L’Universo, il mio universo di Jean Charon

Dalla vecchia serie di 3millenaire, a cura di Luciana Scalabrini.

Non è stato creato ad un istante particolare,

si crea ad ogni istante,

non è che l’immagine che l’immagine che lo Spirito

si forma dei fenomeni che accadono

quando lo Spirito affianca lo Spirito

quando il mio me incontra l’altro,

ma non è che quello…

15 miliardi di anni: tale è la migliore stima che la fisica dà oggi della durata che ci separa dalla nascita del nostro Universo. Il nostro Universo attuale. Tutto ciò che percepiamo attorno a noi, il cielo, le stelle, i pianeti, la vita, tutto ciò avrebbe un’origine comune nel tempo, e questa origine  si situerebbe a circa 15 miliardi di anni nel passato.

La nostra sorpresa è qui condivisa. Ci si deve meravigliare di quella età immensa dell’Universo, senza comune misura con le durate con cui siamo abituati; o, al contrario, ci si deve piuttosto chiedere come è possibile che l’Universo abbia mai avuto un inizio: perché, se si deve assegnare un istante, anche molto lontano nel passato, alla nascita dell’Universo, allora come non domandarsi inevitabilmente “ ciò che c’era prima”?

I dati della Scienza.

Attribuire una data di nascita all’Universo non è stato, come si potrebbe immaginare, il fatto dell’uomo contemporaneo solamente. Ma, nel corso della storia dell’umanità, questa data ha variato in larghe proporzioni. Ci sono stati quelli che pensavano che l’Universo fosse esistito da tutta l’eternità, ma nasceva e moriva periodicamente, secondo una successione di cicli. Era quella l’idea di Platone, di Cicerone nel primo secolo avanti Cristo che aveva fornito anche una valutazione precisa della durata di ogni ciclo, che si chiamava la Grande Annata: 12954 anni. Ma i testi delle Scritture generalmente facevano autorità, e durante i 1500 primi anni della nostra era la credenza era piuttosto che il mondo era di creazione divina  e che era nato circa da 6000 anni, cioè pressappoco 4000 anni prima della nostra era.Gli anni giudaici d’altronde si contano ancora oggi da quell’inizio del mondo 6000 anni fa.
Tuttavia dopo Copernico  la tendenza scientifica è stata quella di datare la nascita del mondo ad un’epoca molto più lontana, che si è sempre andata allungando. Verso la fine del XIX° secolo si parlava di un milione d’anni. Poi, bruscamente,  nel corso dei primi 30 anni del 1900 le dimensioni di spazio e tempo del nostro mondo sono come esplosi: si è infatti percepito che certe stelle erano così distanti che la loro luce impiegava centinaia di milioni d’anni per giungere fino a noi. Bisognava supporre che il mondo esistesse già nel momento in cui quella luce fu accesa, e i fisici furono costretti ad accettare l’idea che il mondo fosse più vicino a dei miliardi che a dei milioni d’anni.

Nel 1933 l’astronomo americano Edwin P. Hubble fece una scoperta di grande importanza: l’osservazione delle stelle e delle galassie gli permise di affermare che tutti quei corpi cosmici si allontanavano da noi, qualsiasi fosse la direzione secondo cui di guardava, e si allontanavano tanto più velocemente quanto più erano lontani. È un po’ ciò che si vedrebbe per dei punti disegnati sulla pelle di un pallone quando si gonfia: i punti si allontanano gli uni dagli altri e due punti qualsiasi si allontanano l’uno dall’altro più sono distanti tra loro.  La stessa cosa accade nel nostro Universo, si dice che è in espansione: si gonfia senza posa, trascinando con sé gli oggetti che contiene, come le stelle e i gruppi di stelle. Se si suppone che quel gonfiamento prosegue dall’inizio del mondo, da allora si può calcolare il momento in cui quel gonfiamento è incominciato, cioè dall’istante in cui quel pallone era completamente sgonfio.  Hubble trovava così che l’Universo non poteva avere meno di 5/6 miliardi di anni. Dopo Hubble quella cifra si è andata precisando sempre più  ed è incoraggiante constatare che l’esame di tutti i processi fisici conosciuti conducono a cifre concordanti per datare l’inizio del nostro Universo: quell’evento avrebbe avuto luogo 15 miliardi di anni fa. I procedimenti  di datazione, basati sulla radioattività  delle rocce, o quelli basati sull’età degli oceani della nostra terra, o l’età stimata delle stelle e delle galassie, tutto questo converge verso la conclusione che, circa 15 miliardi anni fa è successo qualcosa e che in quell’istante l’evoluzione è incominciata, per produrre alla fine questo vasto Universo che percepiamo attorno a noi.

