Pascal e Teilhard di Paul Chouchard

E’ facile opporre questi due grandi studiosi francesi. Fisico e matematico contro paleontologo, pessimista contro ottimista, apostolo di fronte alle insufficienze della scienza, dell’ordine dei corpi e anche delle menti, dei soli valori veri che sono dell’ordine della carità  contro profeti dei valori spirituali della materia, che ci scopre “un universo pieno d’amore nella sua evoluzione”,ecc.
Nonostante l’esattezza di una tale descrizione, si minimizza la profonda affinità dei due geni francesi, una parentela che certe divergenze nascondono. Pascal, Teilhard. Cosa sono se non due scienziati appassionati di scienza, due credenti cristiani, di più, due mistici.

Pienamente immersi nell’ambiente scientifico del loro tempo: inizio dell’ateismo scientifico dell’era galileiana coi libertini, apparente trionfo di quell’ateismo razionalista o marxista con il 20° secolo e il preludio della conquista del cosmo.

Avendo compreso tanto l’uno che l’altro che è ridicolo opporre la scienza a Dio, appartenendo  simultaneamente e pienamente ai due mondi ostili della scienza e del cristianesimo, hanno la stessa cura di impedire che la scienza serva ai nemici della religione. Bisogna mostrare ai credenti di non lasciarsi incantare dalle novità della scienza fino a dimenticare l’essenziale, la loro anima e Dio. L’essenziale in Pascal come in Teilhard, se non ci si attiene all’opera strettamente scientifica, è una apologetica. Ma non si tratta di un’apologetica tradizionale o di una filosofia; un teologo enumera freddamente le prove razionali. L’apologetica di Pascal e di Teilhard è una visione, una testimonianza vissuta. Non ci mettono in equazione  il Dio dei  filosofi  e dei sapienti, loro vogliono metterci davanti una Presenza, un amore, il Dio di Gesù Cristo. Tutti e due hanno incontrato una Persona e soffrono di vederci distratti da tutti quei divertimenti mondani che non sono l’unico essenziale.

Cosa importa che per l’uno sia la improvvisa e folgorante illuminazione di una notte di fuoco , mentre per l’altro sia la tristezza  di un giovanetto davanti al ferro che arrugginisce a condurlo attraverso la vocazione sacerdotale a contatto diretto con quell’Assoluto d’amore nella presenza eucaristica che illumina le lacerazioni sanguinanti di Verdun e lo fa cantare “ il Cristo nella materia” e “l’Inno alla materia” e qualche anno dopo “la Messa sul mondo” del deserto della Manciuria. Quello cui sono sensibili i due scienziati non è una vaga armonia panteista,, inesistente anima del mondo, è al vero Dio personale e d’amore. Cuore, amore, fuoco , quelle parole care ai mistici per esprimere l’inesprimibile, si ritrovano nella loro pelle. Ma, come gli autentici mistici, quell’incontro con Dio, non li fa dimenticare la terra.

Si è fatta giustizia di un Pascal che abbandona la scienza per chiudersi nel misticismo, cosiddetto rifugio di un malato. Mai Pascal smette di interessarsi della scienza e se consacrò le sue ultime forze alla sua fede, non è per scrivere un testo di spiritualità, ma le sue riflessioni di sapiente cristiano che ama la scienza e non vuole che essa snaturi l’uomo. Il cuore di Pascal è la dimensione completa dell’uomo che non esclude per nulla la ragione: ci dice che è col cuore che si osserva la bellezza dei numeri e dei teoremi. Al razionalista orgoglioso e supponente, così fiero del suo sapere  di cui ignora i limiti, non conviene ricordargli che a volte il buon senso ne sa più della ragione? Cosa c’è di più stupefacente di vedere uno scienziato ateo  che si entusiasma per le proprietà spirituali della materia e rifiuta logicamente di attaccarsi alla loro origine metafisica!
Nessuno al contrario nega che Teilhard sia prima di tutto scienziato e però, anche lui, ci rivela che il passato di cui è specialista come paleontologo non lo interessa che perché gli permette di  prevedere l’avvenire. D’accordo con San Paolo, ci dice il suo disgusto per tutto quel brulichio superficiale della materia, del multiplo, che è precisamente l’oggetto della scienza. Un disgusto limitato, è vero, poiché lo studio di quel superficiale gli è necessario come via di accesso alle realtà profonde.

