Liberate la libertà

3ème Millénarie n. 70

La libertà interiore è uno stato naturale al di là dei pensieri. E’ geneticamente programmata nell’essenza stessa della vita. Molti lo sentono “per caso” in momenti di pace e di silenzio dove non manca niente.

Come rendere questa via di liberazione più accessibile?

Il “gene della libertà” è codificato, si inscrive dall’eternità nel principio attivo di ogni cosa manifesta. E’ invincibile, immortale ed eternamente presente. E’ al di là della vita e della morte. E’ uno “spazio senza esilio” nel quale si dispiega “un tempo senza esilio” nel quale si dispiega “un tempo senza morte”.

Per comprendere questo principio prendiamo l’esempio dei geni: la scienza ha scoperto che noi li condividiamo con le piante e gli animali, le loro marche sono solo diverse. Una continuità genetica al di là delle specie ci è allora comune. Questa si sviluppa in uno spazio di creazione e di distruzione che trascende il mondo delle apparenze e delle differenze. Questa espressione di ciò che non cambia, qui ed ora, dà la nascita al tempo e allo spazio. E’ un movimento che permette all’eterna libertà di incarnarsi, “Io sono questo, qui e immediatamente”

D: Qual è la distinzione tra un pensatore ignorante che ignora la propria libertà e un essere che conoscerebbe la verità e la semplicità?

D: E’ la distinzione tra il cercatore perduto e l’esploratore estasiato, felice. Il primo sogna di essere in esilio. E’ impegnato a parlare delle sue tentazioni, le sue mancanze: dorme… E’ il pensatore esiliato. Il suo mondo è abitato da attacchi, difese, sofferenze, angosce. Attraversa il giorno come un sonnambulo la notte. Passivo, si lamenta e crea la dipendenza dall’altro. L’altro è cosciente della sua semplicità e del suo amore per l’esistenza. Sa tornare all’immediato, veglia, è libero interiormente. Attraversa il suo spazio di vita come un’esploratore entusiasta,, naturale e silenzioso; così il suo tempo di vita non è uno spazio orario da riempire, è questo spazio/tempo d’eternità dove si dispiega l’autoconoscenza cosciente. Il suo pensiero puro guarda costantemente l’eternità e il rapporto con il reale.

D: Voi dite che c’è un’etica gioiosa del liberato; che ne è del pensatore?

David: Finché sogna i suoi dubbi e le sue alternative, soffre. A volte l’impazienza, la mancanza d’onestà interiore, le scuse metafisiche, le credenze della cultura gli fanno pensare che può eludere la perentorietà dell’etica spirituale. Le scuse di fronte alle difficoltà del reale gli fanno sperare che il filo della libertà sarà meno tagliente. E’ spesso l’ingenuità del neofita che cerca scuse tra la voglia dì essere libero e il dovere, la responsabilità che questo comporta.

D: Il “pensatore-viaggiatore” nel suo viaggio da qui a qui (la liberazione) deve riapprendere l’etica e la lucidità?

David: Nel cuore dello spirito della scoperta, l’esploratore apprende e cresce in maturità. Il suo percorso iniziatico e le sfide del reale gli serviranno ad attrezzarsi nell’incontro con le sue vere paure. Coraggio, intrepidità, lealtà, pensiero-azione-soddisfazione saranno i nuovi valori che dovrà far suoi. Vincitore sui suoi condizionamenti e sulla sua mancanza di volontà, diventerà conduttore della libertà: dignità nelle prove, riso e semplicità segneranno il suo rapporto con il reale.

Ma non illudiamoci, il filo del rasoio non è un’amaca dove ci si culla con belle parole o risposte sdolcinate… Il cammino non è fatto per i tiepidi che hanno costruito le loro credenze su monumenti intellettuali.

