L’impossibile domanda-secondo la visione penetrante di Jiddu Krishnamurti

3e millénaire, n° 96

“Il desiderio è una forza straordinaria nella nostra vita. Lo si sopprime, lo si fugge, si cambiano le attività del desiderio, lo si razionalizza, vedendo come appare e qual è la sua sorgente.

Dunque, osserviamo il movimento del desiderio. Non diciamo che bisogna sopprimerlo, fuggirlo o sublimarlo, qualsiasi sia il senso di questa parola”.

Il meccanismo di fuga, di paura di fronte al desiderio, del desiderio di fronte alla paura, della paura della paura sono descritti non per costruire una teoria, ma piuttosto per gettare qualche luce su un percorso che noi immaginiamo, che sogniamo, in mancanza di viverlo pienamente: l’osservazione dell’emozione.

In effetti: voglio guardare ciò che è. Mi accorgo per esempio che sono avido, ma questo non cambia niente. L’avidità è un sentimento e ho guardato questo sentimento come avidità. La parola non è la cosa; ma forse sto confondendo la parola e la cosa. È molto complesso; forse è la parola che suscita il sentimento.

La mente può liberarsi dalla parola, e osservare? La parola riveste nella mia vita una tale importanza ai miei occhi! Sono schiavizzato dalle parole? Sapendo però che la parola non è la cosa… La parola ha preso una tale importanza che  è più per me che una realtà effettiva?

Il sentimento è il presente, riconosciuto attraverso l’intermediazione      della parola fondata sul passato; perciò io vivo costantemente nel passato.
Il passato sono io.
Ora, il passato è il tempo; dunque il tempo sono io. L’io dice: “non devo andare in collera perché il mio condizionamento mi ha insegnato: non bisogna essere avido, non bisogna arrabbiarsi”.
Il passato sta dicendo al presente ciò che bisognerebbe fare. Posso perciò osservare l’avidità in quanto fatto, senza il passato? Si può procedere all’osservazione dell’avidità senza darle un nome, senza essere intrappolato dalla parola, avendo capito che la parola può suscitare il sentimento, e che, se la parola suscita il sentimento, allora la parola, cioè io, io che sono il frutto del passato, mi comando di non arrabbiarmi?
È possibile guardare ciò che è senza io, cioè senza l’osservatore?
Posso osservare l’avidità, la sensazione, poi la sua soddisfazione e la sua azione senza l’osservatore che è il passato?

La base di una vera osservazione è posta. Si può osservare senza l’osservatore che condiziona ciò che vede?

“L’osservazione deve essere libera, senza direzione, senza motivo per potere comprendere il movimento del desiderio. Il desiderio proviene dalla sensazione. La sensazione è il contatto, la visione. Allora il pensiero crea un’immagine a partire da questa sensazione; quel movimento del pensiero è l’origine del desiderio”.
Comprendiamo lucidamente ciò che è un’immagine?
Ciò che è vedere attraverso le immagini, vedere l’avidità, la collera, la paura, l’agitazione, la tristezza, l’angoscia, l’invidia, la gelosia…

L’emozione non è un’immagine, ma la sento, la percepisco, l’osservo, identificata al processo di proiezione condizionato che etichetta automaticamente quell’emozione in positivo, quell’altra in negativo.
Con un minimo di onestà la prova è evidente, perché “se si è totalmente liberi da tutte le immagini, allora non si sarebbe più né feriti né turbati”.

Non lo si sarebbe più del tutto, nemmeno un po’… Questa nota, che noi l’accettiamo o no, senza una vera domanda, non rende forte l’osservatore?

L’osservazione non è l’introspezione

Scoprire le nostre paura e i loro movimenti subconsci, scoprire i desideri e le paure che ci portano di illusione in illusione, è una via di liberazione che possiamo presentire ad un certo momento della nostra vita.
Solamente, come andremo a iniziare questa scoperta: sistematicamente, con una investigazione minuziosa o a caso secondo l’ispirazione, da un momento all’altro e secondo l’occasione?

