Quando la visione è la non- visione di Dominique Casterman

INEDITO            13-11-2010

La storia si svolge nell’ottavo secolo della nostra era in un gran monastero, da qualche parte in Cina. Gli amanti  del Chan conoscono bene questa storia dove quelli che si chiamano “vecchi Maestri” erano cinesi. Tra loro si trova l’insegnamento puro del Ch’an.

« Il quinto patriarca Hung Jen aveva  riconosciuto in In Hui Neng un uomo che aveva perfettamente realizzato il risveglio. Sperava segretamente che questo sarebbe stato il suo successore. Ma restava una grande difficoltà da risolvere. Hui Neng non era che un semplice laico. Illetterato, senza erudizione. Hung Jen, uinto patriarca, era il capo di un grande monastero dove vivevano cinquecento monaci letterati. La maggior parte di loro erano imbevuti della pretesa superiorità data dall’erudizione. Certi desideravano la successione del quinto Patriarca.

Hung Jen, perfettamente cosciente dei dati delicati del problema, suggerì a Hui Neng di presentarsi al monastero come semplice laico che cercava un lavoro. Poteva mondare e battere il riso destinato ai monaci, nel  granaio dell’edificio Ciò che fece immediatamente.

A quel punto il quinto Patriarca annunciò solennemente ai cinquecento monaci che vivevano sotto la sua direzione che desiderava che desiderava nominare un successore. Dichiarò che  colui che gli avesse presentato una stanza o un poema che esprimesse perfettamente lo spirito del Ch’an, sarebbe stato designato istantaneamente  suo successore, sesto Patriarca..

Il monaco Shen Hsiu, il più sapiente della congregazione, compose i versi seguenti:

«Il corpo è l’albero di Bodhi

E lo spirito è paragonabile ad uno specchio chiaro posato sul supporto.  Ripuliamolo costantemente

E non lasciamo che nessuna polvere si accumuli su di lui. »

Questa stanza non fu tuttavia approvata da Hung Jen. Il quinto Patriarca stimò che non fosse l’espressione di una illuminazione spirituale autentica.

Mentre tutti i monaci del monastero discutevano fra loro i versi di Shen Hsiu, Ui Neng domandò a uno di mostrargli l’iscrizione che si trovava sul muro  della sala delle assemblee. Essendo illetterato, non giunse a decifrarlo e pregò un monaco di leggerglielo. Dopo aver ascoltato attentamente la poesia di Hsen Hsiu, Hui Neng si fece accompagnare durante la notte e dettò i versi seguenti:

« La saggezza non conosce nessun albero che possa crescere

E lo specchio non riposa su nessun supporto.

Dall’inizio non esiste niente

Dove la polvere potrebbe accumularsi?

Il giorno dopo i monaci stupefatti seppero della poesia di Hui Neng. Certi la presero insolente.

La notte seguente il quinto Patriarca gli diede la tazza e la veste di Bodhidarma; questi erano considerati i simboli della trasmissione spirituale di cui il sesto Patriarca doveva essere il portatore. Hui Neng lasciò il monastero nella notte in gran segreto. Fece poi molti viaggi nel corso dei quali arrivò a dare al Ch’an la pienezza del suo splendore.

Il testo di Hui Neng evoca chiaramente la distinzione tra lo stato di spirito di colui che crede, osserva un oggetto indipendente dallo spettatore e colui che vede e ciò che è visto sono due entità separate; e l’atto puro di vedere, dove la visione non è affatto il riflesse nello specchio di un oggetto come se  colui che vede  non avesse niente di comune con quell’oggetto. Hui Neng suggerisce nettamente la visione che l’illuminazione, il risveglio, al contrario, unisce colui che vede e la cosa vista nella piena coscienza dell’atto di vedere che è non- visione di un oggetto visto da un soggetto distinto e indipendente.

