rifiutata o realizzata e vissuta”.