Krishnamurti sorprende con le sue proposizioni, invita ad “apprendere, osservare, sentire come guardare” e ricorda che “se si esercita la lucidità, se diventa un’abitudine, allora diventa dolorosa e noiosa; ma la lucidità non può essere l’oggetto di una ricerca, non può essere controllata, non si può trasformare in una disciplina ed è questa la sua bellezza (…)

Se voi provate ad essere lucido per sradicare la collera, la gelosia, il senso di possesso o qualsiasi cosa, questo diventa penoso. Una tale lucidità non è la lucidità. Non è che un processo di introspezione, che tenta di diventare qualcosa. Nella lucidità non c’è divenire, ma semplicemente l’osservazione, una silenziosa osservazione.

Non è l’introspezione, descritta da Krishnamurti, che noi esercitiamo e che siamo pronti a esercitare di nuovo, ancora e ancora?
L’emozione che accade non è nominata, come l’abbiamo visto adesso, e di conseguenza percepita faccia a faccia, senza apertura, acchiappata al colletto con una attenzione tesa?

La conoscenza di sé attraverso l’introspezione non è una via di risveglio, essa indurisce il ricercatore, è  sofferenza psicologica.

“L’introspezione porta alla frustrazione, a dei conflitti, poiché in essa è implicato un desiderio di cambiamento, mentre la lucidità è uno stato nel quale non c’è né condanna, né giustificazione, né identificazione, perciò c’è comprensione; e in questo stato di lucidità passiva e vivace non c’è né sperimentatore né l’oggetto dell’esperienza”.
Per l’esempio della collera, Krishnamurti esplicita così la trasformazione lucida di ciò che è:

“c’è una distanza quando esiste un centro di condanna, di giustificazione, il censore; distinto dal fatto, da ciò che è.
Quando non c’è centro, nessun censore, c’è una distanza tra sé e il fatto? Esiste una distanza? Guardate, io sono in collera. La collera è una reazione, so che sono in collera. È una cosa che è fuori di me. Io non dico io sono in collera, ma dico “io sono la collera”.

Quando posso dire io sono la collera non c’è più distanza. C’è ciò che è. Ma dall’istante in cui voi dite io sono in collera c’è una distanza; e da questo momento cerco di coprire questa distanza volendo agire sul fatto.
Ma, quando mi rendo conto che sono io stesso la collera, non c’è più spazio che mi permette di fare qualsiasi cosa, non c’è che il fatto. E dall’istante in cui c’è quello che c’è, esso prende un’importanza immensa, il mezzo di sbarazzarsene non c’è più. Per conseguenza ciò che è subisce una trasformazione completa nell’istante in cui non esiste più questa distanza generata dal censore”.

Non ci sono mezze misure, Krishnamurti è spesso molto chiaro su questo punto, è la comprensione diretta, la lucidità, la visione penetrante dei limiti inerenti al nostro modo introspettivo di osservare che fa il grande salto; è la “rivoluzione del silenzio”.

Dall’energia alla vacuità

Vogliamo osservare l’emozione come qualcosa che bisognerebbe vedere per liberarsene.

Su questa base, la nostra vita interiore si è distinta in oggetti percepiti e soggetti che percepiscono. Sentiamo questi oggetti come reali e soffriamo di non poterli dissolvere e di esserne alla mercé. Nel punto stesso di sentirci senza energia, sfiniti dalle lotte interne di cui ignoriamo molto spesso l’esistenza. È la frammentazione della nostra coscienza che fabbrica questo mondo di pensieri e di emozioni conflittuali, che dissipa l’energia naturale che ci è data.

“Per osservare ciò che è, ci vuole dell’energia; ce ne vuole per osservare… non importa cosa, qualsiasi cosa. Ora, tutte quelle frammentazioni di cui siamo fatti sono delle divisioni di quell’energia. Il “me” e il “non me”, la collera e la non collera, la violenza e la non violenza, tutto quello sono delle frammentazioni dell’energia.
Ora, se un frammento prende autorità sugli altri, abbiamo un’energia che funziona coi frammenti (…): non c’è che energia e frammentazione. Questa energia è frammentata dal pensiero, e questa è la via del condizionamento…
La coscienza è dunque la totalità delle frammentazioni dell’energia; e, come abbiamo detto, uno di quei frammenti è l’osservatore, il me, quella scimmia che è incessantemente agitata.

