Morte e sopravvivenza di Léon Delpech.

Tratto dall’archivio di 3millenaire, a cura di Luciana Scalabrini.
Diamo qui qualche frammento del corso del prof. Delpech (1908-1986) su un problema essenziale, quello della morte e della sopravvivenza. Nessuno meglio del nostro collaboratore, filosofo, segretario a 20 anni di Maurice Blondel, il più grande pensatore cristiano del primo mezzo secolo, para-psicologo discepolo di Charles Lancelin come del prof Calligaris, infine terapeuta del Sogno da svegli guidato e professore di psicologia alla Sorbona, poi a Parigi VII  poteva sondare questo delicato problema.

Bergson e la sopravvivenza

Il problema ci riguarda tutti, d’altronde questo è stato messo in luce da Pascal in questa frase dei pensieri: “ Per quanto bella sia la Commedia in tutto , l’ultimo atto è cruento, si getta un po’ di terra sulla testa, ed è per sempre”.
.   E’ leggendo Bergson che mi sono posto il problema. Ascoltiamo le due sorgenti:
“ Che trasformazione in una umanità abituata, qualsiasi cosa essa dica, a non accettare per esistente che ciò  crede e ciò che tocca! L’informazione che ci verrebbe così riguarderebbe forse  ciò che c’è di inferiore nelle anime, l’ultimo grado della spiritualità, ma non bisognerebbe  prima, per convertire in realtà vivente e che agisce, una credenza all’al di là che sembra incontrarsi nella maggioranza degli uomini, ma che resta il più sovente verbale, astratta e inefficace? Per la verità, se fossimo sicuri, assolutamente sicuri di sopravvivere, non potremmo più pensare ad altro; i piaceri sopravvivrebbero ma scoloriti , perché  la loro intensità non sarebbe che l’attenzione che diamo loro. Impallidirebbero come la luce delle lampade al sole del mattino, il piacere si eclisserebbe in cambio della gioia”(Le due sorgenti della morale e della religione).

Nel 1939,attraverso il mio amico Baruzi, professore di storia delle religioni al Collège di Francia e amico di Bergson, gli ho chiesto se manteneva sempre quella posizione. La risposta fu affermativa.

Sopravvivenza e bomba atomica.
Nel 1946,ero da Gaston Bachelard nel suo piccolo appartamento de la rue de la montagne Sainte –Geneviève con il dott. Francis Lefébure che era reduce dalla campagna d’Italia, ed eravamo molto presi dal problema della bomba atomica e ci siamo domandati perché l’umanità che era capace di mobilitare migliaia di sapienti per un’opera di distruzione non poteva fare altrettanto per cercare di risolvere il problema della morte. Dovevo ritrovare la stessa idea nel 1958 in un libro su  “l’umanesimo tecnico” del filosofo Gabriel Veraldi. “ Lo  inconoscibile non esiste, non ci sono che concetti insufficienti. Sono personalmente certo che se si fosse applicato al problema della morte tanto ingegno e tanti sforzi che alla fabbricazione della bomba H, questo eterno mistero sarebbe chiarito più della metà”.
Il problema della vita.

Per affrontare il problema della morte, sono naturalmente portato a fare una deviazione: la morte è qualcosa di negativo, bisogna dunque concentrarsi su ciò che è il suo contrario, la vita. Dopo la scoperta della doppia elica da Watson e Crick, conosciamo la struttura vitale biologico- molecolare. ma questo non è per il momento il nostro tema. Andiamo a porci da un punto di vista fenomenologico nel senso etimologico del termine, e provare così a determinare alcuni aspetti della vita. Prima di tutto per gli scolastici la vita è movimento, ma un movimento imprevedibile. L’essere vivente e più particolarmente l’uomo è autonomo. (Cf. i lavori di Vendyès ) .Questo è caratteristico in particolare nel movimento degli animali che voi disorientate restando immobili. In senso scientifico, il movimento sono gli scambi dell’essere vivente e del suo ambiente. In altre parole il metabolismo. In questi scambi c’è un elemento fondamentale di cui l’uomo non può fare a meno più di qualche minuto, la respirazione. È da notare che le civiltà antiche dell’oriente hanno dato grande importanza alla scienza della respirazione . Fu il caso dell’India con lo yoga di Patanjali e nel taoismo. Maspero ha scritto nel”ournal asiatique “del1936 una serie di articoli sulle discipline della respirazione e le ha paragonate alla respirazione del neonato.