Un Universo fa l’energia

Uno dei principi fondamentali che forma la base di tutta la scienza contemporanea è che la materia, o l’energia (dopo Einstein quei due concetti sono equivalenti) non può uscire dal niente, e nemmeno può sparire nel nulla. Insomma è il “ niente si crea e niente si distrugge” formulato nel secolo XVIII° da Lavoisier. Si dice ancora che c’è conservazione dell’energia. Ora, lo spazio che ci circonda,  con 6 miliardi di stelle, ci appare naturalmente come contenente un’immensa quantità d’energia. Questa energia, poiché non può apparire dal nulla, né scomparire quando il tempo si esaurisce, era dunque già presente a quell’istante in cui i cosmologi nominano la nascita dell’universo. Qual è dunque  quel prestigiatore che, nell’istante originale sarebbe riuscito a trarre dalla tasca tutta quella materia che forma ancora il nostro Universo? Avrebbe preso quella materia altrove? Ma, in quel caso la materia del nostro Universo esisteva già altrove(nella tasca del creatore) prima di quei 15 miliardi di anni di cui i fisici affermano che tutto è cominciato. E, se bisogna ammettere che il creatore ha fatto emergere quella materia dal niente, con una semplice bacchetta magica, allora cosa ne è di quel famoso principio di conservazione dell’energia, di cui i fisici sembrano fidarsi tanto? Bisogna dire che quel principio che sottende tutta la scienza attuale, è stato violato dal primo secondo di esistenza del mondo fenomenico studiato dai fisici, quel mondo da cui deducono le leggi della natura… compreso il principio di conservazione dell’energia stessa?

Quel problema di andamento paradossale non data naturalmente da ieri. E, a tutte le epoche, i pensatori si sono sforzati di offrire una risposta al mistero della creazione, e una risposta coerente con il loro sapere del momento. L’idea di base sulla quale si appoggia ogni riflessione è che le cose si presentano sempre in termini di contrari, in modo che l’addizione globale di quei contrari restituisca il niente. E che, inversamente dal niente, potrebbero uscire dei contrari, e quello senza violare nessuna legge di conservazione. È già quello che suggeriva Talete di Mileto, in Grecia, 6 secoli prima della nostra era: il fenomeno si accoppiano in contrari, il caldo e il freddo, il secco e l’umido, il duro e il morbido…

In un’epoca vicina, nel sud della Sicilia, Empedocle insegna una dottrina dove il ruolo centrale è attribuito ai due sentimenti contrari di odio e amore.
: all’inizio del mondo  amore e odio sono in quantità uguali, ma ben presto l’odio prende il sopravvento per un momento, fino a che, alla fine dei tempi, l’amore finirà per vincere. Ma è senza dubbio nel pensiero cinese, come è stato formulato da Lao- Tzeu nel Tao- to King dove si trova la dottrina più precisa dei contrari, con l’introduzione dello yin e dello yang, i due principi che sono all’origine dell’Universo, di tutto ciò che costituisce la sua evoluzione. I due principi sono, uno di natura positiva, lo yang, l’altro di natura negativa, lo yin. Insomma con lo yin e lo yang sono i matematici che cominciano a partecipare alla spiegazione della natura delle cose e alla loro evoluzione: da niente, cioè da zero nulla può emergere se non attributi di segno algebrico opposto, in modo che l’addizione di quegli attributi di segno + e –  fa lo zero.