La mente può vedere quel movimento nella sua totalità e senza il centro che dice “io lo vedo”?
Perché dall’istante in cui c’è un centro, questo diventa un agente di divisione?
L’io e il non io, ciò che è in voi, il pensiero, ha costruito quell’io col suo desiderio, il suo impulso a trovare una sicurezza, una salvaguardia. In questa sede di sicurezza ha diviso l’energia in me e non me e attraverso quella stessa si tuffa nella insicurezza. La mente può vedere tutto questo nel suo intero? Non lo può dal momento in cui c’è un frammento che fa l’osservatore”.

Krishnamurti non indica le tappe successive e non parla di progressione: “si tratta di vedere nel suo intero”, vedere ciò che è in una relazione pura senza condizionamento, senza relazione d’osservatore a oggetto osservato perché: “vivere senza confrontare ci solleva da un fardello molto pesante”.

Una volta liberati dal fardello della comparazione, dall’imitazione, dal conformismo, dall’adattamento, dalla modificazione, vi trovate allora in faccia a ciò che è.
Il conflitto non appare che quando si prova a fare subire qualcosa a ciò che è, che sia una trasformazione, una modificazione, un cambiamento, una censura, una eliminazione, o ancora che cerchiate di fuggire.
Ma se avete la visione penetrante di ciò che è, allora il conflitto cessa; voi restate solamente in presenza di ciò che è”.

Lo stato della mente che ha la visione penetrante è la vacuità totale.
La libertà suppone una vacuità per osservare. Questa vacuità vi dà la visione penetrante di ciò che è la violenza, non delle diverse forme della violenza, ma della natura e della struttura integrale della violenza; l’azione sulla violenza è dunque immediata, si è totalmente liberi dalla violenza.

L’impossibile apertura si può realizzare?

Questa visione penetrante, perché senza separazione, non si richiude evidentemente su di un oggetto emozionale percepito. Perché ogni oggetto emozionale, ogni emozione manifestata no esiste che nella frammentazione della coscienza, là dove un osservatore la nomina, la riconosce.
Si può vedere senza giudicare, la mente totalmente aperta? Si può vedere la totalità della coscienza emozionale? L’indagine ci porta ai limiti dell’oggettività e del ragionevole convenzionale..
Non crediamo più all’osservazione frontale, alla caccia alle emozioni perturbatrici, alla tranquillità come rimedio, al sollievo sistematico, alle buone volontà interiori di fronte alle cattive emozioni, al soggetto che diverrà cosciente, alla prossima liberazione, all’esercizio della lucidità, all’esperienza che bisognerebbe fare…
L’impossibile domanda è alle nostre porte…

Krishnamurti non conduce l’indagine verso qualcosa da vedere, ma interroga l’ investigatore arrivato a maturità, interroga la mente che scopre l’ampiezza del suo condizionamento e che non sa più troppo come osservare.

“ Non ci poniamo mai una domanda impossibile, ci domandiamo sempre ciò che è possibile. Se vi fate una domanda impossibile la vostra mente deve trovare la risposta in termini dell’impossibile, non in funzione del possibile. Ma se dite: “è possibile”, abbandonate(…)
La domanda impossibile è questa; “ la mente può vuotarsi del conosciuto?” La mente stessa, non siete più voi che la vuotate. Questo è impossibile. Se fate la domanda con il più intenso ardore, la più grande gravità, con passione, voi scoprirete.
Ma se dite” oh! È possibile” restate in panne.”

La domanda impossibile è il vettore di una tutt’altra dimensione.
E’ la risultante di un cammino divenuto impossibile, di un modo d’osservazione giunto al suo termine. Questo traguardo è la comprensione spontanea e incredibile “  che       l’osservatore è la cosa osservata”., che l’osservatore della paura è la paura, che l’osservatore del desiderio è il desiderio… che l’osservatore dell’emozione è l’emozione e che non è fuori dal processo frammentato dell’energia emozionale, perché è un elemento di quel processo, è il processo stesso.

La paura, l’ansia, l’emozione non esistono che nella frammentazione dell’energia in osservatore/osservato. E’ un punto cruciale ; non si tratta di credere in “ un osservazione senza osservatore”, non frammentario, globale, per farne un nuovo dogma ed idealizzarne l’esistenza.

D’altronde la mente seria di un vero ricercatore non potrebbe crederci. Possa la sua ricerca condurre  a questo ultimo punto di chiarimento!

a cura di l. scalabrini