Lo stato di sogno e l’Advaita Vedanta

 

PATRICK BERTOLIATTI

Lo stato di sogno e l’Advaita Vedanta

Traduzione a cura di Maurizio Redegoso Kharitian

L’induismo non ha fondatori storici ben identificati, ne un credo centrale, ed è attraversato da numerose correnti spirituali e filosofiche. Possiamo tuttavia comprenderlo come una religione rivelata tenendo conto del fatto che un lembo delle sue correnti ammette l’autorità dei testi sacri. Questi testi provengono dalle intuizioni dei reggenti e saggi dei tempi dimenticati, che hanno trasmesso una conoscenza fondamentale, trascritta in seguito in quattro raccolte di testi, i Veda  (veda = conoscenza in sanscrito), la cui ultima sezione, il Vedanta, è composto da testi trattanti la natura ultima della realtà, le Upanishad.

   Secondo il Vedanta, che è anche una scuola filosofica che si appoggia sugli insegnamenti delle Upanishad, solo la conoscenza della realtà permette di rispondere alla ricerca umana di pienezza e compimento. Ora la natura ultima della realtà è non-duale, ed il sostrato non-duale di tutta la realtà è il Se, la cui esperienza soggettiva è descritta come sat-cit-ananda, che può tradursi con esistenza-coscienza-pienezza/felicità. Inoltre, la lezione del Vedanta  è che paradossalmente, siamo già ciò che cerchiamo di diventare, e che realizzarlo è la parte della liberazione.

   Secondo Sankara, uno dei più grandi maestri della scuola dell’Advaita-Vedanta  (uno dei tre rami della scuola Vedanta), la quintessenza dell’intera filosofia del Vedanta si ritrova  in una Upanishad, la Mandukya Upanishad, accompagnata dai commenti di Gaudapa (altro maestro dell’Advaita). Ora troviamo in questa Upanishad un’analisi centrale sullo statuto della coscienza nel sogno…

L’Advaita Vedanta ed i sogni

Il pensiero indiano classico distingue sei tipi di sogni: il sogno-illusione, il sogno-allucinazione, il sogno-compimento del desiderio,  il sogno-profetico del buono e cattivo augurio, il sogno-telepatico ed il sogno nel sogno. Detto questo, i pensatori dell’India non sembrano particolarmente interessarsi all’interpretazione delle immagini dei sogni, ma piuttosto allo stato della coscienza del sogno, così che all’alternanza degli stati di coscienze  – veglia, sogno, sonno profondo – ed a ciò che è possibile di dedurre in direzione della liberazione. E’ precisamente su questo punto, riguardante il sogno, che i pensatori dell’Advaita-Vedanta mettono l’accento.

   Per l’ Advaita-Vedanta, tutto è Uno. Questa unità vista in quanto l’ultima realtà è chiamata Brahman  (il Tutto : è chiamata Atman (il Se) in quanto è vista dal lato della nostra vera natura. Nell’ordinario siamo schiavi di una ignoranza che fa si che l’ Atman, è identica all’ultima realtà, Brahman.

   Fintanto che questa realizzazione non ha luogo, l’illusione della dualità predomina, in quanto la relazione al mondo è fatta di movimenti di pignoramenti e rigetti dell’io-ego, che si vive come un’entità separata e cerca in questo modo di far sedere il suo sentimento di essere. Questa illusione afferma una dualità io/mondo. La realizzazione liberatrice implica il suo radicamento per mezzo di una conoscenza implicante la coscienza del carattere erroneo della visione duale.

   In direzione di questa realizzazione, l’Advaita Vedanta analizza in particolare lo stato di sogno per mostrare il carattere illusorio sia degli stati di veglia e di sogno, e mostra che l’esperienza dello stato di sogno può essere preso come un’analogia della natura dello stato di veglia in relazione alla realtà ultima.

La Mandukya Upanishad ed il sogno

La Mandukya Upanishad presenta una filosofia pratica che punta l’unità attraverso l’apparente diversità.

   Nel suo commento dell’Upanishad, Gaudapa mostra innanzitutto come le esperienze di veglia e di sogno devono essere comprese come illusorie: così come una corda può essere immaginata come un serpente nell’oscurità, il Se è immaginato in modo illusorio sotto diverse forme di sogno e di veglia. Poi illustra l’illusione della dualità del se personale e dell’Atman con un’analogia spaziale: nello stesso modo quando un vaso è distrutto, lo spazio in cui si trova si confonde nuovamente con lo spazio intero, l’anima individuale si fonde con l’Atman non appena si è realizzata l’illusione della separazione. Infine conclude che ogni nascita/creazione è illusoria, in quanto quando l’io si risveglia dal sonno dell’illusione non fa che realizzare che la sua vera natura è la realtà di sempre; ciò che vuol dire che mai nessuno è nato ne nascerà…

La veglia, il sogno…

Dal punto di vista dell’Advaita Vedanta, dire che delle cose sono illusorie, è dire che lo sono realmente. Non vi può dunque essere dualità realtà-illusione, ma unicamente la realtà. E questa realtà è la realtà ultima, non-duale, Brahman.