Così, a partire dal niente sono nati tutti i fenomeni del nostro Universo, ma questi si dividono in yin e yang, in positivo e negativo, in modo che non ci sia violazione logica del nostro imperioso bisogno di conservazione, a livello della coscienza che abbiamo di tutto quello che esiste.

Noi fisici moderni non faremo mai meglio dell’antico pensiero tradizionale cinese per giustificare con coerenza l’esistenza di un Universo pieno di energia. Quell’esigenza di coerenza si traduce con il modo in cui catalogano i fatti osservabili, stabilendo due tipi di materia: la materia ordinaria che si incontra con più abbondanza nell’Universo, che sarà detta  energia positiva; e la materia più rara, di energia negativa, che si definirà come antimateria. Ma se l’antimateria è meno abbondante che la materia, il bilancio d’energia totale per l’Universo intero non dovrebbe essere positivo e non nullo come lo esigeva un universo nato dal niente, cioè a partire da una energia algebricamente nulla? I fisici non hanno tardato a proporre una soluzione per superare questa difficoltà affermando che poiché lo spazio dell’universo  nel suo insieme  è curvo e ripiegato su se stesso come la superficie di un pallone, si dovrebbe poter associare a questa curvatura d’insieme dello spazio una certa energia, e questa dovrebbe logicamente essere negativa per compensare l’eccedenza positiva della materia. In breve, l’energia totale nell’Universo è globalmente nulla perché è  essenzialmente la somma dell’energia positiva della materia ordinaria e dell’energia negativa di uno spazio vuoto e ricurvo.

Così nessun creatore sembra essere scientificamente richiesto per generare l’energia contenuta nel nostro immenso Universo, poiché questa energia è, in totale, esattamente nulla ad ogni istante, nell’istante presente come nel momento della nascita di ogni cosa.

Un Universo del  Verbo.

Ma alla riflessione, e salvo se si è scientifici e solo scientifici, non si può essere perfettamente soddisfatti di quella scappatoia dell’energia dei due segni per giustificare la creazione dell’Universo. perché, anche se l’energia è dialetticamente ripartita in positiva e negativa,  chi dunque ha fatto quella prima ripartizione all’origine dei tempi, chi ha fatto nascere il positivo e il negativo a partire da un niente originale, chi non domandava niente a nessuno? Qual è quel misterioso architetto che, all’origine dei tempi, ha preso l’iniziativa di separare il niente in uno spazio vuoto d’energia negativa e una materia d’energia positiva riempiendo questo spazio? Certo, si comprende ora che quel creatore non ha avuto bisogno d’energia per generare il nostro universo, poiché quell’energia è globalmente nulla, e con la sua semplice Parola, anche scientificamente parlando, gli bastava nominare le cose in energie di segni contrari per dare loro l’esistenza. Ma, malgrado tutto, bastava pronunciare quella Parola iniziale per mettere i fenomeni che conosciamo sul cammino dell’evoluzione, e mi occorre dunque logicamente includere la Parola iniziale nell’immagine che mi formo del mio Universo.
Poiché non possono più escludere la Parola iniziale dai modelli che propongono oggi del nostro Universo, i fisici , aiutati dai filosofi, fanno un passo in più nell’approfondimento della natura del Reale: non c’è, dichiarano in questi anni, da mettere l’accento su una Parola eccezionale, che avrebbe dato il via all’Universo perché tutto l’Universo non è che Parola: l’Universo non è , è semplicemente ciò che lo Spirito pensa di lui, attraverso i presupposti che adottò liberamente e i meccanismi propri del funzionamento dello Spirito. L’Universo è nella sua essenza ultima rappresentazione fatta dallo Spirito, dal nostro Spirito. I fisici d’oggi sono pronti ad affermare: l’Universo è il mio Universo, l’Universo sono io. L’Universo non è stato creato in un istante particolare, si crea ad ogni istante, non è che l’immagine che lo Spirito si forma dei fenomeni, che prende posto quando lo Spirito fiancheggia lo Spirito, quando il mio me incontra l’altro.

L’Universo sarebbe dunque Parola.