Così, abbiamo in Pascal e Teilhard due scienziati credenti, che distinguono ciò che è della scienza e che è della fede, respingono le conclusioni concordatarie, rifiutano di separare la loro vita in due, quella rottura che confessava così dolorosamente Pasteur. Nessun fideismo,  vago sentimentalismo religioso che cade facilmente sotto la critica materialista. Essi hanno incontrato il vero Dio e vivono della fede dogmatica cattolica, ma hanno saputo vedere che la concezione scientifica e la concezione religiosa si accordano perfettamente, che la fede è una posizione più logica per uno scienziato che l’ateismo.

Pessimista, il giansenista, il malato Pascal: può veramente essere pessimista quando ha trovato la sorgente della pace? Ma come essere pienamente ottimista davanti alle sofferenze degli uomini, che sono il frutto sia della loro ignoranza che dei loro peccati. Come non soffrire quando non si può comunicare il segreto d’armonia di cui si vive tra scienza e fede? Gesù è morto per noi e i libertini l’ignorano, mentre giansenisti e gesuiti si odiano tra loro. Ottimista Teilhard de Chardin? Scienziato realista, conosceva tutte le disarmonie del mondo, anche se le spiegava con la loro maturazione. Avrebbe accettato l’assurdo sartriano, se non avesse avuto la certezza di Dio. Profeta della società ideale, la noosfera , che proponeva al nostro libero sforzo, non ne parlava, perché temeva la sconfitta dell’uomo. Non lavorava a unire scienza e cattolicesimo, perché temeva il suicidio di un’umanità atea che perde il gusto di vivere. E soprattutto , lui che aveva la vocazione di unire quei due mondi ostili del materialismo scientifico e della Chiesa, come non avrebbe atrocemente sofferto di non arrivarci, di non riuscire a convincere di ciò di cui viveva. I suoi migliori amici condividevano le sue vedute sull’avvenire terrestre dell’uomo che persisteva  nell’ateismo e l’antidogmatismo; quanto alla Chiesa sembrava soprattutto sensibile al pericolo delle sue prospettive per la fede tradizionale. L’ottimismo di Teilhard, nato tra  le lacerazioni di Verdun, è la speranza cristiana che, davanti alla croce, è sicura della resurrezione. Il giovane gesuita sa già che quell’opera dell’umanesimo scientifico cristiano che gli è cara e che gli appare necessaria al mondo e alla Chiesa non potrà passare nel suo vivo che nella clandestinità.
Pascal, Teilhard. Due testimoni del Cristo che sono stati nella Chiesa due arditi militanti che non sono stati sempre compresi e ali quali la posterità rende giustizia.

Non si ritrovano ugualmente per il loro valore letterario, ma anche perché si può esitare a dar loro l’appellativo restrittivo di filosofi. Pascal appartiene  al tesoro del classicismo, Teilhard non ci entra, lui che si è qualificato, per il suo stile ammirevole, poeta, il che è un ammirevole modo di negare il valore intellettuale dei suoi scritti.

E però, dopo aver mostrato che sono opposti, non  cadiamo nell’errore di considerarli troppo simili. Ci sono due famiglie di spiritualisti, quelli che trovano lo spirito nell’immanente della materia e quelli che credono necessario preservare la purezza dello spirito separandosene. Qui ancora non dobbiamo essere troppo schematici. Cartesio che separa l’anima dal corpo fino a darle un organo di inserzione, la ghiandola pineale e che è caduto nell’errore degli animali- macchine, ha, d’altra parte, abbracciato la posizione più giusta di una semplice distinzione del materiale e dello spirituale senza localizzazione dell’anima. Il suo “ trattato delle passioni” l’obbliga a più realismo psicosomatico, posizione abbastanza incompatibile  con la pura spiritualità  del “ cogito”. Al contrario Tommaso  d’Aquino che si era abbandonato  al realismo unitario di Aristotele, ha saputo dare alla sua anima incarnata nell’unità  del composto le varie dimensioni richieste dallo spiritualismo.

Gli scienziati cristiani si dividono in due famiglie. Non ci si meraviglia se Pascal, fisico del17° secolo, specialista di un ambito scientifico lontano dallo spirito sia più sensibile alle separazioni dei diversi ordini che alla loro unità. Testimonia che c’è, al di fuori della scienza, un altro ambito e che non bisogna che la  scienza ci renda ciechi. , ci impedisca di accedervi. Nella sua fisica e nella sua matematica niente  gli parla d’amore e di Gesù Cristo se niente vi si oppone.