Un altro aspetto della vita è il sangue. Si sa che nella Bibbia l’autore del Levitico identifica l’anima col sangue e una perdita di sangue  importante minaccia di morte il soggetto. Dopo Quinton (1904) si sa che la composizione del sangue è analoga a quella dell’acqua di mare. Un altro elemento è il calore. I mammiferi hanno bisogno per vivere di un certo calore e le variazioni di calore nel corpo umano hanno un margine abbastanza piccolo, da trenta a quarantadue gradi. Quinton ha provato a studiare l’evoluzione della specie animale in funzione del loro calore interno (manoscritto del 1896, pubblicato nel 1933) Da qualche anno certi tecnici  dicono che si può bloccare il processo vitale col freddo, mettendo in ibernazione un soggetto malato in attesa che la ricerca abbia trovato il modo di guarirlo. Questa tecnica che sembra possibile per i rettili, non è mai stata realizzata con successo con i mammiferi.

Vita e elettricità

Veniamo infine al processo elettrico. Lakovsky nel 1930 ha fatto una teoria che avvicina la vita ad una oscillazione elettrica. Basandosi su questo punto di vista, ha potuto guarire dal cancro certe piante. Charles Laville alla stessa epoca, ha messo in luce una teoria del metabolismo elettrico dell’essere umano. Il suo discepolo, L. C. Vincent ha stabilito che la vita rispondeva ad una tripla determinazione: 1) il PH del sangue, cioè gli ioni liberi  d’idrogeno che sono nel sangue. 2) l’ossidoriduzione, cioè gli ioni che sono ridotti dal metabolismo e 3) la resistenza elettrica del corpo umano.  Grazie a questi tre dati, si può avere un profilo di vitalità dell’uomo. Nelle esperienze degli astronauti, gli americani controllavano da Huston la vitalità degli astronauti  ad ogni momento. Gli studi sul cervello degli esseri viventi è cominciato in Italia nel 1812 con  Rolando e per gli esseri umani Canton a Londra nel 1870, ma la messa a punto è stata realizzata  dal tedesco Berger di Iena nel 1926. Dopo l’E.E.G. si sono avuti molti studi, in particolare sul sogno. Attualmente   il segno della morte legale è costituito da due E.E.G.piatti presi a 40 ore di intervallo.

Vita e forma

Si arriva ora ad una definizione classica data da Aristotile nel suo trattato sull’ anima,cioè “ l’anima è la forma del corpo”.  Questa nozione è emersa dalla sintesi delle teorie  pre-socratiche  dei quattro elementi e doveva convergere con la medicina di Hippocrate, per la quale l’uomo è una sintesi di quattro elementi, la bile, il fuoco, l’aria e l’acqua e dare quattro temperamenti, il bilioso, il nervoso, il sanguigno, il linfatico. Il dott. A .Bayle nella sua tesi sulla “ Psicologia del nazionalsocialismo” (1951)  dovette sostituire il bilioso con il sintetico. I neo-ippocratici Carton, Perriot e Viart difesero ai nostri giorni questo punto di vista.

Ma l’interesse della nozione di forme è che in un cero modo trascende lo spazio-tempo come lo dimostra R. Ruyer nella sua “ Genesi delle forme viventi” dove prova che essa non può sorgere da un accumulo di cellule ma che essa esiste prima di loro. Questo è stato confermato dalle esperienze di  De Bekker che ricostruisce il membro sezionato di un animale (topo) con una stimolazione molto lunga  di una mini corrente elettrica. Un’altra esperienza è quella di Paul Weiss .Prelevò un rene in un embrione di pollo da 8 a 14 giorni. Organo che ridusse in una poltiglia cellulare. Dopo averla centrifugata fu messa goccia a goccia sulla membrana d’embrione di pollo di 8 giorni. In capo  a venti giorni un vero nuovo rene si era formato in quel posto. Le cellule renali isolate avevano dunque, anche fuori dal loro organismo, conservato la facoltà di sviluppare un nuovo rene. La forma del rene è dunque trascendente.

La nozione di doppio
L’uomo ha scoperto la sua immagine il giorno in cui si è specchiato nell’acqua. Che la nozione di specchio permetta all’uomo di scoprire la sua personalità ,come dice Lacan,è discutibile, ma è una delle basi della nozione di doppio. Nozione ripresa da innumerevoli scrittori come Dostoievski e molti altri ; una nozione correlativa è quella d’ombra, infine quella dei gemelli come quella di sosia .Da tutte queste sorgenti convergenti si è portati ad ammettere che l’uomo porta in sé uno o molti doppi. Ma quello è un aspetto fenomenologico. Spingiamoci più lontano e chiediamoci qual è la realtà del fenomeno.  In quale misura il doppio è stato riconosciuto  storicamente nella storia delle religioni? E infine vedremo quale è la realtà. In una parola c’è nell’uomo un doppio che sopravvive alla morte? Per precisare sarà necessaria un’inchiesta storica. Non lo faremo qui. Parleremo invece di una civiltà che ci sembra esemplare, quella dell’Egitto.