L’Universo sarebbe dunque Parola, cioè Verbo, quando si spinge la propria analisi fino alle risorse della conoscenza contemporanea. È d’altronde interessante notare che i fisici non considerano questo approccio spiritualista dei fenomeni come un semplice punto di vista filosofico:  essi adottano un tale punto di vista del Reale perché li porta  ad una migliore conoscenza delle cose, negli inaccessibili ambiti del più grande ( il Cosmo nel suo insieme) o del più piccolo ( le particelle elementari) . Non dite dunque mai ad un fisico che prepara oggi i suoi utensili di ricerca con argomenti filosofici, rischiereste di indisporlo: perché, come Monsieur Jourdain faceva della prosa, il fisico moderno fa della filosofia senza saperlo.

Un Universo del Verbo contraddittorio.

Ma siamo infine totalmente soddisfatti dopo aver concluso, come stiamo facendo, che l’Universo è Verbo, che è ad ogni istante ciò che il Verbo dice di lui, compreso quando quel Verbo si esprime a proposito della nascita e dell’evoluzione di ciò che chiama il Tutto?  Ciò che ci contraria ancora è che per il fatto stesso  di affermare che l’Universo  non è  ad ogni istante che una rappresentazione dello Spirito, non si vede allora perché ci si potrebbe soddisfare della rappresentazione che ci è proposta oggi, secondo la quale quell’Universo sarebbe Verbo: dopotutto, domani lo Spirito, tenuto conto del supplemento di conoscenza che avrà acquisito, ci dirà senza dubbio che l’Universo è tutt’altra cosa che la musica che suona il Verbo. Sentiamo bene che la rappresentazione che lo Spirito si dà dell’Universo attuale è il frutto di un Verbo razionale qui ed ora, che sfocia in una scelta di presupposti per organizzare in modo coerente le interazioni presenti dello Spirito con se stesso.
Sembra che, per andare un po’ più lontano, bisognerà ancora fondare le basi delle nostre intenzioni, cioè il campo di coscienza dentro cui il nostro pensiero è capace di muoversi. Se il problema dell’esistenza dell’Universo ci dà tante difficoltà, se apriamo una porta solo per trovare un’altra porta chiusa, è perché  mettiamo, con la scienza attuale questo Universo nello spazio e nel tempo.  Posiamo razionalmente all’Universo delle domande razionali, e il Verbo che ci serve per rispondere a quelle domande è, come abbiamo detto, un Verbo razionale, che, partendo dai presupposti e per via deduttiva, tenta di formulare risposte razionali ai nostri interrogativi fondamentali. Ma i primi presupposti cui siamo costretti sono quelli dell’esistenza dello spazio e del tempo. Bisognerebbe aprire al nostro campo di coscienza un ambito di pensiero che esclude lo spazio e il tempo. Affermare lo spazio e il tempo, è porre le cose in un Verbo esistenziale; ma non si deve dire, con Stéphane Lupasco, che le cose sono Verbo esistenziale e anche Verbo potenziale, cioè danno simultaneamente ciò che si afferma a questo proposito per via razionale ed anche ciò che un’affermazione contraddittoria sarebbe capace, con un simbolismo adeguato, di dire di loro.  In altre parole l’Universo non si pone solo nello spazio e nel tempo, ma è anche pensabile attraverso un approccio intuitivo, poiché rivolto più all’inconscio che al conscio, in un campo di pensiero dove lo spazio e il tempo sarebbero esclusi. Bisognerebbe cercare le risposte che si pongono nei due piani di coscienza del pensiero in apparenza contraddittori ( nei fatti complementari) , che sono sul piano razionale, o logico, e quello intuitivo, o mistico: il primo deducendolo dal presupposti ben formulati, il secondo dal nostro sentimento delle cose senza i presupposti precedenti. Insomma occorrerebbero, come dice Pascal,  “due eccessi: escludere la ragione, non ammettere che la ragione”

Per affrontare una vera conoscenza dell’Universo bisognerà riflettere su quei koan del pensiero contemporaneo: io sono l’uno e il tutto, il temporale e l’intemporale, il vuoto e l’infinito.