Tutto al contrario, il biologo del 20° secolo che definisce l’uomo la gemma di un’evoluzione di complessità che, essendo crescita del cervello, è per questo stesso fatto progresso di pensiero, di coscienza, di libertà, di personalizzazione, non saprebbe separare la materia dallo spirito. Rifiutando la posizione di Cartesio professa con Tommaso d ‘Aquino l’unità umana e l’analogia dei diversi livelli d’organizzazione della materia inanimata negli animali e nell’uomo. Conoscendo il Dio amore come cristiano e meditando contemporaneamente come scienziato, che crede all’evoluzione, non può ignorare la perfetta unità dei punti di vista di scienza e di fede. Non ci sono due ambiti, quello della materia e quello dello spirito, ci sono due modi di approccio degli stessi esseri, la fenomenologia scientifica materiale che è conoscenza del grado di organizzazione degli esseri e la metafisica.

Per Pascal l’amore non è per niente del mondo perché lo spirito dell’uomo non è del mondo e l’immensità degli spazi infiniti  lo angoscia. Per Teilhard l’uomo, persona e amore che è la gemma della creazione evolutiva, basta questo a postulare un Dio creatore personale e amore, tutti gli esseri avendo un grado crescente di organizzazione , dall’inanimato all’uomo. Là dove san Tommaso parla di informazione, Teilahrd parla di amorizzazione. E’ lo stesso segreto d’amore che si esprime sempre più tra gli atomi, le cellule e gli uomini. L’angosciante universo  delle galassie è un universo adorabile, perché è pieno d’amore; il Cristo, che è venuto un giorno a inserirsi con l’incarnazione, il Cristo uomo- Dio, diventa il Cristo dinamico dell’evoluzione, il Cristo universale che ci attira al punto omega, fine della storia. L’inserzione storica e naturale del divino sotto la dogmatica cattolica nell’aspetto scientifico della storia cosmica è un’ulteriore prova della verità più completa del cattolicesimo.

Così quella apologetica che voleva Pascal, Teilhard, grazie ai progressi della biologia ha potuto realizzarla meglio. Anche lui sa che il soprannaturale è di un ordine tutto diverso, ma questo altro ordine può mostrarlo immanente all’ordine di qui, che è una crescita d’amore  verso e attraverso il Dio d’amore. Invece di dire solo: c’è altro oltre la scienza, può mostrarci che la scienza stessa postula quell’altra cosa, che è totalmente impotente a vedere nella sua totale dimensione.

La differenza tra Pascal e Teilhard non è né solo una differenza d’epoca, né una competenza scientifica differente, essa è soprattutto in quella differenza essenziale di prospettiva che ha permesso  la conoscenza dell’evoluzione biologica. Pascal era in un cosmo fisso dove il fenomeno umano appariva estraneo. Al contrario Teilhard  ci presenta la visione moderna di un universo in cosmogenesi culminante nel fenomeno umano, un terzo polo, quello della complessità, a lato dello infinitamente grande e dello infinitamente piccolo. Che importa l’esistenza eventuale di altre vie, di altre umanità extraterrestri che bisognerà integrare nella concezione; ciò che è importante per noi è sapere che il mondo ha un senso. Tutto si trasforma non per caso , ma in modo significativo, orientato, qualsiasi siano i meccanismi e anche se caso e selezione vi giocano un ruolo.

La visione pascaliana è un confronto tra l’uomo e Dio dove la storia e il sociale  non hanno un gran posto, dove la salvezza individuale non concerne l’avvenire del mondo, con il cosmo inerte, testimone indifferente della nostra vita.  AL contrario la cosmogenesi teilhardiana fa constatare il cambiamento evolutivo: l’universo è nelle nostre mani, siamo responsabili della creazione. E’ perciò impossibile separare la salvezza individuale dalla costruzione dell’umanità, l’edificazione di una città terrestre, infrastruttura della città di Dio. Noi ci salviamo, ossia ci spiritualizziamo, spiritualizzando il mondo e dipende dal nostro sforzo, qualunque sia la nostra opera, che, glorificata alla fine dei tempi, passi su di un altro piano dell’essere o al contrario, avendo perduto  la glorificazione sia una distruzione apocalittica .  Miseria e grandezza dell’uomo, sia per Pascal che per Teilhard; ma nella visione teilhardiana l’importanza e la responsabilità del “calamo pensante”,  appare molto più grande, poiché non si tratta più di lui, ma del mondo, questo mondo dove è venuto a vivere, soffrire, morire e resuscitare Gesù per salvarci.

( a cura di L.S.)