Tuttavia le mie parole non mirano a rendere il cammino della libertà drammatico. La natura della libertà è leggera, gioiosa, non appesantiscono la farfalla nel suo volo, ma è necessario passare dalla generalizzazione e dall’istinto a una lettura lucida del cammino per non rischiare di impantanarsi nelle impasse.

D: Come lasciamo l’istante cosciente, la libertà per ritrovarci nella conoscenza mentale?

David: Attraverso l’identificazione del soggetto con la conoscenza mentale. E’ l’origine e la sofferenza dell’uomo. Chi sono originariamente sparisce gradualmente a beneficio di ciò che so.

Dall’età della ragione, studiamo letteratura, storia, geografia, scienze, politica ecc. Queste conoscenze memorizzate non sono innate, sono trasmesse dagli altri. Questo sapere è responsabile, senza che noi ne facciamo esperienza da noi stessi. Questo principio d’acquisizione delle informazioni esterne come soluzione delle nostre istanze interiori è automatizzato, generalizzato.

Diventiamo degli autonomi che si immaginano che ciò che sanno è più vero di ciò che sono. Ne deriva, una sequela di moralismi, di generalizzazioni, di giudizi, di veti e di evidenze più o meno tenebrose, che ci colpevolizzano per non essere un essere di libertà. Allora entriamo nel mondo di causa ed effetto, nel quale tutte le spiegazioni e le alternative comportano i nostri rinvii e giustificano il nostro stato “d’esiliati”. L’atto di separazione è così attuato con un meccanismo di surplus d’informazione esteriore a scapito del valore della autoconoscenza. Finito lo spirito di scoperta, di appetito di conoscenza e d’azione naturale di meraviglia in se stessi, tutto è banalizzato, spiegato, razionalizzato e “pubblicizzato”.

D: In questo modo siamo parassitati dai pensieri mentali, ma ne siamo coscienti?

David: No; come un pazzo sulla strada che parla ad alta voce con persone immaginarie, ci parliamo, dialoghiamo sottovoce con la nostra testa. Non c’è differenza che nel volume sonoro… Siamo capaci di dare risposte automatiche, senza riflettere, che non sono realiste. Solo un vago malessere ci rivela che “forse” non sono giuste.

D: Per quale tocco di magia l’Ego (il pazzo) impedisce la libertà e oscura la coscienza creando così la sofferenza?

David:

a) Per un pensiero immaginario proiettato che drammatizza il futuro e fa rimpiangere il passato, eliminando così la trasmissione e la conoscenza cosciente contenuta in ogni istante presente. La conoscenza mentale rende solitari: divide, giudica, esclude, punisce.

b) Per le immagini di me che nascondono la lettura intuitiva, simbolica, sacra e universale di noi stessi. Non resta del sole interiore che un lucore smorto, giusto per vedere ed abituarsi alle tenebre.

c) Per il linguaggio articolato che fa si che le parole siano prigioniere dello spazio-tempo. Esse hanno una memoria, un contenuto. Non esprimono che la storia del mentale e la ripetizione di sofferenze. Torre di Babele ineluttabile.

d) Per i pensieri che ostruiscono i canali dei sensi. Questi non trasmettono altro che la frattura con l’esteriorità. C’è un paesaggio esteriore (gli altri) e un paesaggio interiore (me) ma nessun legame tra i due. Sono solo e isolato e “vedere” è sostituito da guardare, “ascoltare” da intendere, “toccare” da guarire ecc.

e) Sul piano del comportamento, l’ego (l’uguale) traveste la coscienza d’Essere immaginando di possedere il potere creatore. Egli vuole:

* Essere riconosciuto e essere potente (soprattutto non mostrare la propria fragilità)
* Non morire
* Spiegare il perché gli dà l’impressione di un sapere personale che maschera la paura della sua ignoranza
* Da’ delle lezioni perché ha delle certezze. E’ diviso! Così divide per regnare e colpevolizzare gli altri
* Sa bene spiegare perché essi hanno torto; questo gli permette d’aver ragione e soprattutto di non cambiare le sue posizioni. Giudica con una logica implacabile e va fino ad escludere in nome di Dio…!
* “Esteriorizza” gli “altri”. Ciò che essi pensano di lui è immaginato, proiettato ed ha mota importanza. E’ il famoso “sguardo dell’altro”. Vi entriamo con l’illusione dell’interpretazione mentale; il giudizio e il senso di colpa sono interiorizzati come evidenze concrete. Il “folle” è entrato nel teatro della mente. “Sente” che qualcuno lo osserva. La conoscenza di sé è fuori circuito; è come se in un aereo il sistema informatico previsto per assistere il pilota non obbedisse più e facesse di testa sua. E’ una presa di potere illusoria alla quale crede identificato il suo “mentale mentitore”

D: Potete spiegarci la distinzione tra la libertà interiore e la liberazione?

David: La liberazione è come una madre in una attitudine dinamica di aprire sempre il cuore e le braccia; la libertà interiore individuale è il gesto del bambino che, aprendo le braccia a sua volta, si lascia abbracciare.

Si tratta di un atto da compiere; scegliere la libertà, e farlo al di là d ogni attesa passiva e del chi-vive istintivo. Lo scopo del nostro destino è di liberare la nostra libertà nel cuore di questa corrente universale. Questa partecipazione è esploratrice, ludica, dinamica, giusta attenzione e attenzione senza un “affaticamento psicologico”. Questa corrente universale genera amore e libertà infinita. Ci porta come un fiume porta una barca. Questa corrente ci porta perché ne diveniamo coscienti, non ci porta come un ramo morto, come se fossimo dei dormienti incoscienti d’essere.

D: Il nostro destino è dunque di viaggiare nella corrente della liberazione e la nostra partecipazione individuale e attiva è un “fare partecipare” nello spirito della scoperta?

David: Si, restiamo nell’analogia del fiume: in un recente atelier-avventura nelle Lande, la corrente del fiume ci ha insegnato questa distinzione tra un lasciar-fare passivo dove non c’è niente da fare e un fare-condurre nella corrente che ci porta. Se siamo in una barca senza utilizzare i remi la corrente ci porta dove vuole. Siccome il fiume è sinuoso, sparso di tronchi, di sassi e banchi di sabbia, la nostra barca corre un vero rischio di rovesciarsi o di restare impigliata in questi ostacoli contro corrente.

Praticamente cosa abbiamo imparato e qual è l’arte di condurre la libertà?

· Condurre la barca non vuol dire lasciarsi portare dalla corrente, ma dirigere la propria condotta.

· L’azione di dirigere di fronte agli ostacoli deve essere immediata. E’ importante essere totalmente presenti, vigili, attivi. Ogni ritardo all’adattamento alla corrente fa andare la barca alla deriva e accresce il danno. Invece, se l’adattamento alla corrente e agli ostacoli è immediata, lo sforzo da fare è facile e divertente.

· La barca deve essere diretta e andare un po’ più veloce del movimento del fiume perché ci sia padronanza. Là entriamo nel piacere individuale d’essere liberi e partecipiamo alla gioia d’esserne coscienti. La libertà è liberata. Aggiustarsi nel senso della corrente diventa allora un piacere fluido, intelligente e creativo. Quando questo gioco s’inventa nello spirito della scoperta, senza “fatica psicologica” né identificazione ristretta alla nostra produzione mentale, è sorprendente rendersi conto che è il fiume che gioca con noi. Tutto s’inverte allora in un grande scoppio di risa. La vita universale gioca attraverso la coscienza individuale, è “Io sono quello” che gioca con “io sono qui”. La sensazione del sorgere della libertà procura un sentimento di invincibilità semplice d’essere il vincitore dell’istante presente.

· Questo favorisce un’armonia a livello del corpo, delle emozioni, della mente come la relazione con il reale, unità ritrovata dal giusto atto d’Essere.

– Traduzione di Luciana Scalabrini