L’Egitto, la morte e il doppio
L’Egitto era un paese coperto da tombe. Il pensiero della morte e delle vicissitudini buone o cattive della vita dell’al di là è una caratteristica della religione egiziana e anche dell’insieme della loro vita. La cerimonia dell’incoronazione del faraone terminava con la proclamazione “ ora costruite la mia tomba”.

La psicologia egiziana distingue un certo numero di elementi.

1° il Khet o corpo fisico. Non corrisponde esattamente a ciò che chiamiamo il corpo fisico. Il Khet è ciò che si percepisce visivamente e quantitativamente  nell’uomo come appare in questa vita. Sono gli elementi fisici di fuori  che il dinamismo occulto dell’uomo ha captato, ordinato, organizzato, informato, vitalizzato e di cui si è servito per agire nell’ambiente terreno. Il Khet è uno strumento d’attività. Come tale è provvisorio e al momento della morte il dinamismo dell’uomo lo abbandona. Dopo questo momento, il Khet riveste ancora un’importanza capitale. perché risponde a un uso è ancora di una utilità essenziale. Allora è la mummia: “ Mummia augusta che è nella tomba, è scritto su una statua funeraria del Louvre, le sostanze, le ossa sono riunite alla carne, la testa è unita al tuo collo, il tuo cuore è tuo”. Tutto questo si pone sul piano religioso e ne vedremo il senso.
2° Il Khat. A Luxor, a Deil-al-o,è raffigurato il faraone quando è bambino ome un bambino, quando è adulto, un adulto, vecchio, un vecchio, ma sempre giovane che la morte non sembra minacciare. Questa entità di doppio è raffigurata non solo a lato del faraone, ma anche degli altri personaggi. È lo strumento d’attività. Ora, per gli Egiziani il Khat o doppio può avere un’esistenza indipendente In questa vita ci sono momenti in cui ci lascia, durante certe fasi del sonno , nel corso delle malattie che hanno il coma o gli svenimenti.

Ritornare in sé dopo uno svenimento è recuperare il proprio Khat. Morire è rientrare nel Khat, pensare a lui, ripiegarsi in lui, ritornare a lui.. . Questa nozione era preponderante nell’antico Egitto. La si trova dalle origini fino alla fine.
Il Khat prende il nome di Kaibi quando diventa visibile. Sostegno occulto dell’uomo, si manifesta solitamente come fantasma del vivo come del morto. Per questo si chiama Kaibi. I due termini  designano la stessa realtà, ma in una essa è sperimentata, nell’altra no.
3° Il doppio ha un’attività psichica chiamata il Kou o il luminoso. Il doppio . Pierret a proposito del libro dei Morti, assimila il Khou a ciò che chiamiamo intelletto, ragione discorsiva e induttiva. Ma questa facoltà non cancella la vita spirituale dell’uomo. Vi aggiungono Ba, o anima. Il Ba è rappresentato da un uccello dalla testa umana che il dio Thot dalle ali immense protegge. Quel principio superiore non sembra conoscere le limitazioni spaziali, il cielo è suo. “ Apritegli le porte del cielo, prendetelo con voi, che  viva eternamente ”dicono gli dei in una iscrizione della piramide di Pepi 1°. È attraverso lui che l’uomo comunica con la divinità. “ Vi manifesterò i miei misteri” dice il dio Ra al Ba dei giusti. Vi darò la mia vita”. Quando un individuo è depresso qui in basso, ha come annientato questa capacità suprema. Il dio Ra dice ai cattivi: ”Annienterò il vostro Ba nelle torture eterne».

4° Infine gli Egiziani hanno accordato nell’essenza dell’uomo un posto importante al nome che porta. Quando un bambino nasceva lo si conduceva allo Krihabie ai Rokhou o Kaitou e questi stabilivano il suo tema astrologico. Poi gli davano un nome che era la formula magica del suo destino, della sua vita, del suo essere ed era come un’ entità sostanziale di lui, una evocazione non solo indicatrice della sua persona, ma effettiva e causatrice, e, come dice l’egittologo Lefébure, una sorta di sostituto mentale.