La distinzione fatta da Hui Neng concerne, da una parte, l’osservazione di un oggetto indipendente dall’osservatore dove ciò che è visto e chi vede sono entità separate e, d’altra parte, l’atto puro di vedere, che  è considerato da certi autori  come rivoluzionario nel pensiero Zen. Notiamo che la fisica quantistica insiste sull’idea che l’osservatore è inseparabile dalla cosa osservata. Esso partecipa alla costruzione di una realtà osservabile, di cui la descrizione resta estranea all’ideale di obbiettività assoluta della fisica classica

Credere che il risveglio consista nel vedere, con l’aiuto della mente ripulito dalla sua polvere, l’ultima Realtà come un fatto oggettivo, che si riflette nello specchio brillante dell’intelletto, è rimanere prigioniero del processo che consiste nel considerarsi come un ricercatore di un tesoro abituale visto come l’oggetto ultimo della nostra ricerca. Dopo aver cercato,  è meglio fermarsi, perché smettendo di cercare si trova la presenza di ciò che si cerca, Ciò che è.
Un monco che voleva sapere come entrare nella via della verità andò un giorno da Gensha. “Senti il mormorio del ruscello?, domandò Geshua. ” Si, rispose il monaco ”E’ una via per entrare nella verità, disse il Maestro.

Un’altra storia…” quando Hyakoujo decise di scegliere chi gli sarebbe succeduto, convocò due dei suoi discepoli più fedeli e , mostrando loro una brocca come in genere portano i buddisti, disse loro:” Non chiamatela brocca, ma ditemi che cos’è(rifiuto dell’oggettivazione convenzionale). Il primo discepolo rispose: ”Non si può dire che sia un pezzo di legno (oggettivazione col negativo). Il Maestro non fu soddisfatto della risposta. Il secondo monaco si avvicinò a sua volta, fece cadere la brocca con un colpetto, poi se ne andò tranquillamente senza dire una sola parola. Fu designato successore di Hyakoujo.

Ancora una volta questi episodi del pensiero Zen mostrano bene che il risveglio spirituale è precisamente il risveglio della coscienza alla sua Realtà, da che ha sollevato il velo delle apparenze. La coscienza non si risveglia a dei contenuti nuovi che sarebbero riflessi oggettivi del mondo o l’ultima realtà, poiché non c’è un mentale brillante di fronte ad una realtà umana osservabile. I contenuti della coscienza, le apparenze sono tante occasioni con le quali la coscienza può scoprirsi  ed essere presente a se stessa, cioè a Quello che è. L’io allora ha solo una funzione sociale, è un sistema costruito dal mentale per negoziare con l’ambiente. Non è che  si debba identificare la nostre immagine e i nostri interessi particolari al tutto, al punto da sottomettervi tutto il resto. L’essenziale è la creazione spontanea di coscienza, l’istante soggettivo all’intersezione dell’osservatore e della cosa osservata. Viviamo nella credenza che c’è una coscienza separata dai suoi contenuti; oggettiviamo la soggettività per creare l’illusione di una realtà. Coscienza e contenuto, soggetto e oggetto, osservatore e cosa osservata sono una sola e stessa realtà nell’atto dell’invenzione del mondo. La coscienza crea le condizioni della soperchieria delle apparenze per rivelarsi a lei stessa sollevando il velo delle illusioni.

Poiché facciamo corpo con l’universo, proviamo a  delineare la storia cosmica per meglio comprendere chi siamo. L’immaginazione creatrice, quella degli scienziati e dei poeti, degli artisti, dei filosofi, dei mistici, di tutti quelli  che cercano di comprendere il senso della loro presenza nel mondo, rivela l’unità relazionale e il fondo comune dell’infinita diversità e complessità dell’universo. L’estremo dell’immagine simbolica che è l’immaginazione creativa risveglia nella nostra coscienza, forse per l’effetto dei contrari, la perfetta simmetria originale, la vacuità. Quando il mentale lascia la briglia, si sente bene che il vuoto chiama la diversità, il divenire richiama l’essere , il tempo richiama l’eternità, il nulla richiama la forma, il cosmo richiama l’individuo. E’ qualche altra cosa della Presenza? E’ altra cosa dalla Coscienza?

(a cura di L. Scalabrini)