   Questa questione dell’unica realtà può illuminarsi dell’apparente dualità tra gli stati di sogno e di veglia. L’oggetto visto in sogno non ha in effetti altra realtà che quella di esistere nello spirito del sognatore. Ma l’illusione del sogno suppone un sostrato reale, come la corda è il sostrato dell’illusione del serpente. Dire che un cambiamento è osservato non ha senso a parte che se qualcosa che non si trasforma stabilisce la continuità tra ciò che precede il cambiamento e ciò che lo segue. Detto altrimenti perché qualcosa si trasformi, ci deve essere qualcosa che non si trasformi. E questo “qualcosa”, è Brahman.

   L’Advaita Vedanta punta allora che gli stati di veglia e di sogni si trasformino, e non sono dunque da prendere per degli stati reali, e che è la percezione di un oggetto in un sogno che costituisce l’oggetto stesso, vale a dire che è la percezione che permette l’illusione perché  essa implica la dualità soggetto percepente-oggetto percepito. Gli stati di veglia e di sogno non sono dal lato del reale perché sono fatti di percezioni. Adesso se nelle percezioni dell’esperienza di un sogno un’immaginazione non ha lo stesso status soggettivo di una percezione che può sembrare reale, questa stessa distinzione si ritrova allo stato di veglia. Detto altrimenti, le percezioni di veglia come di sogno hanno lo stesso status nei riguardi di una realtà che li sottende. E questa realtà è la realtà ultima, Brahman.

… ed il sonno senza sogno

 

   Detto ciò, l’insegnamento dell’Advaita Vedanta non si ferma al sogno, che supera. Una progressione va dallo stato di sogno allo stato di sonno profondo contrariamente alle apparenze del senso comune. Per l’Advaita Vedanta in effetti, il sogno è uno stato intermedio tra la veglia ed il sonno senza sogno, dove sonno profondo, che è equivalente ad una identificazione temporanea del se individuale con la sua vera natura, Atman, e dunque alla realizzazione dell’identità di Atman e di Brahman. In effetti, durante questo sonno, ogni attività di proiezione e di differenziazione è interrotta. In modo che sia il luogo di una cessazione temporanea della mutuale sovrimposta del Se e del non-Se.

   Anche il sonno profondo è da vedere come uno stato non-duale basato sull’assenza dell’attività e delle fluttuazioni del mentale, che non deve essere visto come uno stato incosciente ma come un’esperienza di coscienza totale. Questa esperienza ad una memoria che trova la sua espressione nello stato di benessere sperimentato al risveglio da un sonno profondo, che caratterizza l’esperienza soggettiva di Brahman.

 

Lavoro Junghiano dei sogni e realizzazione secondo Il Vedanta

   Sappiamo che nella cartografia junghiana della psiche, l’inconscio è da vedere  come un processo popolato di potenziali di energia fisica, gli archetipi, e che Jung chiama “Se” l’archetipo organizzatore della psiche, che ne è allo stesso tempo il centro e che la comprende nella sua integralità. Ma il Se secondo Jung non è il Se secondo il Vedanta, se non altro perché secondo Jung, si tratta di un concetto limitato, mentre per il Vedanta, il Se è l’ultima realtà. Eppure, il lavoro junghiano dei sogni potrebbe puntare nella stessa direzione della liberazione mirata dal Vedanta.

   Per Jung, il Se suscita presso ogni individuo una inclinazione, chiamata processo d’individuazione, di cui il Se è anche l’organizzatore e lo scopo, e nel corso del quale l’io si riposiziona in periferia ed in direzione del Se senza mai confondersi con lui. Il lavoro junghiano dei sogni può allora essere visto come la raccolta nei sogni dai contenuti innocenti che, integrati alla coscienza, permetteranno all’io di rettificare in modo continuo la sua posizione. E secondo Jung, benché questo riposizionamento sia orientato in direzione del Se come verso il centro di se, l’io deve restare a distanza di relazione dal Se.

   Ciò che lascia allora questo lavoro dei sogni a distanza dalla realizzazione secondo il Vedanta.

   Ma un’altro modo di vedere questo lavoro si accosta. In quanto alla maniera degli alchimisti che osservando le trasformazioni della materia osservavano la loro propria trasformazione, apporta progressivamente colui che l’effettua a ritrovarsi in posizione di osservatore dei suoi sogni, come da un processo trasformatore che lo svela. Vale a dire che il lavoro dei sogni può svolgere funzione di perno per mezzo del quale l’io si ritrova progressivamente in posizione di coscienza auto-illuminante, piuttosto che osservatore dai contenuti di coscienza a sua disposizione.

   Nello stesso modo, il lavoro dei sogni può essere un luogo di passaggio da un “avere la coscienza di”  a un “essere coscienza”, passaggio che non è né un processo di crescita di coscienza né una scomparsa dell’ego, ma un’apertura di veli duali della percezione a vantaggio di un vissuto non-duale dell’esperienza, quali che siano i fattori teorici del processo in corso. Questa  apertura dal sapore della gioia…