Lo yoga dell’artista di Jean Biès

( dalla prima serie di 3millenaire, a cura di Luciana  Scalabrini.)

Dei differenti cammini che conducono all’Essenziale, l’arte non è sicuramente uno dei minori. Senza dubbio c’è molta distanza tra l’asceta nel senso stretto del termine, che lavora a decrearsi per abolirsi nel Sé, e la poietes (nel senso dell’antica Grecia. Ndt)  che costruisce un’opera e tende ad affermarsi con essa. È però da notare da una parte che l’artista è particolarmente dotato per scegliere e realizzare i principi- germi che sono in lui  e lo legano a più – di – lui, d’altra parte che l’atto poetico è quello della più grande libertà, quello che è più vicino alla gratuità divina.
A questo doppio titolo si può parlare di uno Yoga dell’artista.

L’ARTIFEX è il luogo di convergenza di molti doni in apparenza opposti, in realtà derivanti da una stessa natura androgina: la sintesi, l’analisi, la finezza di un pensiero e il rigore di uno stile, la conoscenza teorica e l’intuizione folgorante, lo sguardo ingenuo del bambino e la perspicacia del vecchio, la lunga meditazione solitaria e la vibrante comunione umana, la volontà organizzatrice e l’abbandono alla imprevedibile grazia.
C’è sempre in lui la memoria d’altro fuori dal lavoro, il lancio alla scalata alle origini perdute, una energia fondatrice d’idee e di forme, che gli detta un canto personale, un amore degli esseri e delle cose che lo fa attento alle metamorfosi della vita, un potere di concentrazione che gli fa convertire l’irreale al reale, il disordine all’armonia, la quantità alla qualità, l’oggetto al simbolo; infine una maturità che gli permette di affrancare più in fretta le tappe della creazione, di usarne meglio l’insieme e l’esecuzione…
In assoluta solitudine, l’artista illumina il mondo delle sue opere, indirizzandosi a quelli che non sono ancora nati, si fa loro contemporaneo; aprendosi alle profondità,  riporta sotto i nostri occhi le spoglie opime  di un tempo.. . Sta sulle creste del descritto e dello stilizzato, della storia e del mito, dell’immanente e del trascendente… Tante coincidenze non impediscono di far sospettare il miracolo. È lui che la tradizione hindu spiega con un gran numero di incarnazioni anteriori, nelle quali il futuro artista ha duramente lavorato, presentandosi ricco di un patrimonio genetico di esperienze essenziali, estetiche , sapienziali.

L’Artifex ha una vocazione, cioè è abitato da una voce che lo interpella dal fondo di se stesso come l’irresistibile e lancinante appello di un dio.

Quella vocazione è molteplice. Dapprima, scuola evocatrice: il poeta evoca l’altro mondo fondendosi con questo, o celebra questo sotto la rampa dell’altro mondo; la sua opera è un inno; – poi, scuola d’invocazione; si indirizza al Creatore attraverso le creature; la sua opera è una preghiera. Questa vocazione è anche terreno di trasformazione personale, parallela alla  trasfigurazione cosmica: ricreando il mondo attraverso la propria visione, il poeta si ricrea lui stesso, risale verso la propria essenza ritrovando l’essenza di una collina nella sua linea curva, di un rotolare di acqua  sui sassi. Infine, quella vocazione è rapporto ristabilito tra il visibile e l’invisibile, fa del poeta l’intermediario, il traduttore privilegiato, il cardine, talvolta usurato e doloroso, sul quale gira lentamente la porta del paradiso.

Illuminato, consumato dal fuoco sacro,  calamitato dall’Assoluto, che sente della sua stessa natura, l’Artifex più d’ogni altro, si trova misteriosamente legato alla regione delle Sorgenti vive, delle Energie creatrici la cui circolazione anima l’universo, e di cui eccelle a coglierne le vibrazioni. Lui stesso fa parte di quelle entità mediatrici che trasmettono al mondo delle forme qualcosa del mondo delle essenze. Appare nell’umanità come è diventato, l’ultimo uomo a offrire ancora qualche somiglianza con il prototipo; come il santo e il saggio, l’ultimo a fare ancora parte dei veri uomini che si distinguono dal regno animale. Nonostante i suoi limiti, le sue debolezze è in un certo modo, la rappresentazione umana del divino quaggiù; come Brahma o ogni altro progenitore della manifestazione, mostra i movimenti e le forme( modificazioni transitorie di un principio permanente ) senza mai cessare di essere identico a se stesso, l’artista produce ritmi, immagini, azioni, eroi, proiezioni accidentali della sua personalità, senza restarne toccato. Come il Sé si veste di un velo di qualità e fa accedere all’esistenza i possibili indefiniti che porta nel suo fondo; come lui,  viaggia e trasmigra attraverso le sue opere, pur restando supremo maestro del gioco.

LA CREAZIONE è SACRIFICIO,ORDINE, RIVELAZIONE

«Le opere dell’arte umana sono imitazione dell’arte divina. Come l’attività del Sé quella dell’ Artifex è insieme sofferenza, diletto, amore. Sofferenza ed anche bruciore, sfinimento sacrificale perché il concepimento e il parto delle opere  sono travaglio, tormento, prova. “ Quando Prajapati ebbe fatto gli esseri, pensò che era stato svuotato ed ebbe paura della morte”. Il poeta, anch’esso, crea a partire dalla sua sostanza psico- mentale, si lascia smembrare, prosciugare, ebbro di voluttà, di tenerezza e di orrore, come il pellicano della notte di maggio, talora identificato col Cristo… Ma se c’è orrore, c’è anche voluttà, una gioia molto delicata, un sapore di beatitudine metafisica, un’emozione amorosa che ferma il tempo, suscita la meraviglia, la gioia contemplativa dei sentimenti espressi. E c’è tenerezza perché l’espressione poetica è spogliarsi di sé, uscito da l’autismo trascendentale, per una creazione dell’altro e offerta di quell’altro a se stesso, condivisione di vita, follia d’amore. Tre componenti fusi nel cuore di una sobria ebbrezza, al punto di incandescenza di un mistico rapimento.

L’ARTISTA FA PASSARE IL NIENTE ALL’ESISTENZA

Come Dio, l’artista comanda d’essere agli esseri ed essi sono; detiene l’imperativo della genesi, lo Esto della vulgata, il Kun del Corano, che fa passare il niente all’esistenza.  Come chi ha tutto disposto, l’artista ordina la sua opera secondo proporzioni e ritmi, e pesa l’imponderabile, e ordina l’armonia del tutto.

Il ruolo dell’ Artifex è radunare il disperso, captare il sottile, suggerire gli splendori di una trasfigurazione, stimolare le coscienze, pazientemente . La creazione vera non è divertimento, fantasia, evasione, ma risveglio, rivelazione, magia operativa.  Ha per scopo quello di incarnare in forme sonore o visive gli archetipi primordiali, aprendosi a certi piani sconosciuti dalla coscienza ordinaria, che Aurobindo nomina il mentale illuminato o il sopra – mentale. Da quei piani nascono le grandi intuizioni spirituali, ma anche i più sublimi monumenti dell’intelligenza, le frasi musicali più rare, certe immagini di terra teofanica, che trasudano una luce di gloria.

Siamo alla soglia del mistero, dove, in una totale unità di natura, l’ispirazione, l’immaginazione e l’estasi coincidono e si fondono in modo soprannaturale.